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NON SUSSISTE PER L’AMMINISTRAZIONE FINANZIARIA L'OBBLIGO DI ATTIVARE IL CONTRADDITORIO PREVENTIVO CON IL CONTRIBUENTE

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Palais de Justice Rome Cour suprême de cassation

NON SUSSISTE PER L’AMMINISTRAZIONE FINANZIARIA L’OBBLIGO DI ATTIVARE IL CONTRADDITORIO PREVENTIVO CON IL CONTRIBUENTE

Ribaltando i pronostici le Sezioni unite della Corte di Cassazione hanno affermato, con la recente sentenza n. 24823/2015, che  in capo all’Amministrazione finanziaria solo per i tributi “armonizzati”, sussiste un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale, la cui violazione comporta l’invalidità dell’atto purché il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa, mentre per i contributi “non armonizzati” non è rinvenibile, nella legislazione nazionale, un analogo generalizzato vincolo, sicché esso sussiste solo per le ipotesi in cui risulti specificamente sancito. Quindi, il mancato contraddittorio preventivo non è causa di invalidità dell’atto di accertamento che ne consegue, almeno per quanto concerne i tributi non armonizzati. Tuttavia, per la Suprema Corte anche in questo caso la violazione del suddetto obbligo comporta la nullità dell’atto di accertamento solo se in mancanza di tale irregolarità il procedimento avrebbe potuto comportare un risultato diverso. Quanto detto tuttavia contrasterebbe con l’articolo  24 della L. n. 4/1929 (non considerato dalle Sezioni unite), il quale così dispone: “La violazione delle norme contenute nelle leggi finanziarie sono constatate mediante processo verbale”. A questo punto si potrebbe sostenere che la combinazione dei due obblighi (di redigere un processo verbale per la constatazione delle violazioni, indipendentemente dal luogo di svolgimento del controllo, e di rispetto del termine dilatorio di 60 giorni dal rilascio del processo verbale) comporta implicitamente uno specifico (e non generalizzato) obbligo del contraddittorio endoprocedimentale. Si potrebbe concludere, anche alla luce della sentenza della Cassazione, secondo la quale l’obbligo del preventivo contraddittorio comporta, laddove non rispettato, l’invalidità dell’atto di accertamento soltanto se tale obbligo è espressamente previsto, affermando che anche per le verifiche a tavolino il mancato rispetto di detto obbligo comporta l’annullabilità dell’atto di accertamento (in quanto trattasi di un obbligo implicitamente statuito dal combinato disposto dell’articolo 24 della L. n. 4/1929 e dell’articolo 12, comma 7, della L. 212/00).

Cass. civ. Sez. Unite, Sent., 09-12-2015, n. 24823

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROVELLI Luigi Antonio – Primo Presidente f.f. –

Dott. CICALA Mario – Presidente Sezione –

Dott. AMOROSO Giovanni – Presidente Sezione –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – rel. Consigliere –

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Adelaide – Consigliere –

Dott. DI IASI Camilla – Consigliere –

Dott. VIRGILIO Biagio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 25162/2013 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis;

– ricorrente –

contro

TRUMP TRADE S.R.L. IN LIQUIDAZIONE, in persona del liquidatore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ORTIGARA 3, presso lo studio dell’avvocato MICHELE AURELI, rappresentata e difesa dall’avvocato DANZA ANNA RITA, per delega in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 23/01/2013 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE dell’EMILIA ROMAGNA, depositata il 18/03/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 06/10/2015 dal Consigliere Dott. AURELIO CAPPABIANCA;

udito l’Avvocato Maria Pia CAMASSA dell’Avvocatura Generale dello Stato;

udito il P.M. in persona dell’Avvocato Generale Dott. APICE Umberto, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

 

Svolgimento del processo

 

Trump Trade s.r.l., società esercente attività di compravendita immobiliare, propose ricorso avverso avviso di accertamento irpeg, irap ed iva relativo all’annualità 2003, notificato il 18 novembre 2008. Con detto avviso, l’Agenzia delle Entrate – atteso che, in conseguenza del controllo della documentazione, a richiesta, conferita dalla società contribuente e del riscontro delle relative risultanze, era emerso che il valore di alcune delle unità immobiliari compravendute era di gran lunga superiore ai prezzi fatturati – aveva provveduto a ridefinire l’imponibile con metodo analitico-induttivo ed a recuperare a tassazione maggior reddito e maggior volume di affari.

A fondamento del ricorso, la società contribuente deduceva:

l’illegittimità dell’accertamento per omessa consegna del verbale di chiusura delle operazioni, in violazione della previsione di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7; il difetto di motivazione del provvedimento impugnato; l’infondatezza della pretesa impositiva.

L’adita commissione provinciale respinse il ricorso, con decisione, che, in esito all’appello proposto da Trump Trade, fu, tuttavia, riformata dalla commissione regionale, che, aderendo alla prima delle doglianze opposte dall’appellante, rilevò l’illegittimità dell’avviso e ne dispose l’integrale annullamento, per violazione alla L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7.

Avverso la decisione, l’Agenzia delle Entrate ha promosso ricorso per cassazione in unico motivo, illustrato anche con memoria, sostenendo, in sintesi, che le prescrizioni di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, trovano applicazione, non in relazione a tutte indistintamente le tipologie di accertamento, ma solo in relazione agli accertamenti (nel caso concreto non coinvolti in lite) che conseguano ad accessi, ispezioni o verifiche presso i locali in cui si svolge l’attività del contribuente.

Trump Trade ha resistito con controricorso.

Fissato per la discussione – a seguito di ordinanza interlocutoria della sottosezione tributaria della sesta sezione civile (ord. 527/15) – il ricorso è stato rimesso a queste Sezioni unite per l’esame di questione di massima di particolare importanza.

 

Motivi della decisione

 

1 – La questione rimessa e la sua prospettazione.

  1. La questione.

La questione rimessa all’esame di queste Sezioni unite investe il punto centrale della controversia. Concerne, infatti, il se le garanzie, di carattere procedimentale, predisposte dalla L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, (formazione di un verbale di chiusura delle operazioni; rilascio di copia del medesimo al contribuente;

facoltà del contribuente di comunicare osservazioni e richieste e corrispondente dovere dell’Ufficio di valutarle; divieto per l’Ufficio di emettere avviso di accertamento prima della scadenza del termine dilatorio di sessanta giorni dal rilascio di copia del verbale, salva la ricorrenza di particolare e motivata urgenza) si applichino soltanto agli accertamenti emessi in esito ad accessi, ispezioni e verifiche fiscali effettuate nei locali ove si esercita l’attività imprenditoriale o professionale del contribuente; ovvero se esse – in quanto espressione di un generalizzato obbligo di contraddittorio nell’ambito del procedimento amministrativo di formazione dell’atto fiscale, eventualmente riferibile a dati normativi aliunde desumibili nell’ordinamento nazionale o in quello dell’Unione Europea – operino pure in relazione agli accertamenti conseguenti ad ogni altro tipo di verifica fiscale e, in particolare, in relazione agli accertamenti derivanti da verifiche effettuate presso la sede dell’Ufficio, in base alle notizie acquisite da altre pubbliche amministrazioni, da terzi ovvero dallo stesso contribuente, in conseguenza della compilazione di questionari o in sede di colloquio (c.d. “verifiche a tavolino”). Ciò con la specificazione, ove si accedesse alla soluzione della generalizzata applicazione della garanzia del contraddittorio procedimentale, delle concrete modalità di sua attuazione in relazione alle verifiche non direttamente contemplate dalla disposizione sopra citata nonchè delle conseguenze della sua inosservanza.

  1. L’ordinanza inerlocutoria.

L’ordinanza di rimessione da atto del fatto che – in presenza di una pressochè univoca giurisprudenza della sezione tributaria in senso contrario contenuti di Cass. ss.uu. 19667/14 (e della gemella 19668/14), evocano, ancorchè decidendo in merito ad atto dotato di spiccata peculiarità (iscrizione ipotecaria D.P.R. n. 602 del 1973, ex art. 77), l’esistenza di principio generale, immanente all’ordinamento anche per derivazione comunitaria, che impone l’osservanza del contraddittorio endoprocedimentale in rapporto a qualsiasi atto dell’Amministrazione fiscale lesivo dei diritti e degli interessi del contribuente, indipendentemente dal fatto che la necessità del contraddittorio sia specificamente sancita da norma positiva.

Ciò posto, l’ordinanza rileva, tuttavia, la necessità di investire della questione le Sezioni unite e ne indica le ragioni, individuandole: in primo luogo, nelle perplessità afferenti al merito stesso dell’affermazione (v. pp. 11 – 16); in secondo luogo, nella rilevata accentuata peculiarità del tema affrontato da Cass. ss.uu. 19667/14 e 19668/14 (v. p. 11), che induce a qualche incertezza nell’identificazione della reale portata del principio di diritto da esse enucleatale; infine, nella considerazione che l’affermazione, secondo cui l’Amministrazione che adotti provvedimento lesivo dei diritti e degli interessi del contribuente è assoggettata ad un obbligo di attivazione del contraddittorio endoprocedimentale di carattere generale (e, dunque, prescindente da specifica indicazione normativa), richiederebbe in ogni caso, per le ipotesi prive di esplicita previsione, che si definissero le concrete modalità di esplicazione del contraddittorio e la puntualizzazione degli effetti della relativa eventuale inosservanza (v. pp. 12, 18- 22).

2 – La giurisprudenza di legittimità sulla L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, e sul contraddittorio “endoprocedimentale” in campo tributario.

  1. Cass., ss.uu., 18184/13 e le conseguenze dell’inosservanza delle prescrizioni di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7.

Inizialmente non si è minimamente dubitato del fatto che il perimetro applicativo della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, fosse quello testualmente definito.

Non contemplando espressamente sanzioni per l’ipotesi di violazione da parte dell’Agenzia degli obblighi sanciti a suo carico, la disposizione, in sede di prima applicazione, ha, invece, suscitato vivace dibattito in merito all’identificazione delle conseguenze dell’inosservanza degli obblighi suddetti.

I contrasti manifestatisi sul punto sono stati composti da Cass., ss.uu., 18184/13.

La decisione ha sancito che la L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, deve essere interpretato nel senso che l’inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni (dal rilascio di copia del p.v.c. di chiusura delle operazioni) per l’emanazione dell’avviso di accertamento determina, di per sè, l’illegittimità dell’atto impositivo emesso ante tempus, salva la ricorrenza, da comprovarsi dall’Ufficio, di oggettive specifiche ragioni d’urgenza.

Disattendendo la contrapposta opzione di considerare l’inosservanza del contraddittorio in rassegna alla stregua di mera irregolarità sostanzialmente priva di conseguenze sull’atto (cfr. Cass. 16092/12, 21103/11, 19875/08), a tale conclusione la decisione è approdata, rilevando che la sanzione dell’invalidità dell’atto conclusivo del procedimento adottato senza l’osservanza delle prescrizioni sancite dalla disposizione, pur non espressamente prevista, scaturisce ineludibilmente dalla circostanza che la violazione procedimentale si risolve in un’intollerabile deviazione dal modello normativo perentoriamente prescritto (“2’avviso di accertamento non può essere emanato prima della scadenza del predetto termine”). Modello normativo, che – sotto la rubrica “Diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali” ed introiettando, con riguardo all’ambito di applicazione di riferimento, principi (di collaborazione e buona fede nei rapporti tra amministrazione e contribuente) di derivazione costituzionale e comunitaria – configura il contraddittorio endoprocedimentale, nelle verifiche considerate, quale indispensabile strumento di tutela del contribuente e di garanzia del migliore esercizio della potestà impositiva anche nell’interesse dell’Amministrazione.

Coerentemente, la decisione (replicata, nella sostanza, da Cass. 15311/14, con riferimento alla cartella D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 36 ter, non preceduta dalla comunicazione di cui al comma 4, dell’articolo medesimo) – pur non occupatasi criticamente della definizione dell’ambito di applicazione della disposizione, in quanto non investita del tema – ha specificamente curato, nel formulare il principio di diritto affermato, di circoscriverlo, in termini espliciti, alle ipotesi di “accesso”, “ispezione” o “verifica” nei “locali destinati all’esercizio dell’attività” del contribuente.

  1. Giurisprudenza di legittimità, ambito di applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, e clausola generale di contraddittorio endoprocedimentale: la giurisprudenza della sezione tributaria.

Quanto al profilo (della sfera di operatività della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7) da ultimo considerato, l’impostazione di Cass., ss.uu., 18184/13 trova vasta rispondenza nella giurisprudenza della sezione tributaria (anche nell’articolazione in seno alla sesta sezione civile).

In tale ambito, è stato pressochè univocamente ritenuto che l’ambito di applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, è circoscritto, secondo testuale indicazione, agli accertamenti conseguenti ad “accessi”, “ispezioni” e “verifiche” fiscali nei locali del contribuente e che l’ordinamento tributario non offre spunti positivi di sorta per postulare l’esistenza di una clausola generale di contraddittorio endoprocedimentale.

In tal senso si rinvengono: in termini generali, Cass. 26316/10, che rileva come, anche dopo l’entrata in vigore dello Statuto del contribuente, non sia possibile ritenere esistente un principio generale di contraddittorio in ordine alla formazione della pretesa fiscale; con specifico riferimento alla previsione della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, (e con riguardo ad accertamenti relativi ai più svariati tipi di imposta: irpef, ilor, irap, iva, accise), Cass. 21391/14, 15583/14, 13588/14, 7598/14, 25515/13, 2360/13, 446/13 16354/12; con riguardo all’avviso bonario previsto, dall’art. 6, comma 5, della predetta legge, in relazione alle cartelle D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 36 bis: Cass. 12023/15, 8342/12, 7536/11, 795/11.

Unica decisione dissonante si rivela Cass. 2594/14, l’analisi della cui motivazione insinua, tuttavia, il dubbio di un qualche fraintendimento in merito alla specifica accezione dei termini “accessi” e “verifiche”, presa in considerazione dalla disposizione in rassegna (v. infra sub 4^ – 1).

  1. Segue: pretese distonie.

Diversamente da quanto sembra ipotizzare l’ordinanza interlocutoria, anteriormente alla pronunzia delle decisioni Cass. ss.uu. 19667/14 e 19668/14, non vi è stata alcun altra pronuncia anche soltanto vagamente distonica rispetto all’orientamento sopra riportato.

Tale, in particolare, non può considerarsi, per quanto rilevato in precedenza (v. sub precedente punto 1), Cass., ss.uu., 18184/13.

Tale non possono, d’altro canto, considerarsi nemmeno Cass., ss.uu., 26635/09 (e Cass. 7960/14, che alla prima fa riferimento).

All’affermazione della necessità di siffatto contraddittorio in relazione ai c.d. “accertamenti standardizzati” (quelli, cioè, fondati sui “parametri” di cui alla L. n. 549 del 1995, art. 3, comma 181 e ss., o sugli “studi di settore”), l’indicata decisione perviene infatti, non sul presupposto della vigenza nell’ordinamento di una clausola generale di contraddittorio endoprocedimentale, bensì in considerazione delle specifiche caratteristiche ontologiche e normative di detti accertamenti.

Valuta, infatti, a tal fine, per un verso: la peculiarità di detti accertamenti di trovare origine in dati statistici di settore, che per consolidata giurisprudenza (v. Cass. 13741/13, 12428/12, 13594/10, 4148/09, 26459/08, 19829/08, 9625/07, 6758/07, 18038/05, 26388/05), pur costituendo presupposto per il legittimo ricorso all’accertamento induttivo, non assurgono di per sè stessi, se contrastati, al valore di prova nemmeno presuntiva, all’uopo necessitando di essere integrati da elementi concreti desunti dalla realtà economica dell’impresa del singolo contribuente. Per l’altro:

gli specifici richiami normativi (v. il riferimento all’istituto del c.d. “accertamento con adesione” contenuto nella L. n. 549 del 1995, art. 3, comma 185, in tema di “parametri”, e la previsione della L. n. 146 del 1998, art. 10, comma 3 bis, in tema di “studi di settore”) in proposito operati, anche sulla scia del dictum di C. cost. 105/03, al contraddittorio, quale strumento essenziale ed imprescindibile “per consentire un necessario adeguamento della elaborazione parametrica – che, essendo un’estrapolazione statistica a campione di una platea omogenea di contribuenti, soffre delle incertezze da approssimazione dei risultati proprie di ogni strumento statistico – alla concreta realtà reddituale oggetto dell’accertamento nei confronti di un singolo contribuente”.

  1. Segue: Cass. ss.uu. 19667/14 e 19668/14 e la giurisprudenza successiva.

4.1 Cass. ss.uu. 19667/14 e 19668/14.

A parte Cass. 2594/14, la prima significativa distonia rispetto al pressochè univoco orientamento sopra evidenziato sul tema del contraddittorio endoprocedimentale è, dunque, costituita proprio dalle sentenze Cass., ss.uu., 19667/14 e 19668/14, i cui contenuti motivazionali, sembrano effettivamente tendere, così come rilevato dall’ordinanza interlocutoria, al riconoscimento di una generalizzata espansione di detta garanzia, quale espressione di principio immanente all’ordinamento nazionale ed a quello Europeo.

Ciononostante, la particolare specificità della questione devoluta alle pronunzie in rassegna e gli sviluppi argomentativi su di essa più propriamente incentrati (cfr. il punto 13 delle sentenze), pure puntualmente riscontrati dall’ordinanza di rimessione, inducono a ritenere che il suddetto riconoscimento resti fuori dall’ambito del principio di diritto propriamente enucleabile dalle pronunzie medesime, in quanto strettamente riferibile al relativo concreto decisum.

Invero le decisioni 19667/14 e 19668/14 hanno affrontato il tema del contraddittorio con specifico riguardo alle iscrizioni ipotecarie D.P.R. n. 602 del 1973, ex art. 77, (in riferimento al regime antecedente all’entrata in vigore del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 77, comma 2 bis, introdotto con D.L. n. 70 del 2011, convertito in L. n. 106 del 2011). E, pertanto, in relazione ad atti, per i quali (a differenza di quanto avviene per gli avvisi di accertamento, pur se adottati “a tavolino”), la comunicazione all’interessato non è normativamente prescritta in termini espliciti nemmeno dopo l’adozione, e per i quali il tema dell’assenza di contraddittorio si pone quindi (in rapporto alla disciplina applicabile ratione temporis), non solo, e non tanto, nell’ambito (endoprocedimentale) dell’iter amministrativo di formazione, quanto, e soprattutto, nella fase (postprocedimentale) successiva al perfezionamento dell’atto ed esposta alle conseguenze della relativa efficacia.

D’altro canto, è proprio questa precipua caratteristica degli atti considerati – quella, cioè, di essere atti impugnabili (davanti al giudice tributario: v. D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, comma 1, lett. e bis, e art. 21), e, pur tuttavia, suscettibili non solo di esser posti in essere, ma, altresì e soprattutto, di produrre effetti pregiudizievoli per il destinatario anche inscienta domino – ad essere (correttamente) stigmatizzata dalle sentenze gemelle (cfr.

il citato punto 13), per indebita compressione della stessa garanzia della difesa giurisdizionale di cui all’art. 24 Cost., e ad indurle a porvi rimedio mediante omologazione della disciplina pregressa a quella sopravvenuta (v. il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 77, comma 2 bis, introdotto con d.l. 70/2011, convertito in L. n. 106 del 2011, cit.).

4.2 La giurisprudenza successiva a Cass. ss.uu., 19667/14 e 19668/14.

Successivamente alle pronunzie sopra analizzate, Cass. 25759/14 e Cass. 406/15 hanno affermato che, in tema di imposte dirette (regolate dal solo diritto nazionale: v. infra sub 6^), l’obbligo del contraddittorio, sancito per gli accertamenti fondati su ipotesi di abuso di diritto ivi nominativamente contemplate dal quarto comma del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37 bis, (poi abrogato e sostituito dalla L. n. 212 del 2000, art. 10 bis, ad opera del D.Lgs. n. 128 del 2015), deve ritenersi operante anche in relazione agli accertamenti basati su fattispecie atipiche di abuso di diritto.

In applicazione dei principi costituzionali (segnatamente, di quello di cui all’art. 3 Cost.) e considerata l’esigenza che l’interpretazione del diritto nazionale sia per quanto possibile conforme ai principi dell’ordinamento Europeo, a tale conclusione le citate decisioni sono pervenute in base al rilievo che le indicate ipotesi di abuso di diritto non si distinguono morfologicamente dai corrispondenti abusi di diritto di natura comunitaria, sicchè un diverso trattamento in tema di contraddittorio (per la disciplina del contraddittorio in ambito comunitario, v. infra sub 5^) risulterebbe razionalmente intollerabile.

Tanto, peraltro, è avvenuto in merito ad accertamenti conseguenti a verifiche ispettive svolte presso la sede della società contribuente (cfr. p. 10 3.4 della sentenza 406/15 e p. 16 3.8 della sentenza 25759/14) e quindi, comunque, a pieno titolo, rientranti nella previsione di cui all’art. 12, comma 7, 1. 212/2000 (disponente obbligo di contraddittorio secondo modalità sostanzialmente sovrapponìbili, in particolare dopo Cass., ss.uu., 18184/13, a quelle di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37 bis).

Altre decisioni (Cass. 16036/15, 6232/15, 5632/15, 992/15, 961/15), intervenute su controversie aventi ad oggetto iva e, dunque, tributo “armonizzato”, hanno ritenuto, in tale ambito, operante la garanzia del contraddittorio endoprocedimentale, quale principio immanente nell’ordinamento Europeo, ma nell’accezione sostanzialisticamente restrittiva, di cui alla più recente giurisprudenza della Corte di giustizia (per cui v. infra sub 5^).

  1. Segue: Corte costituzionale 132/15.

L’escursus sulla giurisprudenza di legittimità interferente con il tema in rassegna non può trascurare la recente sentenza C. cost.

132/15. Pronunzia, che ha ritenuto infondata la questione dell’illegittimità costituzionale del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37 bis, comma 3, prospettata in relazione al fatto che, in tema di imposte dirette, la norma, esplicitamente imponendo il contraddittorio endoprocedimentale quale condizione di legittimità dei soli accertamenti fondati sulle ipotesi tipizzate di abuso di diritto, sembra determinare un ingiustificato deteriore trattamento di questi rispetto agli accertamenti basati su ipotesi innominate di abuso di diritto.

Dalla pronunzia non emerge, tuttavia, alcun utile contributo al dibattito in rassegna.

Mentre la pronuncia stessa (a p. 9) apertamente denuncia di non prendere posizione sul tema dell’esistenza di una clausola generale di contraddittorio endoprocedimentale, (“La sussistenza di un orientamento non isolato della stessa Corte di cassazione, che tende a riconoscere forza espansiva alla regola contenuta nella norma denunciata, non consente di ritenere esistente un diritto vivente in base al quale gli atti impositivi adottati in applicazione della clausola generale antielusiva si debbano considerare validi anche se emessi in violazione della regola contenuta nella stessa norma”), la decisione si sviluppa, invero, attraverso proposizioni, che si rivelano, quanto al tema in esame, del tutto non significative.

In sede di delibazione dell’ammissibilità della questione (v. p. 7), evoca (genericamente), infatti, il principio generale di diritto comunitario del rispetto dei diritti di difesa al solo scopo di contrastare, controbilanciandolo, l’assunto, in detta ottica prospettato dall’intervenuta Presidenza del Consiglio dei ministri, secondo cui l’obbligo di contraddittorio sancito dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37 bis, dovrebbe essere sacrificato sull’altare del principio di effettività del diritto comunitario e dell’obbligo del giudice nazionale, ad esso conseguente, di disapplicare le norme processuali di diritto interno che ne possano ostacolare la realizzazione. Quindi (v. pp. 8/9), risolve la questione a lei specificamente devoluta in base al rilievo che – avendo la successiva giurisprudenza di legittimità affermato l’operatività dell’obbligo del contraddittorio anche in relazione ad accertamenti relativi ad abuso di diritto innominato (v. Cass. 406/2015 e 25759/14, precedentemente esaminate sub 4.2) – deve ritenersi insussistente, alla luce del diritto vivente, lo stesso presupposto della questione demandatale.

3 – L’ulteriore sviluppo dell’indagine: la disciplina positiva.

Delineato il quadro giurisprudenziale di riferimento (espressivo, nella varietà delle sue articolazioni, delle diverse linee di tendenza sottostanti al dibattito sul tema in oggetto), occorre procedere all’analisi della disciplina positiva; alla quale soltanto – a prescindere dalle convinzioni in merito all’utilità del contraddittorio endoprocedimentale in campo tributario e dalle aspettative sull’evoluzione legislativa in materia deve necessariamente far capo l’attività dell’interprete.

In tale prospettiva, seguendo il percorso tracciato dall’ordinanza di rimessione, bisogna esaminare in progressione: a) se la disposizione di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, possa essere interpretata nel senso della predisposizione di un obbligo di contraddittorio endoprocedimentale generalizzato; b) se tale obbligo possa desumersi da altre disposizione dell’ordinario ordinamento nazionale o direttamente da norme costituzionali; c) se tale obbligo scaturisca da norme dell’ordinamento Europeo; d) quali siano, ove si giunga alla conclusione che l’obbligo in oggetto sussiste e scaturisce da fonte diversa dalla previsione di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, le modalità di relativa attuazione e le conseguenze della sua violazione.

4 – L’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale in campo tributario ed il diritto nazionale.

  1. La L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7.

Procedendo secondo l’iter sopra descritto, si riscontra, in primo luogo, che la previsione della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, non è fonte di un generalizzato obbligo di contraddittorio endoprocedimentale a carico dell’Amministrazione fiscale; e, dunque, dell’obbligo dell’Amministrazione medesima, ogni qual volta si accinga ad adottare un provvedimento lesivo dei diritti del contribuente e pur in assenza di specifica norma positiva che per quel provvedimento lo sancisca, di attivare con l’interessato contraddittorio preventivo, pena l’invalidità dell’atto.

Emerge infatti, viceversa, che le garanzie fissate nella L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, (v. sopra sub 2 – 1) trovano applicazione esclusivamente in relazione agli accertamenti conseguenti ad accessi, ispezioni e verifiche fiscali effettuate nei locali ove si esercita l’attività imprenditoriale o professionale del contribuente; ciò, peraltro, indipendentemente dal fatto che l’operazione abbia o non comportato constatazione di violazioni fiscali (cfr.: Cass. 15010/14, 9424/14, 5374/14, 2593/14, 20770/13, 10381/11).

Nel senso indicato militano univocamente il dato testuale della rubrica (“Diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali”) e, soprattutto, quello della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 1, (coniugato con la circostanza che l’intera disciplina contenuta nella disposizione risulta palesemente calibrata sulle esigenze di tutela del contribuente in relazione alle visite ispettive subite in loco), che, esplicitamente, si riferisce agli “accessi, ispezioni e verifiche fiscali nei locali destinati all’esercizio di attività commerciali, industriali, agricole, artistiche o professionali”; ad operazioni, cioè, che costituiscono categorie d’intervento accertativo dell’Amministrazione tipizzate ed inequivocabilmente identificabili, in base alle indicazioni di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52, comma 1, richiamato, in tema di imposte dirette dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, e, in materia di imposta di registro, dal D.P.R. n. 131 del 1986, art. 53 bis, (del che, in particolare, non sembra aver tenuto conto Cass. 2594/14, quando riferisce all’ambito degli accessi e delle verifiche rilevanti ai fini della previsione della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, gli accertamenti fondati si indagini su conti correnti bancarii v. sopra, sub 2^ – 2).

Si è, dunque, in presenza di una situazione, in cui il ravvisare nella disposizione in rassegna la fonte di un generalizzato diritto del contribuente al contraddittorio fin dalla fase di formazione della pretesa fiscale comporterebbe un’inammissibile interpretazione abrogans di parte qualificante del dato normativo. Ciò tanto più in considerazione del fatto che non irragionevole proiezione teleologica del riportato dato testuale – univocamente tendente alla limitazione della garanzia del contraddittorio procedimentale di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, alle sole verifiche in loco – è riscontrabile nella peculiarità stessa di tali verifiche, in quanto caratterizzate dall’autoritativa intromissione dell’Amministrazione nei luoghi di pertinenza del contribuente alla diretta ricerca, quivi, di elementi valutativi a lui sfavorevoli: peculiarità, che specificamente giustifica, quale controbilanciamento, il contraddittorio al fine di correggere, adeguare e chiarire, nell’interesse del contribuente e della stessa Amministrazione, gli elementi acquisiti presso i locali aziendali.

Al riguardo, non può, d’altro canto, trascurarsi di riflettere, ulteriormente, sul fatto che Cass., ss.uu., 18184/13 – nel definire il principio di diritto affermato (in merito alla nullità, pur non espressamente comminata, dell’atto impositivo emanato senza il rispetto del termine dilatorio di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7) – ha, non a caso, espressamente correlato la decorrenza del termine dilatorio, destinato all’espletamento del contraddittorio, al momento del rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni “al contribuente, nei cui confronti sia stato effettuato un accesso, un’ ispezione o una verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività”.

  1. Norme ordinarie dell’ordinamento nazionale diverse da quella di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7.

L’approfondimento dell’indagine porta ad escludere che una clausola generale di contraddittorio endoprecedimentale in campo tributario possa essere riferita a norme ordinarie dell’ordinamento nazionale diverse da quella di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7.

In proposito, deve rilevarsi che la L. n. 241 del 1990, (“Nuove norme in materia di procedimento amministrativo..”) – nel regolare, al capo terzo, la “partecipazione al procedimento amministrativo”, tra l’altro contemplante (all’art. 7) l’obbligo dell’Amministrazione di comunicare agli interessati l'”avvio del procedimento”, al fine di consentirne l’interlocuzione prima dell’adozione del definitivo provvedimento amministrativo – esclude espressamente dalla disciplina partecipativa ivi prevista “i procedimenti tributar per i quali restano parimenti ferme le particolari norme che li regolano…”.

Deve, inoltre, osservarsi che a siffatta previsione offre rispondenza una normativa tributaria, nel cui ambito non si rinviene alcuna disposizione espressa che sancisca in via generale l’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale e ne possa essere considerata la fonte, ma si rinvengono, invece, una pluralità di disposizioni, che tale contraddittorio prescrivono, peraltro a condizioni e con modalità ed effetti differenti, in rapporto a singole ben specifiche ipotesi. In particolare, al riguardo, rilevano: la già esaminata L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, con riguardo agli avvisi conseguenti a verifiche effettuate presso i locali del contribuente;

la L. n. 549 del 1995, art. 3, comma 185, e L. n. 146 del 1998, art. 10, comma 3 bis, (introdotto dalla L. n. 311 del 2004, art. 1, comma 409, lett. b), in tema di “accertamenti standardizzati” (v. sopra sub 2^ – 3); il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis, comma 3, e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 bis, comma 3, nonchè la L. n. 212 del 2000, art. 6, comma 5, con riferimento alle liquidazioni delle imposte in base alla dichiarazione; il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 ter, comma 4, in rapporto al controllo formale delle dichiarazioni ai fini delle imposte dirette; il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 7, (come modificato dal D.L. n. 78 del 2010, art. 22, comma 1, convertito in L. n. 122 del 2010), in tema di accertamento sintetico;

l’art. 110, comma 11, (e, in precedenza, il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 76, comma 7 ter), in tema di recupero a tassazione di deduzioni di costi relativi ad operazioni intercorse con imprese con sede in Paesi Black list; l’art. 37 bis, comma 4, (introdotto dal D.Lgs. n. 358 del 1997, ed abrogato dal D.Lgs. n. 128 del 2015, art. 1, comma 2), in merito agli accertamenti in materia di imposte dirette fondati su ipotesi di abuso di diritto (anche innominate: v. sopra sub 2^ – 4.2); la L. n. 212 del 2000, art. 10 bis, comma 6, (introdotto, in sostituzione della disposizione prima esaminata, dal D.Lgs. n. 128 del 2015, art. 1, comma 1); il D.Lgs. n. 374 del 1990, art. 11, comma 4 bis, (introdotto dal D.L. n. 1 del 2012, art. 92, comma 1, convertito in L. n. 27 del 2012), in materia doganale.

D’altro canto, il complementare compenetrarsi delle due riportate discipline (quella sul procedimento amministrativo e quella sul procedimento tributario) comporta che la ricorrenza, in campo tributario, di una pluralità di norme che prescrivono il contraddittorio endoprocedimentale in rapporto ad atti specifici lungi dal poter assurgere ad indice dell’esistenza, nell’ordinamento tributario, di una clausola generale di contraddittorio endoprocedimentale – assume, ineludibilmente, la valenza opposta.

3 Argomenti sistematici.

Che nell’ordinamento nazionale non esista, allo stato, un principio generale, per il quale, anche in assenza di specifica disposizione, l’Amministrazione sarebbe tenuta ad attivare il contraddittorio endoprocedimentale ogni volta che debba essere adottato un provvedimento lesivo dei diritti e degli interessi del contribuente, si ricava anche, indirettamente, da ulteriori significativi dati sistematici.

Ci si riferisce, in particolare, alla circostanza che il D.L. n. 78 del 2010, art. 22, comma 1, convertito in L. n. 122 del 2010, ha introdotto l’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale in tema di accertamento sintetico “con effetto per gli accertamenti relativi ai redditi per i quali il termine di dichiarazione non è ancora scaduto alla data di entrata in vigore del presente decreto” e che, al fine di adeguare la disciplina nazionale in materia doganale a quella Europea, il D.L. n. 1 del 2012, art. 92, comma 1, convertito in L. n. 27 del 2012, ha introdotto nella previsione del D.Lgs. n. 374 del 1990, art. 11, il comma 4 bis, contemplante l’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale anche per l’ipotesi di “revisione eseguita in ufficio”, e quindi, di accertamento c.d. “a tavolino”.

Risultando così asseverato a contrario, da entrambe le disposizioni, il convincimento che, allo stato attuale della legislazione, non sussiste, nell’ordinamento tributario nazionale, una clausola generale di contraddittorio endoprocedimentale.

Ancor più incisivo, nel senso indicato, è, forse il rilievo che la L. n. 23 del 2014, di delega al Governo per la riforma del sistema fiscale, inserisce tra i principi e criteri direttivi della delega la “previsione di forme di contraddittorio propedeutiche alla adozione degli atti di accertamento dei tributi” (cfr. l’art. 1, comma 1, lett. b), nonchè il rafforzamento del “contraddittorio nella fase di indagine e la subordinazione dei successivi atti di accertamento e di liquidazione all’esaurimento del contraddittorio procedimentale” (v.

l’art. 9, comma 1, lett. b).

  1. Il contraddittorio endoprocedimentale e gli artt. 24 e 97 Cost..

L’esistenza di un generalizzato obbligo dell’Amministrazione di attivare il contraddittorio endoprocedimentale in campo tributario non può essere direttamente ancorato agli artt. 24 e 97 Cost..

Le garanzie di cui all’art. 24 Cost., attengono, testualmente, all’ambito giudiziale; così pure quella di difesa di cui al comma 2, sia per collocazione, tra il comma 1 ed i commi 3 e 4 (che recano il testuale inequivocabile riferimento all’ambito giudiziale), sia per l’esplicito riferimento al “procedimento” in ogni suo “stato e grado”.

Nè è condivisibile il rilievo (riportato a p. 14 dell’ordinanza interlocutoria) secondo cui – essendo il giudizio tributario caratterizzato da un’istruttoria giudiziale monca della possibilità di raccogliere prove costituende davanti a giudice terzo e, dunque, di rinnovare davanti ad esso eventuali dichiarazioni di persone informate dei fatti raccolte dai verbalizzanti in sede amministrativa e dotate di valore indiziario – l’anticipazione dei poteri partecipativi del contribuente a momento anteriore all’emanazione dell’atto impositivo, si proietterebbe (ponendo rimedio ad una supposta situazione di “disparità delle armi” in dotazione alle parti processuali), sulla stessa effettività della tutela giudiziale del contribuente.

In proposito mette conto, in primo luogo, rilevare che l’affermazione del principio della generalizzata operatività del contraddittorio endoprocedimentale in campo tributario nella prospettiva sopra indicata dovrebbe, in ogni caso, inevitabilmente transitare attraverso declaratoria d’incostituzionalità della normativa ordinaria in antecedenza esaminata, che, come si è visto (v. i precedenti nn. 1, 2 e 3), conduce invece, univocamente, alla soluzione inversa. Come pure evidenziato dall’ordinanza di rimessione, un’interpretazione costituzionalmente orientata presuppone infatti, ineludibilmente, un quadro normativo al quale sia possibile attribuire una pluralità di significati, di cui (almeno) uno conforme al ritenuto tenore della Carta costituzionale.

Ma, in disparte l’esposta considerazione, decisivo, in proposito, si rivela il rilievo che, secondo la giurisprudenza del Giudice delle leggi (v. C.cost. 18/00) e reiterate pronunzie di questa Corte il giudizio tributario, seppur nella sua particolarità, non viola, per la caratteristica qui in esame, il principio c.d. della “parità delle armi”, cui da copertura costituzionale l’art. 111 Cost., giacchè, fermo restando il divieto di ammissione della prova testimoniale sancito dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, il potere di introdurre in giudizio dichiarazioni rese da terzi in sede extraprocessuale, con il valore probatorio proprio degli elementi indiziarì, compete non solo all’Amministrazione finanziaria, che tali dichiarazioni abbia raccolto nel corso d’indagine amministrativa, ma, altresì, con il medesimo valore probatorio, al contribuente (cfr. in tal senso, tra le altre, Cass. 5018/15, 11785/10, 16032/05, 4269/02).

Non va, infine, trascurato di considerare che la stessa disciplina comunitaria – certamente più avanzata in tema di contraddittorio endoprocedimentale (v. infra, sub 5^ – 2) – esclude esplicitamente che, in seno al procedimento tributario, l’acquisizione delle prove debba avvenire in contraddittorio: “l’amministrazione, quando procede alla raccolta d’informazioni, non è tenuta ad informarne il contribuente nè a conoscere il suo punto di vista” (cfr. sentenza 22.10.13, in causa C-276/12 Jiri Sabou: punto 41).

Non diversamente, l’art. 97 Cost. non reca, in alcuna delle sue articolazioni, il benchè minimo indice rivelatore dell’indefettibilità del contraddittorio endoprocedimentale; nè in seno al procedimento amministrativo (in relazione al quale l’obbligo del contraddittorio procedimentale è generalizzatamente sancito da legge ordinaria (v., in particolare, il precedente punto 2) nè, tanto meno, con riguardo allo specifico procedimento tributario, per il quale la normativa ordinaria espressamente esclude la sussistenza di una clausola generale di contraddittorio endoprocedimentale, riconoscendo la ricorrenza dell’obbligo correlativo solo in presenza di specifica previsione (v. ibidem).

  1. Valutazioni conclusive.

Tutti i parametri normativi di riferimento portano, dunque, recisamente ad escludere che, sulla base della normativa nazionale, possa, in via interpretativa, postularsi l’esistenza di un principio generale, per il quale l’Amministrazione finanziaria, anche in assenza di specifica disposizione, sia tenuta ad attivare, pena la nullità dell’atto, il contraddittorio endoprocedimentale ogni volta che debba essere adottato un provvedimento lesivo dei diritti e degli interessi del contribuente.

D’altro canto, come emerge dalla stessa ordinanza di rimessione, a siffatta interpretazione osterebbe, altresì, la circostanza che, ove vi accedesse, l’interprete – attesa anche l’eterogeneità della disciplina predisposta per le varie ipotesi di contraddittorio tipizzate – non potrebbe sottrarsi al compito (non congeniale alla funzione) di ricostruire, per le ipotesi non specificamente regolate (e, dunque, mute sul punto), le modalità di concreto esercizio del diritto scaturente dal principio affermato e delle conseguenze della relativa violazione.

5 – Contraddittorio endoprocedimentale in materia tributaria e diritto dell’Unione Europea.

  1. Il diritto al contraddittorio endoprocedimentale, quale diritto fondamentale dell’Unione Europea.

L’ordinamento Europeo adotta in tema di contraddittorio endoprocedimentale in materia tributaria impostazione diversa.

Dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia (cfr. sentenze:

3.7.2014, in causa C-129 e C/130/13, Ramino International Logistics;

22.10.13, in causa C-276/12, Jiri Sabou; 18.12.08, in causa C-349/07, Sopropè; 12.12.02, causa C-395/00, Soc. Distillerie Cipriani;

21.9.00, in causa C-462/98 P, Mediocurso c. Commissione; 4.10.96, in causa C-32/95 c. Lisrestat) emerge che il rispetto del contraddittorio nell’ambito del procedimento amministrativo, non escluso quello tributario, costituisce, quale esplicazione del diritto alla difesa, principio fondamentale dell’ordinamento Europeo, che trova applicazione ogniqualvolta l’Amministrazione si proponga di adottare nei confronti di un soggetto un atto ad esso lesivo, sicchè il destinatario di provvedimento teso ad incidere sensibilmente sui suoi interessi deve, pena la caducazione del provvedimento medesimo, essere messo preventivamente in condizione di manifestare utilmente il suo punto di vista in ordine agli elementi sui quali l’amministrazione intende fondare la propria decisione (cfr., in particolare, la decisione 18.12.08, in causa C-349/07, Sopropè, punti 36 e 37).

Il principio è attualmente codificato nell’art. 41 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea. Nel garantire il diritto ad una buona amministrazione, la disposizione (che avendo assunto il medesimo valore giuridico dei trattati, solo con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona avvenuta l’1.12.2009, è, di per sè, ratione temporis, applicabile solo ai procedimenti amministrativi conclusisi con provvedimenti successivi alla data suddetta), prevede, al 2, che, nell’ambito del menzionato diritto, va, tra gli altri, ricompreso “il diritto di ogni persona ad essere ascoltata prima che nei suoi confronti venga adottato un provvedimento individuale che le rechi pregiudizio” (cfr. Corte giust. 22.10.13, in causa C-276/12, Jirì Sabou; 3.7.2014, in causa C-129 e C^130/13, Ramino International Logistics).

  1. Segue: limiti.

Il principio dell’obbligatorietà del contraddittorio endoprocedimentale non è, tuttavia, assunto dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia in termini assoluti e puramente formali, posto che anche i diritti fondamentali, quali il diritto di difesa, non danno vita a prerogative incondizionate, potendo soggiacere a restrizioni, che rispondano, con criterio di effettività e proporzionalità, ad obiettivi di interesse generale (cfr. Corte giust. 3.7.2014, in cause C-129 e C-130/13, Ramino International Logistics; 26.92013, in C-418/11, Texdata Software).

Al riguardo, si è, infatti, puntualizzato, con specifico riferimento a procedimento tributario, che l’obbligo del contraddittorio non investe l’attività d’indagine e di acquisizione di elementi probatori anche testimoniali svolta dall’Amministrazione fiscale, essendosi specificamente affermato che “l’Amministrazione, quando procede alla raccolta d’informazioni, non è tenuta ad informarne il contribuente nè a conoscere il suo punto di vista” (Corte giust.

22.10.13, in causa C-276/12, Jiri Sabou: punto 41).

E’ stato, inoltre, riconosciuto (da Corte giust. 3 luglio 2014, cause C-129 e C-130/13, Kamino International Logistics, punto 55, nonchè 26.92013, in C-418/11, Texdata Software, punto 85) – con ciò già ripudiandosi una lettura meramente formalistica del principio dell’obbligatorietà del contraddittorio endoprocedimentale) – che la possibilità di un’audizione successiva, effettuata in esito ad impugnazione di provvedimento sfavorevole, può essere idoneo a garantire il rispetto del diritto ad essere sentiti, seppur alla condizione che la normativa nazionale consenta all’interessato non previamente sentito, di ottenere in via automatica la sospensione dell’esecuzione del provvedimento fino alla sua eventuale riforma.

Si è, soprattutto, affermato (in prospettiva che richiama il pragmatico canone giuspubblicistico della strumentante delle forme) che – avendo il giudice nazionale, in ogni caso, l’obbligo di garantire la piena effettività del diritto dell’Unione – il riscontro di una violazione dei diritti di difesa, in particolare del diritto ad essere sentiti prima dell’adozione di provvedimento lesivo, determina l’annullamento dell’atto adottato al termine del procedimento amministrativo soltanto se, in mancanza di tale irregolarità, detto procedimento “avrebbe potuto comportare un risultato diverso” (cfr.: Corte giust. 3.7.2014, in causa C-129 e C- 130/13, Ramino International Logistics, punti 78 – 82 e la precedente giurisprudenza ivi richiamata.

6 – Divergenze tra disciplina Europea e disciplina nazionale in tema di contraddittorio endoprocedimentale in materia tributaria.

  1. Effetti.

Alla luce di quanto sopra esposto, deve, dunque, registrarsi che, sul tema in rassegna, non vi è coincidenza tra disciplina Europea e disciplina nazionale.

La prima, infatti, prevede il contraddittorio endoprocedimentale, in materia tributaria, quale principio di generale applicazione, pur valutandone gli effetti in termini restrittivamente sostanzialistici;

la seconda, lo delinea, invece, quale obbligo gravante sull’Amministrazione a pena di nullità dell’atto – non, generalizzatamente, ogni qual volta essa si accinga ad adottare provvedimento lesivo dei diritti e degli interessi del contribuente – ma, soltanto, in relazione ai singoli (ancorchè molteplici) atti per i quali detto obbligo è esplicitamente contemplato (v. sopra, sub 4^ – 2).

L’indicata divaricazione si proietta inevitabilmente sulla regolamentazione dei tributi c.d. “non armonizzati” (in particolare:

quelli diretti), estranei alla sfera di competenza del diritto dell’Unione Europea, e di quelli c.d. “armonizzati” (in particolare:

l’iva), in detta sfera rientranti.

  1. L’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale in relazione agli accertamenti concernenti tributi “non armonizzati”.

Per i tributi “non armonizzati”, l’obbligo dell’Amministrazione di attivare il contraddittorio endoprocedimentale, pena l’invalidità dell’atto, sussiste esclusivamente in relazione alle ipotesi, in cui tale obbligo sia previsto da specifica norma di legge.

Ai suddetti tributi, estranei alle competenze dell’Unione, non si applica, invero, il diritto Europeo (v. Corte giust. 3.7.2014, in causa C-129 e C/130/13, Kamino International Logistics; 22.10.13, in causa C-276/12, Jiri Sabou; 26.2.2013, in causa 617/10, Akeberg Fransson; 26.9.13, in causa C-418/11, Texdata software; 18.12.08, in causa C-349/07, Sopropè).

I principi dell’ordinamento giuridico dell’Unione operano, infatti, in tutte le situazioni disciplinate dal diritto dell’Unione, ma (v.

anche l’art. 5 2, T.U.E.) non trovano applicazione al di fuori di esse. Coerentemente, in base alla previsione del relativo art. 51, le disposizioni della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea si applicano agli Stati membri (a decorrere dall’1.12.2009) esclusivamente ai fini dell’attuazione del diritto dell’Unione, atteso che la Carta non estende l’ambito di applicazione del diritto dell’Unione al di là delle sue competenze, nè introduce competenze nuove o compiti nuovi per l’Unione, nè modifica le competenze e i compiti definiti nei Trattati (C.G. 8.5.14, in causa C-483/12, Pelckmans; ord. 12.7.2012, in causa C-466/11, Currà, sent.15.11.2011, in causa C-256/11, Dereci).

  1. L’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale in relazione agli accertamenti concernenti tributi “armonizzati”.

3.1 Caratteristiche.

Nel campo dei tributi “armonizzati” (che, inerendo alle competenze dell’Unione, sono investiti dalla diretta applicazione del relativo diritto) l’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale assume, invece, rilievo generalizzato.

In tale ambito – al di fuori delle specifiche ipotesi, per le quali l’obbligo del contraddittorio è espressamente sancito dal diritto nazionale nel rispetto dei principi di “equivalenza” e di “effettività” (v. Corte giust. 3.7.2014, in causa C-129 e C/130/13, Ramino International Logistics, punto 82) – opera, infatti, la clausola generale di contraddittorio endoprocedimentale di matrice comunitaria (v. prec. cap. V), sanzionata, in caso di violazione, con la nullità del conclusivo atto impositivo. Nell’uno e nell’altro caso tuttavia (non potendo le indicazioni della giurisprudenza comunitaria ricevere attuazione che nella complessità delle relative articolazioni), sempre che, in mancanza di violazione dell’obbligo, il procedimento “avrebbe potuto comportare un risultato diverso” (con riferimento a rettifiche iva “a tavolino”, in tal senso, Cass. 16036/15, 6232/15, 5632/15, 992/15, 961/15; v. sopra sub 2^ – 4.2).

3.2 Definizione del limite di rilevanza della violazione dell’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale in tema di accertamenti relativi a tributi “armonizzati”.

Resta, allora, da definire la concreta portata del principio, secondo cui la violazione dell’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale da parte dell’Amministrazione fiscale determina l’annullamento del provvedimento adottato al termine del procedimento soltanto se, in mancanza di tale irregolarità, il procedimento “avrebbe potuto comportare un risultato diverso”.

In astratto, si potrebbe essere indotti a ritenere che la limitazione della rilevanza della violazione dell’obbligo del contraddittorio, all’ipotesi in cui la sua osservanza “avrebbe potuto comportare un risultato diverso” del procedimento impositivo, implichi l’effetto della nullità (parziale o totale) dell’accertamento soltanto se il contribuente fornisca in giudizio prova del fatto che l’omissione del contraddittorio gli ha impedito di far emergere circostanze e ragionamenti idonei ad attestare altri eventuali profili d’illegittimità o l’infondatezza (totale o parziale) della pretesa fiscale.

La soluzione non appare, tuttavia, convincente.

Secondo l’indicata impostazione, infatti, la violazione del contraddittorio, quale vizio del procedimento amministrativo, risulterebbe, nella sostanza, deprivato di ogni rilevanza, venendo, in realtà, tutto rimesso, (non diversamente da quanto avverrebbe in assenza della prescrizione dell’obbligo correlativo) alla capacità del contribuente di comprovare, in sede di confronto giudiziale, l’illegittimità per altri profili della pretesa fiscale o la sua infondatezza. E, in tal modo, l’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale risulterebbe, di per sè, in assoluto derubricato a precetto senza sanzione, in contrasto con la stessa configurazione offertane dalla giurisprudenza della Corte di giustizia.

L’impostazione si pone, d’altro canto, in aperta contraddizione con la suddetta giurisprudenza, laddove questa afferma che, ai fini considerati, non può obbligarsi l’interessato “a dimostrare che la decisione… avrebbe avuto un contenuto differente, bensì solo che tale ipotesi non va totalmente esclusa in quanto… avrebbe potuto difendersi più efficacemente in assenza dell’irregolarità procedurale”. (cfr.: Corte giust. 1 ottobre 2009, in C-141/08, Foshan Shunde Yongjian Housewares, punto 94; 2 ottobre 2003, in C-194/99, Thyssen Stani/Commissione, punto 31; 8 luglio 1999, causa C-51/92, Hercules Chemicals/Commissione, punto 81).

Gli esposti rilievi e il tenore della giurisprudenza comunitaria appena richiamata, inducono, quindi, a ritenere che la limitazione della rilevanza della violazione dell’obbligo del contraddittorio, all’ipotesi in cui la sua osservanza “avrebbe potuto comportare un risultato diverso” del procedimento impositivo, vada inteso nel senso che l’effetto della nullità dell’accertamento si verifichi allorchè, in sede giudiziale, risulti che il contraddittorio procedimentale, se vi fosse stato, non si sarebbe risolto in puro simulacro, ma avrebbe rivestito una sua ragion d’essere, consentendo al contribuente di addurre elementi difensivi non del tutto vacui e, dunque, non puramente fittizi o strumentali.

Più in particolare, deve, dunque, affermarsi che in relazione ai tributi “armonizzati”, affinchè il difetto di contraddittorio endoprocedimentale determini la nullità del provvedimento conclusivo del procedimento impositivo, non è sufficiente che, in giudizio, chi se ne dolga si limiti alla relativa formalistica eccezione, ma è, altresì, necessario che esso assolva l’onere di prospettare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere, qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato (cfr. Cass. 11453/14, 25054/13, ss.uu. 20935/09), e che l’opposizione di dette ragioni (valutate con riferimento al momento del mancato contraddittorio), si riveli non puramente pretestuosa e tale da configurare, in relazione al canone generale di correttezza e buona fede ed al principio di lealtà processuale, sviamento dello strumento difensivo rispetto alla finalità di corretta tutela dell’interesse sostanziale, per le quali l’ordinamento lo ha predisposto (Cass., ss.uu., 9935/15, 23726/07; Cass. 1271/14, 22502/13).

  1. Duplicità di regime giuridico: prospettive di superamento.

Il superamento della duplicità del regime giuridico dei tributi “armonizzati” e di quelli “non armonizzati” in tema di contraddittorio endoprocedimentale non può essere realizzato in via interpretativa.

In proposito, deve convenirsi con il collegio remittente, in merito al rilievo (v. ord. interi, pp. 16, 17) che – pur essendo ragionevole che l’interpretazione del diritto nazionale incidente su rapporti sottratti all’ambito di operatività del diritto comunitario s’ispiri ai principi giuridici enucleati in sede comunitaria su rapporti analoghi rientranti in detto ambito di operatività – non può, tuttavia, negarsi, che, ferma restando l’innegabile influenza che il diritto dell’Unione necessariamente dispiega sui paradigmi ermeneutici con i quali viene interpretato il diritto nazionale, altro è la diretta applicazione dei principi del diritto comunitario altro è l’interpretazione del diritto nazionale secondo criteri comunitariamente orientati. E da ciò discende che l’assimilazione in via ermeneutica del trattamento di rapporti sottratti all’operatività del diritto comunitario (tributi “non armonizzati”) al trattamento di rapporti analoghi ad esso assoggettati (tributi “armonizzati”) è preclusa in presenza di un quadro normativo nazionale univocamente interpretabile nel senso opposto: nella specie, nel senso dell’inesistenza, in campo tributario, di una clausola generale di contraddittorio endoprocedimentale (v. sopra, sub 4^).

L’assorbimento della dicotomia non può, dunque, che attendersi dal Legislatore, il quale del resto, nei contenuti della L. n. 23 del 2014, di delega al Governo per la riforma del sistema fiscale, dimostra, per parte sua (v. sopra, sub 4^ – 3), di essere consapevole delle questione e di intendere farsene carico.

6^ – Conclusioni.

  1. Principio di diritto.

Alla stregua delle considerazioni che precedono, può affermarsi il seguente principio di diritto: “Differentemente dal diritto dell’Unione Europea, il diritto nazionale, allo stato della legislazione, non pone in capo all’Amministrazione fiscale che si accinga ad adottare un provvedimento lesivo dei diritti del contribuente, in assenza di specifica prescrizione, un generalizzato obbligo di contraddittorio endoprocedimentale, comportante, in caso di violazione, l’invalidità dell’atto. Ne consegue che, in tema di tributi “non armonizzati”, l’obbligo dell’Amministrazione di attivare il contraddittorio endoprocedimentale, pena l’invalidità dell’atto, sussiste esclusivamente in relazione alle ipotesi, per le quali siffatto obbligo risulti specificamente sancito; mentre in tema di tributi “armonizzati”, avendo luogo la diretta applicazione del diritto dell’Unione, la violazione dell’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale da parte dell’Amministrazione comporta in ogni caso, anche in campo tributario, l’invalidità dell’atto, purchè, in giudizio, il contribuente assolva l’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere, qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato, e che l’opposizione di dette ragioni (valutate con riferimento al momento del mancato contraddittorio), si riveli non puramente pretestuosa e tale da configurare, in relazione al canone generale di correttezza e buona fede ed al principio di lealtà processuale, sviamento dello strumento difensivo rispetto alla finalità di corretta tutela dell’interesse sostanziale, per le quali è stato predisposto”.

  1. Applicazione alla fattispecie concreta.

La decisione impugnata si pone in contrasto con l’enunciato principio di diritto.

Ha, infatti, disposto l’annullamento dell’atto impositivo dedotto in controversia per difetto di contraddittorio endoprocedimentale, ancorchè, quanto all’accertamento a fini irpeg ed irap (esclusivamente assoggettato alla normativa nazionale), non sussistesse in capo all’Amministrazione fiscale, vertendosi in tema d’indagine “a tavolino”, alcun obbligo di contraddittorio endoprocedimentale e, quanto all’accertamento a fini iva (oggetto della diretta applicazione del diritto dell’Unione Europea), mancassero indicazioni circa l’assolvimento, da parte della società contribuente, dell’onere di specifica enunciazione delle ragioni che avrebbe potuto far valere in sede di procedimento amministrativo.

La sentenza impugnata va, pertanto, cassata e la causa rinviata, anche per la regolamentazione delle spese del presente giudizio, alla Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna, in diversa composizione.

 

P.Q.M.

 

la Corte, a sezioni unite, accoglie il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per la regolamentazione delle spese del presente giudizio, alla Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 6 ottobre 2015.

Depositato in Cancelleria il 9 dicembre 2015