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Non commette reato chi diffonde il selfie pornografico di un minorenne!

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Palais de Justice Rome Cour suprême de cassation

Non commette reato chi diffonde il selfie  pornografico di un minorenne!

Con la sentenza n. 11675/2016 la Cassazione è intervenuta sulla questione della configurabilità del delitto ex art. 600 ter comma 4 c.p. (offerta o cessione ad altri di materiale pornografico realizzato utilizzato minori di anni diciotto ) nel caso in cui il materiale pornografico oggetto di divulgazione sia stato prodotto dallo stesso minore ivi raffigurato.

Va premesso che la norma in esame, introdotta con l. 269/1998 allo scopo di  contrastare lo sfruttamento della prostituzione e della pornografia riguardante i minori, è stata oggetto di modifiche dapprima con la l. 38/2006 e poi con la l. 172/2012.

I giudici di legittimità affermano che la punibilità del reato ex art. 600 ter co. 4 è subordinata alla circostanza che il materiale pornografico oggetto di cessione sia stato realizzato da terzi, utilizzando minori di anni 18.

Tale assunto è per vero confermato dall’art. 602 ter c.p. che, nel disciplinare le circostanze aggravanti relative ai delitti contro la personalità individuale (tra i quali rientra l’art. 600 ter c.p.), presuppone la necessaria alterità tra autore del reato e persona offesa.

In conclusione, perché sia integrato il reato in esame occorre che il produttore del materiale oggetto di cessione sia un soggetto diverso dal minore ivi raffigurato, sicché, ove tale materiale sia realizzato dal minore di propria iniziativa (nel caso di specie, questi si era scattato un selfie), non ricorre il requisito della alterità e dunque non è configurabile la fattispecie ex art. 600 ter co. IV.

 

Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 18-02-2016) 21-03-2016, n. 11675

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMORESANO Silvio – Presidente –

Dott. MOCCI Mauro – Consigliere –

Dott. DI NICOLA Vito – Consigliere –

Dott. LIBERATI Giovanni – Consigliere –

Dott. MENGONI Enrico – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di L’Aquila;

nel a carico di:

S.R.E.M., nata in (OMISSIS);

L.S., nato a (OMISSIS);

B.D., nato a (OMISSIS);

F.L., nata a (OMISSIS);

D.S.M., nata a (OMISSIS);

M.G.U., nato in (OMISSIS);

E.J., nata a (OMISSIS);

G.A., nata a (OMISSIS);

Ma.Ma., nata a (OMISSIS);

Sa.An., nata a (OMISSIS);

avverso la sentenza del 10/11/2014 del Tribunale per i minorenni dell’Abruzzo;

visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;

udita la relazione svolta dal consigliere Enrico Mengoni;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. BALDI Fulvio, che ha chiesto l’annullamento con rinvio della sentenza;

udito il difensore degli imputati, Avv. Annasara Di Pietro, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;

udito il difensore di Bo.Fr., Avv. Alberto Paolini, che ha chiesto lo stralcio della posizione del proprio assistito.

 

Svolgimento del processo

 

  1. Con sentenza del 10/11/2014, il Tribunale per i minorenni dell’Abruzzo dichiarava non doversi procedere nei confronti di S. R.E.M., L.S., B.D., F.L., D.S.M., M.G. U., E.J., G.A., Ma.

M., Sa.An. e Bo.Fr. in ordine ai reati loro ascritti (art. 600 ter c.p., comma 4, ad eccezione di Bo., imputato ex art. 600 quater c.p.), perchè il fatto non sussiste; il Collegio, preso atto della condotta pacificamente tenuta da tutti, quale l’aver ceduto ad altri (ed il Bo. detenuto) fotografie pornografiche raffiguranti la minore D.L.V., rilevava che l’art. 600 ter c.p., comma 4, sanziona sì la cessione di materiale pedopornografico, ma a condizione che lo stesso sia stato realizzato da soggetto diverso dal minore raffigurato, come si desume dal richiamo – contenuto nella medesima disposizione – al “materiale di cui al comma 1”, che tale presupposto richiede espressamente, distinguendo “l’utilizzatore” dal minore utilizzato. Nel caso di specie, invece, le immagini erano state riprese in autoscatto direttamente dalla minore, di propria iniziativa e senza l’intervento di alcuno, e dalla stessa volontariamente cedute ad altri (e, da questi, ad altri ancora), sì che la giovane non poteva ritenersi “utilizzata” da terzi soggetti; dal che, l’impossibilità di inserire la fattispecie concreta nell’ipotesi di reato ascritta, pena una palese analogia in malam partem.

  1. Propone ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di L’Aquila, per tutti gli imputati escluso Bo., deducendo – con unico motivo – l’inosservanza ed erronea applicazione della legge penale. Condivisa la lettura operata dal Tribunale quanto all’art. 600 ter c.p., comma 1, la stessa sarebbe però errata con riferimento ai successivi commi, compreso il quarto, che farebbero invero riferimento sic et simpliciter a materiale pornografico riproducente minori, senza richiedere che lo stesso sia stato realizzato da terzi soggetti utilizzando i minori medesimi, elemento invero richiamato soltanto nel primo comma. Tale interpretazione, peraltro, impedirebbe un pericoloso e gravissimo vuoto di tutela per ipotesi come quella in esame; tale interpretazione, ancora, troverebbe conferma nel successivo art. 600 quater c.p. (Detenzione di materiale pornografico) che – in modo esplicito – concerne il “materiale pornografico realizzato utilizzando minori degli anni diciotto”, locuzione invero non presente nell’art. 600 ter, comma 4 in esame.
  2. Con memorie depositate il 2/2/2016 e 12/2/2016, i difensori di Sa.An., G.A., D.S.M., B. D. e F.L. hanno chiesto dichiarare inammissibile – o, comunque, rigettare – il ricorso del Procuratore della Repubblica, condividendo gli argomenti spesi dal Tribunale. Con memoria depositata il 27/1/2016, il difensore di Bo.Fr.

– nei confronti del quale non è stato proposto il ricorso per cassazione – ha chiesto che la posizione dello stesso venga stralciata.

 

Motivi della decisione

 

Preliminarmente, deve esser dichiarato il non luogo a provvedere quanto a Bo.Fr., nei cui confronti il gravame del pubblico ministero non è stato proposto.

  1. Lo stesso, avanzato nei confronti degli altri imputati, risulta peraltro infondato; a giudizio della Corte, infatti, l’interpretazione fornita dal Collegio di L’Aquila in ordine all’art. 600 ter c.p., comma 4, è corretta e deve essere condivisa in forza delle considerazioni che seguono.

L’art. 600 ter c.p. (Pornografia minorile) è stato introdotto unitamente a molte altre norme – dalla L. 3 agosto 1998, n. 269, al fine esplicito di combattere “lo sfruttamento della prostituzione, della pornografia, del turismo sessuale in danno di minori, quali nuove forme di riduzione in schiavitù”, come evidenziato dalla rubrica della legge medesima. Nella lettera originaria – e per quel che qui rileva – il comma 1 della norma sanzionava “chiunque sfrutta minori degli anni diciotto al fine di realizzare esibizioni pornografiche o di produrre materiale pornografico”; il comma 4, invece, puniva “chiunque, al di fuori delle ipotesi di cui ai commi primo, secondo e terzo, consapevolmente cede ad altri, anche a titolo gratuito, materiale pornografico prodotto mediante lo sfruttamento sessuale dei minori degli anni diciotto”. Orbene, queste locuzioni avevano presto suscitato non lievi incertezze ermeneutiche (ad esempio, in ordine al concetto di sfruttamento ed all’eventuale fine di lucro sottostante, nonchè alla necessità – o meno – di impiegare una pluralità di minori per configurare il delitto di cui al comma 1, così come in ordine all’avverbio soggettivistico – “consapevolmente” di cui al comma 5), sì da rendere di seguito opportuno un nuovo intervento del legislatore, volto anche al fine di soddisfare l’esigenza – fortemente avvertita nell’opinione pubblica – di predisporre in questo delicatissimo ambito una tutela del minore ancor più forte e priva di zone grigie. Ed allora, con la L. 6 febbraio 2006, n. 38, (Disposizioni in materia di lotta contro lo sfruttamento sessuale dei bambini e la pedopornografia anche a mezzo Internet), le medesime lettere dell’art. 600 ter c.p., erano state mutate, così sanzionando – al comma 1 “chiunque, utilizzando minori degli anni diciotto, realizza esibizioni pornografiche o produce materiale pornografico ovvero induce minori di anni diciotto a partecipare ad esibizioni pornografiche”, e – al comma 4 – “chiunque, al di fuori delle ipotesi di cui ai commi primo, secondo e terzo, offre o cede ad altri, anche a titolo gratuito, il materiale pornografico di cui al comma 1”. Da ultimo, con la L. 1 ottobre 2012, n. 172 (Ratifica ed esecuzione della Convenzione del Consiglio d’Europa per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l’abuso sessuale, fatta a Lanzarote il 25 ottobre 2007, nonchè norme di adeguamento dell’ordinamento interno), il comma 1 della norma in esame è stato ulteriormente modificato – sia pur in modo non radicale – sì da giungere al testo attuale, che sanziona chiunque:

1) utilizzando minori di anni diciotto, realizza esibizioni o spettacoli pornografici ovvero produce materiale pornografico; 2) recluta o induce minori di anni diciotto a partecipare a esibizioni o spettacoli pornografici ovvero dai suddetti spettacoli trae altrimenti profitto; il comma 4 della norma, invece, è rimasto immutato.

  1. Orbene, così riportata la lettera dell’art. 600 ter c.p., commi 1 e 4, nella sua ripetuta evoluzione, ritiene la Corte che il fondamento dell’intera previsione debba esser rinvenuto nel primo comma, invero decisivo per l’interpretazione anche dei successivi, il cui contenuto costituisce evidente portato della condotta per prima prevista, e la cui sanzione non si giustificherebbe qualora quest’ultima non fosse parimenti punita; in altri termini, non si potrebbe perseguire chi fa commercio di materiale pornografico realizzato utilizzando minori (comma 2), chi lo distribuisce, divulga, diffonde o pubblicizza (comma 3), così come chi lo offre o cede ad altri, anche a titolo gratuito (comma 4), se – a monte – non vi fosse chi ha prodotto il materiale medesimo. Come ben sottolineato, peraltro, dalla lettera dei citati commi 2, 3 e 4, il cui oggetto è costituito, per l’appunto, dal materiale pornografico di cui al comma 1, cui espressamente rimandano; quel che – come si dirà da qui a poco – rappresenta la premessa per la decisione del caso che occupa.
  2. Ancora in via preliminare, osserva poi il Collegio che la condotta sanzionata nell’art. 600 ter c.p., comma 1, è stata ampiamente esaminata da una fondamentale pronuncia di questa Corte a Sezioni Unite (n. 13 del 31/5/2000, Rv. 216337) che, se pur emessa sotto l’originaria lettera della norma, costituisce baluardo interpretativo imprescindibile anche per le versioni successive, compresa quella ad oggi vigente.

In particolare, la sentenza – interpretando la portata del verbo “sfruttare”, allora impiegato – aveva evidenziato che lo stesso doveva intendersi “nel significato di utilizzare a qualsiasi fine (non necessariamente di lucro), sicchè sfruttare i minori vuoi dire impiegarli come mezzo, anzichè rispettarli come fine e come valore in sè: significa insomma offendere la loro personalità, soprattutto nell’aspetto sessuale, che è tanto più fragile e bisognosa di tutela quanto più è ancora in formazione e non ancora strutturata”;

una lettura che, pertanto, ha delineato la ratio ed il fondamento della norma in termini strutturali ed assoluti, come tali perfettamente riferibili anche alle (allora) eventuali evoluzioni legislative, fino alla presente, con riguardo cioè anche all’odierna condotta di “utilizzazione”. Di seguito, e richiamate le altre disposizioni in materia (artt. 600 bis, 600 quater e 600 quinquies c.p.), le Sezioni Unite hanno evidenziato che “per contrastare il fenomeno sempre più allarmante dell’abuso e dello sfruttamento sessuale in danno di minori, il legislatore del 1998 ha voluto punire, oltre alle attività sessuali compiute con i minori (di quattordici o sedici anni) o alla presenza di minori, di cui agli artt. 609 quater e 609 quinquies c.p., anche tutte le attività che in qualche modo sono prodromiche e strumentali alla pratica preoccupante della pedofilia, come l’incitamento della prostituzione minorile, la diffusione della pornografia minorile e la promozione del così detto turismo sessuale relativo a minori. Del resto, che di tale natura fosse la intentio legis è fatto palese dalla L. n. 269, stesso art. 1, laddove proclama come obiettivo primario “la tutela dei fanciulli contro ogni forma di sfruttamento e violenza sessuale a salvaguardia del loro sviluppo fisico, psicologico, spirituale, morale e sociale”, in adesione ai principi della Convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a New York il 20 novembre 1989, e ratificata in Italia con L. 27 maggio 1991, n. 176, nonchè alla dichiarazione finale della Conferenza mondiale di Stoccolma, adottata il 31 agosto 1996. Significativo al riguardo è il preambolo della predetta Convenzione, laddove viene sottolineata la necessità di prestare al fanciullo protezioni e cure particolari “a causa della sua mancanza di maturità fisica ed intellettuale”; nonchè soprattutto il testo dell’art. 34 della stessa Convenzione, secondo cui gli Stati parti “si impegnano a proteggere il fanciullo contro ogni forma di sfruttamento sessuale e di violenza sessuale”, adottando in particolare misure “per impedire che i fanciulli a) siano incitati o costretti a dedicarsi ad un’attività sessuale illegale; b) siano sfruttati a fini di prostituzione o di altre pratiche sessuali illegali; c) siano sfruttati ai fini della produzione di spettacoli o di materiale a carattere pornografico”. In altri termini, oltre alla preesistente tutela penale della libertà (di autodeterminazione e maturazione) sessuale del minore, viene introdotta una tutela penale anticipata volta a reprimere quelle condotte prodromiche che mettono a repentaglio il libero sviluppo personale del minore, mercificando il suo corpo e immettendolo nel circuito perverso della pedofilia”.

Sì da sostenere, dunque, la qualificazione della fattispecie come reato di pericolo concreto, integrato allorquando la condotta dell’agente che sfrutta il minore per fini pornografici abbia una consistenza tale da implicare – per l’appunto – concreto pericolo di diffusione del materiale pornografico prodotto; come ulteriormente confermato, peraltro, dal criterio semantico, “giacchè non appare possibile realizzare esibizioni pornografiche, cioè spettacoli pornografici, se non “offrendo” il minore alla visione perversa di una cerchia indeterminata di pedofili; così come, per attrazione di significato, produrre materiale pornografico sembra voler dire produrre materiale destinato ad essere immesso nel mercato della pedofilia”. Ed in tal modo, quindi, concludendo che, “salvo l’ipotizzabilità di altri reati, commette il delitto di cui all’articolo 600-ter, comma 1, c.p., chiunque impieghi uno o più minori per produrre spettacoli o materiali pornografici con il pericolo concreto di diffusione del materiale pornografico prodotto”.

  1. Così richiamato il contenuto della fondamentale sentenza delle Sezioni Unite n. 13 del 2000, osserva allora il Collegio che il medesimo percorso argomentativo impone – quale presupposto logico, prima ancora che giuridico che l’autore della condotta sia soggetto altro e diverso rispetto al minore da lui (prima sfruttato, oggi) utilizzato, indipendentemente dal fine – di lucro o meno che lo anima e dall’eventuale consenso, del tutto irrilevante, che il minore stesso possa aver prestato all’altrui produzione del materiale o realizzazione degli spettacoli pornografici; alterità e diversità che, quindi, non potranno ravvisarsi qualora il materiale medesimo sia realizzato dallo stesso minore – in modo autonomo, consapevole, non indotto o costretto -, ostando a ciò la lettera e la ratio della disposizione come richiamata, sì che la fattispecie di cui all’art. 600 ter, comma 1, in esame non potrà essere configurata per difetto di un elemento costitutivo.
  2. La medesima opzione ermeneutica merita poi di essere sostenuta anche con riferimento alla previsione di cui al successivo comma 4, oggetto del ricorso in esame; al riguardo, infatti, ritiene il Collegio del tutto corretta l’interpretazione offerta dal Tribunale per i minorenni, in ragione della quale la punibilità della cessione è subordinata alla circostanza che il materiale pornografico sia stato realizzato da terzi, utilizzando minori, senza che dunque le due figure possano in alcun modo coincidere.

Tale conclusione, innanzitutto, pare imporsi alla luce della lettera della norma in esame che, come già affermato, concerne esplicitamente “il materiale pornografico di cui al comma 1”; ebbene, questo non può essere individuato come invece afferma il Procuratore ricorrente – nel materiale pornografico raffigurante un minore tout court, indipendentemente da chi e come l’abbia prodotto (quindi, anche nel caso in cui sia stato realizzato autonomamente dal minore medesimo), ma deve essere identificato in quello – e soltanto in quello che sia stato prodotto da terzi utilizzando un minore di diciotto anni. Più in particolare, il comma 1 – richiamato dai successivi 2, 3 e 4 – ha ad oggetto non un qualsivoglia materiale pornografico minorile, in ordine al quale la stessa norma (e solo questa) sanziona una determinata condotta, così come una successiva ne sanziona un’altra (come la cessione) con diversi presupposti, ma esclusivamente quel materiale formato attraverso l’utilizzo strumentale dei minori ad opera di terzi; il capoverso n. 1) dello stesso comma, infatti, si apre proprio con l’indicazione della modalità esecutiva della condotta (“utilizzando minori di anni diciotto”), non già con la descrizione di questa quale momento consumativo della fattispecie (“realizza esibizioni o spettacoli pornografici ovvero produce materiale pornografico”), ad evidenziare che il legislatore – esaltando la citata ratio legis della disposizione – ha voluto privilegiare proprio il quomodo del reato e, in particolare, l’impiego strumentale del minore nella consumazione di questo delitto, quale elemento costitutivo dello stesso. Quel che, all’evidenza, riverbera i propri effetti anche sui commi successivi, compreso il quarto in esame, che condividono con l’altro il medesimo oggetto, concepito dal legislatore come unico e “non derogabile” per tutte le ipotesi ivi sanzionate: quindi, non materiale pornografico minorile ex se, quale ne sia la fonte, anche autonoma, ma soltanto materiale alla cui origine vi sia stato l’utilizzo di un infradiciottenne necessariamente da parte di un terzo – con il pericolo concreto di diffusione del prodotto medesimo.

  1. Unitamente al dato letterale dell’art. 600 ter c.p., invero di portata già decisiva, ritiene poi il Collegio che anche altri argomenti testuali inducano a condividere l’interpretazione adottata dal Tribunale per i minorenni.

L’art. 602 ter c.p., disciplina le circostanze aggravanti relative ai delitti contro la personalità individuale, talune delle quali ineriscono alle modalità con le quali è stato perpetrato il reato a danno della persona offesa (ad esempio, violenza o minaccia, somministrazione di sostanze alcoliche, narcotiche o stupefacenti), tal altre al rapporto tra questa e l’autore del reato (ad esempio, fatto commesso dall’ascendente, dal genitore adottivo, dal tutore, ecc.), tal altre ancora alle qualità della vittima medesima (ad esempio, minore di 16 anni, ovvero in stato di infermità o minorazione psichica); tutte circostanze che, all’evidenza, ribadiscono e presuppongono la necessaria alterità tra autore del reato e persona offesa. Orbene, tra i delitti ai quali dette circostanze si applicano vi è anche l’art. 600 ter c.p., richiamato dalle singole disposizioni in esame – si noti – non già con riferimento al solo comma primo, ma nella sua integralità;

indicazione – questa – che appare di sicuro rilievo per la questione che occupa, evidenziando che il legislatore, anche in tema di circostanze aggravanti, ha inteso la norma in esame come una fattispecie che, pur a fronte di condotte diverse, risponde ad un’unica e comune ratio ispiratrice, quale la tutela del minore da qualunque condotta – da altri tenuta – lo coinvolga nel turpe mercato della prostituzione, con la punizione di tutti coloro che nello stesso si inseriscano ad ogni livello, e con ogni ruolo. Ratio, dunque, che permea di sè tutto il testo dell’art. 600 ter, medesimo, compreso il comma 4, in esame, e che quindi presuppone che anche la condotta di cessione del materiale pornografico, pur se a titolo gratuito, abbia quale necessario presupposto l’utilizzazione” del minore da parte di un terzo – al fine di produrre il materiale medesimo. Il minore, quindi, quale persona offesa da tutelare perchè (ieri sfruttato, oggi) “utilizzato”; con la conseguente punizione di chi realizza direttamente il prodotto pornografico, al pari di chi inserisce quel materiale in un qualsivoglia circuito che lo veicoli a terzi, fosse anche una mera cessione a titolo gratuito.

  1. Contrariamente all’assunto del Procuratore ricorrente, poi, a conclusioni difformi non pare poter condurre il successivo art. 600 quater c.p., in tema di detenzione del prodotto in oggetto, che sanziona chiunque “consapevolmente si procura o detiene materiale pornografico realizzato utilizzando minori degli anni diciotto”;

fattispecie costruita quale tipica norma di chiusura, volta cioè ad evitare zone grigie di impunità e vuoti sanzionatori con riguardo a condotte che comunque attengano al turpe materiale in esame, allo stesso materiale, anche solo per averne il soggetto la fisica disponibilità. Orbene, ritiene il Collegio che l’aver – in questo caso – il legislatore optato per un’indicazione “estesa” del materiale oggetto della condotta non possa esser letto in contrasto con la lettera “ristretta” dei commi 2, 3 e 4, dell’articolo precedente, atteso che la diversa soluzione qui scelta risulta soltanto l’evidente portato di una precisa tecnica redazionale, peraltro ex se giustificata dall’esser applicata su una disposizione distinta; poichè, infatti, l’art. 600 quater, si apre con una clausola di riserva che esclude in toto la norma che precede (“Al di fuori delle ipotesi previste dall’art. 600 ter”), un richiamo “sintetico” al materiale di cui al comma 1, della stessa avrebbe rischiato di rendere la norma di difficile lettura (“Chiunque, al di fuori delle ipotesi previste dall’art. 600 ter, consapevolmente si procura o detiene il materiale di cui al comma 1 dello stesso articolo”).

  1. Ritiene dunque il Collegio, conclusivamente, che la sentenza del Tribunale per i minorenni debba esser condivisa in punto di diritto, avendo escluso la sussistenza del reato in capo a tutti i ricorrenti;

d’altronde, la difforme opzione ermeneutica, invocata dal ricorrente, implicherebbe un’interpretazione analogica della norma palesemente in malam partem, come tale vietata dall’ordinamento, oltre che in contrasto insanabile con la lettera e con la ratio della disposizione.

  1. Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato.

 

P.Q.M.

 

Dichiara non luogo a provvedere nei confronti di Bo.Fr..

Rigetta il ricorso del pubblico ministero.

Così deciso in Roma, il 18 febbraio 2016.

Depositato in Cancelleria il 21 marzo 2016