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Sulla tardiva presentazione della dichiarazione IVA.

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Palais de Justice Rome Cour suprême de cassation

Sulla tardiva presentazione della dichiarazione IVA.

 

La tardiva presentazione della dichiarazione Iva fa perdere il credito d’imposta, anche se maturato anteriormente in precedenti dichiarazioni puntalmente presentate.

Ciò comporta che la contribuente, che non ha presentato la dichiarazione annuale Iva, o presentata tardivamente – incorrendo nell’omessa presentazione – non può utilizzare tale credito in detrazione, per il principio di contiguità temporale dei periodi di imposta, cui è subordinata la operatività della compensazione.

Nel caso di specie la società impugnava,  innanzi alla Ctp di Roma, due avvisi di accertamento per Iva (anni 1997 e 1998) per un credito Iva che la società vantava dopo un acquisto di un immobile nel 1997.

La società interessata presentava con notevole ritardo la dichiarazione annuale Iva per anno 1997, (provvedendo a tale incombenza solo nell’anno 1999), utilizzando tale credito Iva con la dichiarazione Iva anno 1998 detraendo delle  somme per le quali aveva richiesto un rimborso.

Successivamente, l’Ufficio disconosceva tale credito di imposta – perché tardivamente esposto – e non accoglieva la richiesta di rimborso per lo stesso motivo, recuperando la quota riportata a credito con la dichiarazione del 1998 e comminando una sanzione a carico della contribuente.

I due ricorsi, venivano riuniti e trattati unitariamente, vengono accolti dalla Ctp di Roma, la quale riteneva che il ritardo nella presentazione della dichiarazione Iva, non giustificava la pretesa erariale posta in essere dall’Ufficio accertatore.

A seguito dell’appello proposto dall’Ufficio, la Ctr del Lazio, confermava tale statuizione di primo grado, affermando che il credito Iva vantato era certo in quanto derivava da un atto pubblico e che tale disconoscimento comportava invece solo un indebito e ingiustificato arricchimento per l’Erario.

L’Agenzia delle Entrate, proponeva ricorso per Cassazione.

I Giudici della Suprema Corte di Cassazione Civile, sezione V, con Sentenza n. 407 del 13.1.2016, accolgono il ricorso proposto dall’Amministrazione Finanziaria, applicando il principio secondo cui in materia IVA, e con riferimento alla disciplina della detrazione o del rimborso della eccedenza d’imposta, in caso di tardiva presentazione della dichiarazione da parte del contribuente, tale credito di imposta eventualmente esposto nella suddetta dichiarazione, anche se formatosi anteriormente e derivante da precedenti dichiarazioni ritualmente presentate, non può essere riportato nella dichiarazione annuale IVA relativa all’anno successivo, ostando all’utilizzo di detto credito in detrazione.

L’inottemperanza del contribuente all’obbligo della dichiarazione annuale lo espone ad accertamento induttivo, escludendo la possibilità di recuperare tale credito maturato in ordine al relativo periodo d’imposta attraverso il trasferimento della detrazione nel periodo d’imposta successivo, oltre a quello di chiedere il rimborso, nelle ipotesi e nei limiti contemplati dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 30, ma non implica che il contribuente, dopo aver versato somme obiettivamente non dovute, perda il diritto di chiedere la ripetizione dell’indebito, entro i termini e alle condizioni di legge, in quanto la dichiarazione non assume valore confessorio e non costituisce fonte dell’obbligazione tributaria (cfr. Cass. n. 4531/2013, n. 268/2012, n. 16477/2004, n. 1029/2002, n. 8583/1998). La questione posta con il secondo motivo è superata dalla decisione del primo motivo, in merito alla inapplicabilità della procedura di detrazione e rimborso invocata nel caso in esame.

Cass. civ. Sez. V, Sent., 13-01-2016, n. 407

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PICCININNI Carlo – Presidente –

Dott. BIELLI Stefano – Consigliere –

Dott. CIRILLO Ettore – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 15549-2010 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

ABERDEEN 97 SRL;

– intimata –

avverso la sentenza n. 87/2009 della COMM.TRIB.REG. di ROMA, depositata il 23/04/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 09/12/2015 dal Consigliere Dott. LAURA TRICOMI;

udito per il ricorrente l’Avvocato FIORENTINO che ha chiesto l’accoglimento;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MASTROBERARDINO Paola che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

 

Svolgimento del processo

 

  1. La società Aberdeen 97 SRL impugnava dinanzi alla CTP di Roma due avvisi di accertamento per IVA, per gli anni di imposta 1997 e 1998, connessi ad un credito IVA di Euro 1.069.601,86 vantato dalla società in ragione dell’acquisto di un immobile per l’anno 1997.

Nello specifico la società, pur avendo omesso di presentare la dichiarazione annuale 1997 per l’IVA nei termini di legge ed avendovi provveduto solo in data 07.10.1999, aveva riportato il credito di imposta relativo a detto esercizio con la dichiarazione 1998, detratta la minor somma di Euro 258.228,45 chiesta a rimborso. In conseguenza di ciò l’Ufficio aveva disconosciuto il credito tardivamente esposto, non aveva accolto la richiesta di rimborso, ed aveva recuperato la quota parte riportata a credito con la dichiarazione 1998, comminando una sanzione pari all’importo, oltre accessori.

I due ricorsi venivano trattati unitariamente ed accolti, sulla considerazione che il ritardo nella presentazione della dichiarazione IVA annuale dell’esercizio 1997 non poteva giustificare la pretesa erariale.

  1. La CTR, a seguito di appello proposto dall’Ufficio, confermava tale statuizione con la sentenza n. 87/28/09, depositata il 28.04.09 e non notificata, affermando che nel caso di specie il credito Iva era certo, in quanto derivava da atto pubblico e che il disconoscimento del credito solo a causa della tardiva presentazione della dichiarazione annuale IVA avrebbe determinato un indebito arricchimento per l’erario.
  2. L’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione su due motivi. L’intimata non svolge difese.

 

Motivi della decisione

 

1.1. Con il primo motivo, la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, dell’art. 30, comma 2, dell’art. 37, comma 6, e art. 55 nel testo vigente ratione temporis (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) e sostiene che la CTR ha errato nel non considerare come “omessa” la dichiarazione IVA presentata con un ritardo di oltre trenta giorni.

1.2. Con il secondo motivo, la ricorrente lamenta la insufficiente motivazione in merito all’effettiva esistenza del credito IVA, presupposto per poter riconoscere il diritto a detrazione e contesta la statuizione in merito formulata dalla CTR, secondo la quale “il credito è certo in quanto deriva da un atto pubblico”.

1.3. Il primo motivo è fondato e va accolto, assorbito il secondo.

1.4. Va applicato infatti il principio per cui “In materia di IVA, e con riferimento alla disciplina della detrazione o del rimborso della eccedenza d’imposta prevista dal D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 30, comma 2, in caso di tardiva presentazione della dichiarazione da parte del contribuente (che equivale, “a tutti gli effetti”, all’omessa presentazione ai sensi del D.P.R. n. 633 cit., art. 37, u.c., nel testo modificato dal D.P.R. 29 gennaio 1979, n. 24, art. 1), il credito di imposta eventualmente esposto nella suddetta dichiarazione, anche se formatosi anteriormente e derivante da precedenti dichiarazioni ritualmente presentate, non può essere riportato nella dichiarazione annuale IVA relativa all’anno successivo, ostando all’utilizzo di detto credito in detrazione il principio di contiguità temporale dei periodi di imposta cui è subordinata la operatività della compensazione tra il credito ed il debito tributario.” (Cass. n. 1845/2014). L’inottemperanza del contribuente all’obbligo della dichiarazione annuale lo espone all’accertamento induttivo, ed esclude implicitamente la possibilità di recuperare il credito maturato in ordine al relativo periodo d’imposta attraverso il trasferimento della detrazione nel periodo d’imposta successivo, oltre a quello di chiedere il rimborso, nelle ipotesi e nei limiti contemplati dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 30, ma non implica che il contribuente, dopo aver versato somme obiettivamente non dovute, perda il diritto di chiedere la ripetizione dell’indebito, entro i termini e alle condizioni di legge, in quanto la dichiarazione non assume valore confessorio e non costituisce fonte dell’obbligazione tributaria (cfr. Cass. n. 4531/2013, n. 268/2012, n. 16477/2004, n. 1029/2002, n. 8583/1998).

1.5. Nel caso in esame la Commissione non ha fatto corretta applicazione di questi principi e, nell’ipotizzare un indebito arricchimento da parte dell’Erario, ha confuso il diritto alla detrazione ed al rimborso disciplinato dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 30 con il diritto del contribuente a recuperare il credito, attuabile, ove ne ricorrano i presupposti, anche mediante rimborso D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 21.

1.6. La questione posta con il secondo motivo è superata dalla decisione del primo motivo, in merito alla inapplicabilità della procedura di detrazione e rimborso invocata nel caso in esame.

2.1. In conclusione il ricorso va accolto. La sentenza impugnata va cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti, la causa può essere decisa nel merito con il rigetto del ricorso originariamente proposto.

2.2. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e le spese per le fasi di merito si compensano.

 

P.Q.M.

 

LA CORTE DI CASSAZIONE – accoglie il ricorso;

– cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso originariamente proposto;

– condanna l’intimata alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che liquida a favore dell’Agenzia delle entrate nel compenso di Euro 12.000,00, oltre spese prenotate a debito, e compensa le spese di giudizio delle fasi di merito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 9 dicembre 2015.

Depositato in Cancelleria il 13 gennaio 2016