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Diffamazione on line: l’indirizzo IP costituisce prova sufficiente ai fini della condanna.

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Palais de Justice Rome Cour suprême de cassation

Diffamazione on line: l’indirizzo IP costituisce prova sufficiente ai fini della condanna.

La navigazione in rete e la possibilità di assumere un’identità virtuale si accompagna sovente ad una sensazione diffusa di anonimato.

Non è sempre così. La Corte di Cassazione con la pronuncia che si segnala ai lettori, ha condannato per diffamazione a mezzo Internet un uomo, attribuendogli la paternità di uno scritto dal contenuto offensivo pubblicato su un blog ai danni di un altro, sulla base, da un lato, del movente rappresentato dalla conflittualità tra i due, dall’altro “della provenienza di esso dall’indirizzo IP dell’utenza telefonica dell’abitazione dell’imputato”.

Non hanno persuaso le argomentazioni difensive, ritenendo gli Ermellini che l’indirizzo IP, che consente di individuare univocamente ogni computer collegato alla rete, costituisce una prova idonea all’individuazione della provenienza dello scritto postato sul blog, che non può essere scalfita dalla possibilità, ipotetica, inverosimile e addirittura irreale del c.d. furto di identità da parte di un terzo del tutto imprecisato. Né alcun rilievo può essere attribuito a plurime segnalazioni da parte dell’imputato al gestore telefonico di imprecisati disturbi esterni ai collegamenti internet, inidonee a dimostrare la sua innocenza.

 

 

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 29 ottobre 2015 – 29 febbraio 2016, n. 8275

Presidente Lombardi – Relatore Lapalorcia

 

Ritenuto in fatto

  1. I.M. risponde, a seguito di doppia conforme di condanna, del reato di diffamazione in danno di A.F., sovrintendente dei teatro Massimo Bellini di Catania, quale autore di uno scritto apparso sul blog on line dei quotidiano La Sicilia, a commento al post intitolato ‘Teatro Bellini, corsa (senza vergogna) alla direzione artistica’, inerente alle vicende di quel teatro e all’assegnazione dei posto di direttore artistico, nonché ai contrasti della direzione con `le masse artistiche’, scritto nel quale il sovrintendente era tra l’altro definito ‘psicopatico’ e drogato’.
  2. La corte territoriale attribuiva all’imputato la paternità di quello scritto sulla base, da un lato, dei movente rappresentato dalla conflittualità tra il sovrintendente ed il M., già orchestrante, in ordine alla copertura da parte di quest’ultimo dei posto di segretario artistico del teatro, dall’altro della provenienza di esso dall’indirizzo IP dell’utenza telefonica dell’abitazione dell’imputato, ritenendo inidonea a configurare ragionevole dubbio l’astratta possibilità del c.d. furto di identità e cioè che un terzo avesse sfruttato la rete wireless del prevenuto per postare lo scritto diffamatorio.
  3. II primo motivo di ricorso, senza dedurre in modo specifico vizi di legittimità, si articola nella contestazione di entrambi detti profili.
  4. Quanto al movente, viene ricostruita in fatto l’intera vicenda, articolatasi negli anni, della copertura dei posto di segretario artistico da parte dei M., dal quale questi aveva chiesto di dimettersi già prima che F. divenisse sovrintendente. Quest’ultimo, dopo aver più volte respinto la richiesta, l’aveva accolta poco prima delle proprie dimissioni con commissariamento dei teatro, reintegrando l’imputato in quella carica non appena riottenuta la propria, così concludendosi che tra i due vi erano rapporti di stima i quali non giustificavano lo scritto diffamatorio dal momento che M. aveva chiesto lui stesso di ritornare a fare l’orchestrante non potendo quindi l’accoglimento della sua richiesta aver determinato risentimento verso il sovrintendente.
  5. Era quindi ritenuta inattendibile, perché in contrasto con la descritta situazione emergente per tabulas, la testimonianza della p.o. che aveva riferito di suoi sospetti sulla condotta del M., poi non indagato, per aver stipulato l’80% dei contratti con gli artisti tramite un’unica agenzia che aveva costi molto elevati, il che, secondo la sentenza di primo grado, aveva determinato la revoca dell’incarico di segretario artistico al prevenuto.
  6. Quanto al ‘furto di identità’, il ricorrente osservava che, come confermato dal teste ispettore della polizia postale, l’uso di un determinato IP non consente di identificare il computer che lo utilizza e sottolineava come il livello culturale del M. e il fatto che il figlio sia ingegnere informatico rendessero implausibile che il primo avesse compiuto un’operazione diffamatoria ben sapendo che sarebbe stata agevolmente riconducibile a lui, essendo quindi più verosimile che un terzo, appostatosi nei pressi dell’abitazione del revenuto, avesse voluto colpire, con lo scritto, F. e al tempo stesso il suo collaboratore M. in un momento nel quale tutti gli organismi gravitanti intorno al teatro erano in rivolta contro la direzione.
  7. Né era esatto che il M. non avesse denunciato il ‘furto di identità’ avendo più volte segnalato alla Telecom disturbi esterni ai collegamenti internet, come da lui riferito nell’interrogatorio.
  8. Con il secondo motivo si critica il rigetto della richiesta ex art. 507 cod. proc. pen. di audizione di alcuni soggetti, i cui nominativi erano emersi dall’esame dell’imputato e della parte civile, dalla quale avrebbe potuto affiorare la verità.

Considerato in diritto

  1. II ricorso è inammissibile.
  2. L’impugnante, pur senza rubricare i motivi di impugnazione con l’indicazione specifica di vizi di legittimità, con il primo motivo deduce in sostanza vizio di motivazione in ordine ai due elementi valorizzati in sentenza a sostegno dell’affermazione di responsabilità e cioè il movente dello scritto diffamatorio e l’uso di indirizzo IP riferibile all’utenza telefonica della famiglia dell’imputato per postare lo scritto stesso sul blog.
  3. Si tratta -come va evidenziato subito- delle stesse questioni prospettate con l’atto di appello alla cui analiticità la corte di appello avrebbe contrapposto, secondo il ricorrente, una ‘motivazione sintetizzata in una pagina’.
  4. Sta di fatto che, pur nell’esposizione sintetica delle ragioni alla base della decisione, il provvedimento impugnato non ha mancato di esaminare e motivatamente disattendere entrambe le questioni.
  5. Quanto al movente, ravvisato nella conflittualità dei rapporti tra il sovrintendente (la p.o.) e il segretario artistico dei teatro (l’imputato, già orchestrante), la corte di Catania, senza tentare di sciogliere, al pari della sentenza di primo grado, il contrasto tra le opposte versioni circa i motivi della rimozione dei M. dalle funzioni di segretario (dovuta a sospetti sul suo operato nella stipulazione dei contratti con gli artisti secondo F., a libera scelta secondo la tesi dell’imputato, il cui ricorso sul punto da un lato orbita nel puro fatto senza trovare alcun supporto nella sentenza di secondo grado, dall’altro richiama per stralci, selettivamente, le prove testimoniali assunte), ha concluso che la vicenda dell’uscita del M. dai ranghi di orchestrante, dei successivo rientro e poi della riacquisizione del ruolo di segretario artistico dei teatro, era comunque idonea a creare tensioni tra i due -e dunque desideri di rivalsa dell’imputato-, posto che, secondo la prospettazione del M., la sua richiesta di tornare alle funzioni originarie, era stata per lungo tempo disattesa dal sovrintendente il quale, dopo averla esaudita, lo aveva nuovamente reintegrato nella carica di segretario artistico.
  6. A ben vedere, tuttavia, nonostante il tema del movente sia trattato per primo nella sentenza, come del resto nell’appello -e nel ricorso-, nella prospettazione accusatoria esso è solo rafforzativo di quello dell’uso dell’IP collegato all’utenza telefonica dell’imputato.
  7. Argomento di per sé tranchant giacché idoneo all’individuazione della provenienza dello scritto postato sul blog, che non può essere scalfita dalla possibilità, tanto ipotetica ed inverosimile da essere addirittura irreale, di cui la corte ha già fatto motivatamente giustizia, del c.d. furto di identità da parte di un terzo del tutto imprecisato (intenzionato a danneggiare sia il sovrintendente che il M. -il quale peraltro, come risulta dalle sentenze di merito, in quel periodo non ricopriva la carica di segretario artistico- e ben addentro alle vicende del teatro), che si sarebbe appostato nei pressi di casa M., nel primo pomeriggio di un giorno di luglio, per sfruttarne la rete wireless in un orario in cui presumibilmente, secondo il ricorso, nessuno nell’abitazione stava operando al computer.
  8. Sono poi irrilevanti, in quanto assertive, le considerazioni del ricorrente sia sulla traslazione delle competenze informatiche dal figlio ingegnere al M., sì da evitargli l’errore di postare dal suo indirizzo mail uno scritto diffamatorio (senza considerare, come la corte di merito non ha mancato di sottolineare, che era stato usato un nickname di fantasia con una data di nascita peraltro molto simile a quella dell’imputato), sia sulla plurima segnalazione da parte dell’imputato alla Telecom di imprecisati disturbi esterni ai collegamenti internet, riferita postumamente soltanto da lui stesso.
  9. Sempre per la decisività dell’argomento rappresentato dall’indirizzo IP in uso all’utenza telefonica della famiglia M., risulta irrilevante -oltre che generica- la prova, già rigettata ex art. 507 cod. proc. pen., rappresentata dall’audizione di alcuni soggetti, indicati in sede di esame dall’imputato e dalla parte civile, in grado di smascherare quale dei due avesse mentito nel ricostruire la vicenda.
  10. I profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità dell’impugnazione giustificano la condanna del ricorrente anche al pagamento di una somma alla cassa delle ammende, che si ritiene adeguato determinare in mille euro.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 1000 in favore della Cassa delle Ammende.