Home Approfondimenti I confini delimitativi del giudizio contro il silenzio della pubblica amministrazione

I confini delimitativi del giudizio contro il silenzio della pubblica amministrazione

2699
0
CONDIVIDI
Palais de Justice Rome Cour suprême de cassation

I confini delimitativi del giudizio contro il silenzio della pubblica amministrazione

Con la recente sentenza n° 736 del 23.02.2016, il Consiglio di Stato, sez. VI, chiarisce i sempre più contrastati confini delimitativi della giurisdizione di merito del giudice amministrativo, l’unica, lo ricordiamo, che consente a quest’ultimo di sostituirsi all’Amministrazione nell’adozione/determinazione di un provvedimento amministrativo.

Il caso attiene alla mancata esitazione di un’istanza di condono edilizio ex art. 35 L. n° 47/85 ed alla richiesta del ricorrente, mediante proposizione di ricorso ex artt. 31 e 117 c.p.a., di accertare l’avvenuta formazione del silenzio – accoglimento nonché la fondatezza della pretesa azionata.

Ed è proprio su quest’ultimo punto che si assesta il fulcro principale dell’iter logico – giuridico seguito dal giudice di secondo grado.

L’ art. 31, comma 3, c.p.a., prevede la possibilità per il giudice amministrativo, chiamato a pronunciarsi sull’azione avverso il silenzio, di pronunciare, altresì, sulla fondatezza della pretesa dedotta in giudizio.

La norma, tuttavia, subordina tale potere a due condizioni tra loro alternative: i) che si tratti di attività vincolata; ii) che non residuino ulteriori margini di discrezionalità e non siano necessari adempimenti istruttori di competenza dell’Amministrazione.

Ed è sulla ricorrenza di tali condizioni – soprattutto della seconda che maggiormente si presta ad interpretazione applicativa – che si innestano i prevalenti problemi di delimitazione della giurisdizione di merito del giudice amministrativo.

Ebbene, con la sentenza in esame il Consiglio di Stato, sez. VI, ha precisato che la conoscibilità del giudice del merito della pretesa dedotta in giudizio ricorre nell’ipotesi di:

–        manifesta fondatezza allorché venga in questione l’adozione di provvedimenti amministrativi strettamente dovuti o vincolati in relazione ai quali non residui alcun margine di discrezionalità e sempre che non siano necessari adempimenti istruttori che debbano essere compiuti dall’Amministrazione;

–        manifesta infondatezza sicché risulti del tutto diseconomico obbligare l’Amministrazione a provvedere laddove il provvedimento conclusivo, esplicito e formale, non potrebbe che essere sfavorevole al soggetto istante.

Sulla scorta di tali presupposti, quindi, ha ritenuto che “l’appellante finisce con invocare un utilizzo inappropriato e per così dire “esorbitante” del rimedio peculiare di cui al citato art. 31, comma 3, c.p.a., incompatibile tra l’altro con la natura semplificata del giudizio sul silenzio e della decisione che deve definire il giudizio medesimo” poiché “la definizione della questione implica una corretta interpretazione e lettura di elaborati (specialmente, a quanto costa, di cartografie) e di prescrizioni di strumenti urbanistici, oltre alla disamina di questioni interpretative di carattere normativo di tutt’altro che pronta e agevole soluzione, in un contesto valutativo non privo di complessità che non solo non appare chiaro e univoco, sotto vari aspetti, ma che […] richiede verifiche, in sede istruttoria amministrativa, non surrogabili nella presente sede processuale”.

  1. 00736/2016REG.PROV.COLL.
  2. 07811/2015 REG.RIC.

R E P U B B L I C A I T A L I A N A

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7811 del 2015, proposto da

Gaetanella Persia, rappresentata e difesa dall’avv. Donato Antonucci,

con domicilio eletto presso l’avv. Umberto Segarelli in Roma, Via G. B.

Morgagni, 2/A;

contro

il Comune di Bari, in persona del Sindaco in carica, rappresentato e

difeso dall’avv. Augusto Farnelli, con domicilio eletto presso l’avv.

Fabio Caiaffa in Roma, Via Nizza, 53;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale della Puglia –III

sezione, n. 226 del 2015, nella parte in cui ha dichiarato inammissibile e

comunque infondato il ricorso ex artt. 31 e 117 del cod. proc. amm.

nella parte diretta a vedere accertata l’avvenuta formazione del silenzio

accoglimento ex art. 35 della l. n. 47 del 1985 sull’istanza di rilascio di

concessione edilizia in sanatoria presentata in data 26 marzo 1986 con

riferimento a un fabbricato avente una superficie complessiva superiore

a 500 mq. sito in Bari, località S. Spirito, Via Caladoria, con richiesta di

condanna del Comune al rilascio della concessione edilizia in sanatoria;

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Vista la memoria di costituzione in giudizio del Comune di Bari;

Vista la memoria difensiva dell’appellante;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del 4 febbraio 2016 il cons. Marco

Buricelli e udito per la parte appellata l’avv. Toma, su delega dell’avv.

Farnelli; nessuno comparso per l’appellante;

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

  1. La ricorrente e odierna appellante ha realizzato in Bari –S. Spirito, via

Caladoria, un manufatto abusivo avente una superficie complessiva

superiore ai 500 mq. , di cui ha chiesto il condono, ai sensi dell’art. 35

della l. n. 47 del 1985, con istanza presentata al Comune il 26 marzo

1986.

Sull’istanza suddetta l’Amministrazione comunale, benché sollecitata in

modo formale nel maggio del 2013, non ha provveduto in maniera

esplicita.

Con ricorso notificato il 2 maggio 2014 e depositato in segreteria il 7

maggio successivo la signora Persia ha proposto dinanzi al Tar di Bari

un ricorso ex artt. 31 e 117 del cod. proc. amm. diretto in via principale

a sentire accertata dal giudice l’avvenuta formazione del silenzio

accoglimento ai sensi dell’art. 35 della l. n. 47 del 1985 sull’istanza di

rilascio della concessione in sanatoria, con la richiesta, al giudice

medesimo, di ordinare al Comune il rilascio del provvedimento formale

di concessione edilizia in sanatoria.

In subordine la signora Persia ha chiesto al Tar di accertare l’obbligo

dell’Amministrazione comunale di provvedere in modo formale e

conclusivo sulla domanda di condono.

In data 24 settembre 2014 il Comune ha adottato una “nota di riavvio

del procedimento di condono edilizio”, in atti, evidenziando in

particolare che l’immobile abusivo è stato realizzato in data 1° ottobre

1983, come da dichiarazione sostitutiva di atto notorio della signora

Persia, e pertanto in vigenza del regime di tutela introdotto dall’art. 51,

lett. f), della l. reg. n. 56 del 1980, il quale vietava qualsiasi opera di

edificazione entro la fascia dei 300 metri dal demanio marittimo, e che

l’immobile ricade entro detta fascia, all’interno della quale vige il regime

di tutela, salvaguardia e valorizzazione introdotto dal PUTT per il

Paesaggio, con conseguente non accoglibilità per silenzio assenso della

istanza di condono poiché l’area sulla quale sorge il manufatto si trova

in zona assoggettata a vincolo paesaggistico introdotto dal PUTT –

Paesaggio. In ogni caso –ha soggiunto il Comune-, per la giurisprudenza

il rilascio della concessione in sanatoria per abusi realizzati su aree

soggette a vincolo presuppone il parere favorevole dell’autorità preposta

alla tutela del vincolo stesso.

  1. Il giudice di primo grado ha accolto il ricorso esclusivamente nella

parte in cui è stata richiesta l’adozione di un provvedimento conclusivo,

esplicito e formale, sull’istanza di sanatoria del 1986, e ha assegnato al

Comune 30 giorni per provvedere, nominando commissario ad acta, per

l’ipotesi di inesecuzione dell’ordine, il Prefetto di Bari, con facoltà di sub

delega a un funzionario di sua scelta, affinchè provveda nel termine

ulteriore di 30 giorni.

Il Tar ha invece giudicato inammissibile il chiesto rimedio

giurisdizionale rivolto a sentire accertata l’avvenuta formazione del

silenzio accoglimento sull’istanza, soggiungendo che comunque nel

merito andava esclusa la formazione del silenzio accoglimento ex art. 35

cit. in assenza di argomentazioni tese a confutare l’affermazione

ricavabile dalla nota del Comune del 24 settembre 2014 secondo la

quale l’accoglimento dell’istanza era precluso dal fatto che l’area sulla

quale sorge il fabbricato ricade in zona assoggettata a vincolo

paesaggistico introdotto dal PUTT –Paesaggio. La sentenza ha

soggiunto che i rilievi esposti dalla ricorrente in memoria non potevano

ritenersi esaustivi, “richiedendo l’approfondimento proprio della fase

istruttoria amministrativa”.

  1. L’appello è diretto in sostanza a rilevare l’erroneità della nota

comunale del 24 settembre 2014 e ad affermare l’inesistenza di elementi

ostativi al condono, ossia al rilascio della concessione in sanatoria e al

riconoscimento del bene della vita preteso dalla signora Persia.

Ad avviso di quest’ultima non residuano, in capo al Comune, margini di

esercizio della discrezionalità, e neppure risultano necessari ulteriori

adempimenti istruttori che debbano essere compiuti dalla P. A. .

Dagli atti risultano richieste comunali (v. note del POS Paesaggio e

Ambiente del 9 giugno 2015 e del 21 settembre 2015) d’integrazione

della documentazione, alle quali l’appellante ha risposto ritenendo la

pratica completa, e non necessario l’invio di documentazione ulteriore.

Sotto un altro profilo si lamenta il fatto che il Tar avrebbe perlomeno

potuto dare indicazioni, anche ex art. 117, comma 4, del cod. proc.

amm. , sulle questioni relative alla esatta adozione dell’atto da emanare,

richiamando ad esempio la necessità di tenere presente la

documentazione acquisita in giudizio (tra cui le norme tecniche e la

cartografia degli strumenti urbanistici), oltre al citato art. 51 della l. reg.

  1. 56/1980, elementi da utilizzare quali parametri di riferimento ai fini

dell’adozione del provvedimento richiesto dalla ricorrente.

Il Comune si è costituito per resistere.

Con memoria depositata in segreteria il 27 gennaio 2016 l’appellante ha

insistito sul fatto che nel caso in esame deve applicazione il silenzio –

assenso, con conseguente declaratoria dell’obbligo del Comune di

adottare un provvedimento esplicito favorevole previo accertamento

della spettanza all’appellante del bene della vita perseguito.

  1. L’appello è infondato e va respinto.

La sentenza, nel complesso, resiste alle critiche che le sono state

indirizzate e va quindi confermata, con le precisazioni e le integrazioni

motivazionali che seguiranno.

Indipendentemente dalla soluzione da dare alla questione, di carattere

pregiudiziale, risolta dal giudice di primo grado nel senso della

inammissibilità, di per sé, del rimedio giurisdizionale diretto

all’accertamento dell’avvenuta formazione del silenzio –accoglimento ex

art. 35 della l. n. 47/1985 sulla domanda di concessione in sanatoria, il

collegio ritiene in ogni caso che nella specie non vi siano i presupposti

stabiliti dall’art. 31, comma 3, affinché il giudice possa adottare una

pronuncia in via diretta –segnatamente, una pronuncia pienamente

favorevole alla parte ricorrente- sulla fondatezza della pretesa dedotta

dall’appellante nel senso della spettanza, alla signora Persia, del bene

della vita richiesto, ossia della concessione edilizia in sanatoria.

A questo riguardo, va rammentato in via preliminare che, per

giurisprudenza consolidata, nei giudizi sul silenzio, in base a quanto

dispone l’art. 31 del c.p.a. il giudice amministrativo, almeno di regola,

non può andare oltre la declaratoria d’illegittimità dell’inerzia e l’ordine

di provvedere in modo esplicito e formale, restandogli precluso, almeno

in linea di principio, il potere di accertare in via diretta la fondatezza

della pretesa fatta valere dal richiedente, sostituendosi così

all’Amministrazione rimasta inerte.

Le disposizioni di cui all’art. 31 e 34, comma 1, lett. b), del c.p.a. , ove

interpretate diversamente, attribuirebbero in modo indiscriminato una

giurisdizione di merito al giudice amministrativo, di cui egli non è

titolare in questa materia.

Tuttavia, nell’ambito del giudizio sul silenzio, il giudice potrà conoscere

dell’accoglibilità dell’istanza, sul piano sostanziale, ex art. 31, comma 3

del c. p. a. :

  1. a) nelle ipotesi di manifesta fondatezza della pretesa dedotta in giudizio,

allorché venga in questione l’adozione di provvedimenti amministrativi

strettamente dovuti o vincolati, in relazione ai quali non residui alcun

margine di discrezionalità e sempre che non siano necessari

adempimenti istruttori che debbano essere compiuti

dall’Amministrazione;

  1. b) nell’ipotesi in cui l’istanza sia manifestamente infondata, sicché risulti

del tutto diseconomico obbligare l’Amministrazione a provvedere

laddove il provvedimento conclusivo, esplicito e formale, non potrebbe

che essere sfavorevole al soggetto istante.

Ciò posto, nel caso qui in esame la definizione delle questioni

prospettate dall’appellante ai punti 1. e 1.1. dell’atto d’appello e nella

memoria difensiva dell’8 gennaio 2016 (con la quale, peraltro, questo

giudice d’appello viene ragguagliato su carteggi tra la signora Persia e il

Comune sopravvenuti dopo la sentenza impugnata) implica e

presuppone una corretta lettura e interpretazione di elaborati

(specialmente, a quanto consta, di cartografie) e di prescrizioni di

strumenti urbanistici, oltre alla disamina di questioni interpretative di

carattere normativo di tutt’altro che pronta e agevole soluzione, in un

contesto valutativo non privo di complessità che non solo non appare

chiaro e univoco, sotto vari aspetti, ma che –come nella sentenza

impugnata non si è mancato di osservare in maniera condivisibilerichiede

verifiche, in sede istruttoria amministrativa, non surrogabili

nella presente sede processuale: sicché l’appellante finisce con l’invocare

un utilizzo inappropriato, e per così dire, “esorbitante”, del rimedio

peculiare di cui al citato art. 31, comma 3, del c. p. a. , incompatibile tra

l’altro con la natura semplificata del giudizio sul silenzio e della

decisione che deve definire il giudizio medesimo.

Se dunque –come ha correttamente concluso il Tar- non vi sono le

condizioni per poter emettere una pronuncia sulla fondatezza della

pretesa sostanziale rivolta a dichiarare il Comune obbligato a rilasciare la

concessione edilizia in sanatoria, pure, appare utile precisare che nel

prosieguo dell’azione amministrativa il Comune di Bari dovrà tenere

presente la documentazione acquisita in giudizio, tra cui le norme

tecniche e la cartografia di PRG, da utilizzare quale elementi di

valutazione nell’adozione del provvedimento conclusivo ed esplicito

sulla domanda di sanatoria.

Provvedimento finale che dovrà essere adottato dal Comune di Bari

entro 30 giorni dalla comunicazione in via amministrativa della presente

sentenza ovvero dalla notificazione della stessa, se avvenuta

anteriormente, ferma la designazione, quale commissario ad acta, per

l’ipotesi di mancata esecuzione dell’ordine predetto, del Prefetto di Bari,

con facoltà di sub delega come specificato dal Tar e termine per

provvedere entro i 30 giorni successivi, a decorrere cioè dallo scadere

del termine assegnato al Comune.

Considerate le particolarità della vicenda trattata sussistono tuttavia

ragioni eccezionali per compensare integralmente tra le parti le spese e

gli onorari del grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta),

definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto,

lo respinge confermando, per l’effetto, la sentenza impugnata.

Spese del grado di giudizio compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 4 febbraio 2016 con

l’intervento dei magistrati:

Sergio Santoro, Presidente

Roberto Giovagnoli, Consigliere

Bernhard Lageder, Consigliere

Marco Buricelli, Consigliere, Estensore

Francesco Mele, Consigliere

L’ESTENSORE IL PRESIDENTE

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 23/02/2016

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)