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Comune condannato per mancata cura nella custodia di opere d’arte

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Palais de Justice Rome Cour suprême de cassation

Comune condannato per mancata cura nella custodia di opere d’arte

Brutte notizie per i Comuni che non custodiscono diligentemente le opere d’arte a loro affidate.

Infatti, con la sentenza del 22.1.2016, il Tribunale di Verona ha condannato il Comune della Città scaligera a corrispondere alle eredi del pittore e scultore Claudio Costa la somma di euro 156.000,00, per tutti i danni subiti dalle opere del loro congiunto nel periodo in cui queste si trovavano nella disponibilità esclusiva dell’Ente locale.

In particolare, nel corso dell’anno 1997, il Comune di Verona, con propria delibera, si rendeva disponibile ad accettare la donazione di diciotto opere del Costa ed a rendersi depositario, a titolo gratuito, di altre cento opere del predetto artista.

Pertanto, nonostante dopo la richiamata delibera non fosse intervenuto alcun contratto scritto tra le parti, le opere del Costa veniva affidate al Comune scaligero.

Dopo alcuni anni, però, le eredi Costa appuravano che le opere del proprio congiunto erano state trattate in maniera del tutto inidonea alla loro conservazione ed avevano subito numerosissimi e gravissimi danneggiamenti, causati anche dall’allagamento del locale ove erano state riposte.

Di conseguenza, ritenendolo inadempiente al contratto di deposito che aveva con loro concluso, citavano in giudizio il Comune di Verona, il quale, a sua volta, chiamava in causa la propria compagnia assicuratrice e spiegava, altresì, domanda riconvenzionale nei confronti delle attrici, sostenendo che queste ultime dovessero essere condannate a restituire, ai sensi dell’art. 2041 c.c., l’importo delle spese sostenute per il trasporto e la conservazione delle opere, ritenendo che queste attività non fossero giustificate in assenza di un contratto scritto tra le parti.

Orbene, il Tribunale di Verona, dopo aver accertato, tramite consulenza tecnica di ufficio, il deterioramento subito dalle opere, con la commentata sentenza condannava il Comune di Verona a risarcire il pregiudizio economico, quantificato in euro 156.000,00, patito dalle eredi Costa e, al tempo stesso, accoglieva la domanda riconvenzionale spiegata dall’ente locale, ritenendo sussistere, nel caso in esame, i presupposti per l’applicazione della disciplina di cui all’art. 2041 c.c. in tema di azione generale di arricchimento e non quella relativa al contratto di deposito.

Infatti, ad avviso del Tribunale scaligero, il Comune di Verona aveva sostenuto nel corso degli anni spese piuttosto rilevanti – quantificate in euro 81.942,67 – per la custodia ed il trasporto delle opere d’arte, che hanno costituito un depauperamento per esso, e al contempo un arricchimento per le attrici, rimasti privi di giustificazione, dal momento che le parti non conclusero mai un valido contratto di deposito avente ad oggetto le opere d’arte e nemmeno la donazione in favore del Comune di alcune di esse.

Tribunale di Verona

Sezione III Civile

Sentenza 22 gennaio 2016

REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Tribunale di Verona Sezione III Civile Il Tribunale, in persona del Giudice Unico Massimo Vaccari

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

nella causa civile di I Grado iscritta al N. 9621/2010 R.G. promossa da: Z. A. (OMISSIS) e C. M. (C.F. OMISSIS) rappresentate e difese dagli avv.ti NOVELLI AMBROGIO del foro di Genova e LUGOBONI GIULIA MARTINA del foro di Verona ed elettivamente domiciliate presso lo studio di quest’ultima, sito in Verona, VIA JACOPO FORONI N. 27; ATTRICI contro COMUNE DI VERONA, (C.F. 00215150236) in persona del sindaco pro-tempore, rappresentato e difeso dagli avv.ti CAINERI GIOVANNI ROBERTO E MORETTO RICCARDO ed elettivamente domiciliato in Verona, PIAZZA BRA’ 1; CONVENUTO e con la chiamata in causa di SOCIETA’ CATTOLICA DI ASSICURAZIONE – SOCIETA’ COOPERATIVA (p.i.v.a. 00320160237) rappresentata e difeso dall’avv. BENINI GIOVANNI presso il cui studio, sito in Verona, Via MARIO TODESCHINI 3 è elettivamente domiciliata; TERZA CHIAMATA CONCLUSIONI PARTE ATTRICE Come da verbale di udienza del 25 giugno 2015. PARTE CONVENUTA Come da verbale di udienza del 25 giugno 2015. PARTE TERZA CHIAMATA Come da verbale di udienza del 25 giugno 2015

RAGIONI DELLA DECISIONE

Franca A. Z. e M. C. (d’ora innanzi, per brevità, eredi C.), nelle loro rispettive qualità di moglie e figlia del pittore e scultore C. C., hanno convenuto in giudizio davanti a questo Tribunale il comune di Verona per sentirlo condannare al risarcimento dei danni, patrimoniali, quantificati in euro 528.750,00 e non patrimoniali che le stesse hanno assunto di aver subito a seguito delle condotte dell’ente convenuto sotto meglio descritte. Per meglio dar conto delle ragioni della loro domanda le attrici hanno dedotto che: - a seguito della scomparsa del loro congiunto, avvenuta nel 1995, avevano preso contatti con il Comune di Verona, all’esito dei quali era stato elaborato un progetto di valorizzazione delle opere dell’artista, finalizzato a creare un legame tra lo stesso e la città; - a seguito di numerosi colloqui ed incontri, il Comune di Verona, in data 13 marzo 1997, aveva deliberato di accettare dalle eredi C. la donazione di diciotto opere dell’artista (negozio in seguito mai perfezionatosi) nonché di accettare il deposito decennale gratuito di quarantadue opere, con vincolo di inalienabilità e ancora di accettare il deposito gratuito di altre cinquantotto opere, insieme ad ulteriori dieci oggetti provenienti dal Museo di Monteghirfo; - nella stessa delibera, il Comune aveva riconosciuto «il grande valore culturale» delle opere, impegnandosi a «valorizzare i lavori di C. C.» e si era assunto ogni responsabilità circa «lo stato di conservazione delle opere in deposito»;  - nel 1998, le predette opere erano state trasferite, a cura del Comune di Verona, da Genova all’ex arsenale militare di Verona; - al momento dell’arrivo delle opere a Verona le esperte che erano incaricate della loro catalogazione avevano redatto schede tecniche di ciascuna di esse nelle quali era stato descritto analiticamente il loro stato di conservazione; - successivamente, solo a distanza di anni e dopo numerose richieste rimaste prive di riscontro, le attrici avevano appreso della rimozione delle opere dall’ex arsenale e della loro collocazione presso il magazzino della Ditta Emmepiart; - allo stesso tempo alle eredi C. era stato anche riferito che le opere dell’artista erano state trattate in maniera del tutto inidonea alla loro corretta conservazione ed avevano, perciò, subito numerosi e gravi danneggiamenti, dovuti anche all’allagamento dell’ex arsenale; - dopo il 2007, la collezione era stata trasferita presso il magazzino della ditta Arlac di Arbizzano (Vr) dove le attrici erano finalmente riuscite a visionarle constatando che alcune delle opere erano ancora conservate negli imballaggi risalenti al 1998, alluvionate e coperte di fango e che dieci di esse erano andate completamente distrutte mentre altre trentasette erano gravemente danneggiate, con una conseguente perdita economica nella misura sopra indicata; - a quel punto le attrici avevano concordato con il comune di Verona tempi e modalità per il ritorno della collezione a Genova. A detta delle attrici il convenuto era stato inadempiente al contratto di deposito che aveva concluso con loro nel momento in cui aveva preso in consegna le opere ed in particolare agli obblighi di cui agli artt. 1766, 1768, 1770, 1771 e in ogni caso era responsabile nei loro confronti ai sensi dell’art. 2043 c.c. e per violazione dell’obbligo di buona fede. Il comune di Verona si è costituito in giudizio negando qualsiasi sua responsabilità nella causazione dei danni lamentati dalle attrice e contestando anche l’eziologia e la quantificazione degli stessi. Il convenuto ha anche chiesto l’autorizzazione a chiamare in causa la società Cattolica di Assicurazione s.c.a.r.l. (d’ora innanzi, per brevità, solo Cattolica), con la quale aveva stipulato una polizza per la copertura della responsabilità civile, per essere da essa manlevata delle conseguenze dell’eventuale accoglimento della domanda attorea. In via riconvenzionale ha svolto domanda di condanna delle attrici alla restituzione, ex art. 2041 C.c., delle spese sostenute per la conservazione delle opere e per il loro trasporto, quantificate in euro 81.942,67, sulla base dell’assunto che esse erano risultate prive di giustificazione a seguito del rifiuto delle signore C. di perfezionare la donazione delle diciotto opere prevista nella delibera sopra citata. Ottenuta la richiesta autorizzazione, il comune di Verona ha convenuto in giudizio la Cattolica di Assicurazione per vedere accolte nei suoi confronti le predette domande. La terza chiamata si è costituita in giudizio e, negando di aver mai stipulato con il comune di Verona un contratto che potesse legittimare la propria chiamata in giudizio, ha eccepito in via preliminare il proprio difetto di legittimazione passiva. Ancora, la Cattolica ha eccepito come non le fosse mai pervenuta nessuna denuncia di sinistro relativa ai fatti per cui è causa nonché la prescrizione di eventuali diritti assicurativi del chiamante ai sensi dell’art. 2952 c.c. Sempre in via preliminare ha eccepito la prescrizione dei diritti delle attrici e nel merito si è associata alle difese del convenuto. La causa è stata istruita mediante l’acquisizione di documentazione ai sensi dell’art. 210 c.p.c. e l’effettuazione di una ctu descrittiva dello stato delle opere e valutativa della causa e della entità dei danneggiamenti che le stesse avevano subito. Ciò detto con riguardo agli assunti delle parti e all’iter del giudizio, in via preliminare va dato atto che il verbale di causa è stato ricostruito in parte, vale a dire nella parte relativa alle udienze dal 24 marzo 2010 al’8 giugno 2014 mediante acquisizione, con la collaborazione delle parti, di copia dello stesso (vedasi verbale dell’udienza del 26 giugno 2014 in cui venne rilevata la mancanza del verbale) Sempre in via preliminare va dato atto che gli allegati alla copia cartacea della relazione di ctu depositata in atti risultano incompleti poiché mancano quelli da A ad E e l’allegato M (cfr. faldone con copertina di colore verde in atti). Peraltro il ctu ha avuto l’accortezza di depositare, unitamente alla predetta documentazione, anche una chiavetta usb contenente i files della relazione e tutti gli allegati ad essa, cosicchè è a tale materiale che può farsi riferimento per le considerazioni che seguiranno, senza necessità di rimettere la causa sul ruolo al fine di acquisire gli allegati cartacei mancanti. Venendo al merito è opportuno innanzitutto precisare che non è controverso che il comune di Verona avesse preso in consegna le opere dell’artista C. C. indicate dalle attrici nelle circostanze dalle medesime descritte in atto di citazione. Parimenti non è contestato che le stesse abbiano subito dei danneggiamenti, atteso che il convenuto ha contestato, perlomeno nella prima parte del giudizio, la loro entità ed eziologia oltre che la propria responsabilità al riguardo. Ciò precisato in punto di fatto, è indubbio che il titolo della responsabilità del convenuto non possa essere individuato nelle norme in tema di responsabilità contrattuale, ed in particolare in quelle sul contratto di deposito, atteso, che come osservato dalla difesa del comune, deve escludersi che tra le parti fosse stato concluso un valido contratto appartenente a quella tipologia, non essendo stato osservato il requisito della forma scritta ad substantiam, richiesto per la stipulazione dei contratti con la P.A., dagli artt. 16 e 17 del r.d. 2440 del 1923. Infatti alla delibera del consiglio comunale di Verona del 13 marzo 1997 non fece mai seguito la scrittura privata che avrebbe dovuto regolare il rapporto tra le parti e la cui redazione era stata prevista anche in quell’atto. Tali considerazioni peraltro inducono a ravvisare il fondamento normativo della responsabilità del comune di Verona non tanto nella disciplina generale in tema di responsabilità extracontrattuale, quanto nel disposto dell’art. 2037, comma secondo, c.c. Nel caso di specie infatti, stando alla prospettazione attorea, sono ravvisabili sia il presupposto oggettivo che quello soggettivo per l’applicazione della norma sopra ci
tata atteso che il comune ricevette e conservò per anni le opere del C. in assenza di un titolo che giustificasse il loro possesso da parte sua e nella piena consapevolezza della mancanza di tale presupposto e quindi in condizione di mala fede. Da ciò consegue che il convenuto è tenuto a rispondere della distruzione e del deterioramento dei beni qualunque possa essere stata la causa di essi e finanche se, in via di mera ipotesi, si fosse trattato, in via esclusiva, di un evento eccezionale ed imprevedibile, quale l’allagamento citato dalle attrici. Sul punto è opportuno peraltro evidenziare che le caratteristiche di quell’evento non sono state minimamente descritte e tantomeno comprovate dal convenuto, sul quale gravava il relativo onere, con la conseguenza che non è possibile qualificarlo come “caso fortuito” secondo l’accezione contenuta nell’art. 2037, comma 2, c.c.. Alla conclusione appena esposta consegue che risulta superflua, al fine di stabilire la responsabilità del convenuto, ogni indagine sul grado di diligenza osservato dal medesimo nella custodia delle opere, non potendosi peraltro trascurare che tutti gli spostamenti delle medesime furono decisi ed effettuati in totale autonomia dal comune e quindi con piena assunzione di responsabilità per gli stessi, anche con riguardo alla scelta delle imprese che vennero incaricate degli stessi. Da quanto fin qui detto consegue anche il rigetto dell’eccezione di prescrizione sollevata dal convenuto, atteso che il termine di prescrizione dell’azione ex art. 2037, comma 2, c.c. è decennale e, anche voler ammettere, senza tuttavia concedere che i danneggiamenti e le distruzioni delle opere si fossero palesati in tutti i loro elementi fin dal 1998, come sostenuto dal comune di Verona, in difetto della esatta indicazione e dimostrazione, sempre da parte del convenuto, del mese di quell’anno nel quale si verificarono gli eventi dannosi, la prima contestazione delle attrici, che, secondo quanto riferito dallo stesso comune risale al 28 aprile 2008 e venne ricevuta il 13 maggio di quell’anno (doc. 10 di parte convenuta), deve ritenersi tempestiva. In realtà, secondo quanto può evincersi dalla prospettazione attorea, il primo momento in cui le attrici si avvidero del deterioramento di alcune delle opere fu nel 2004 (punto 15 della narrativa dell’atto di citazione) mentre esse non hanno collocato temporalmente la succitata alluvione, cosicchè essa non costituisce un evento al quale poter fare riferimento al fine predetto. Passando alla determinazione dei danni subiti dalle opere d’arte nel periodo in cui furono conservate dal convenuto, occorre innanzitutto fugare qualsiasi dubbio circa lo stato in cui esse si trovavano allorquando furono prese in consegna dal comune di Verona nel 1998. Orbene, sul punto deve ribadirsi che, in mancanza della redazione di un verbale di consegna che ne avesse descritto le condizioni (la circostanza è stata espressamente ammessa dal convenuto già in comparsa di costituzione e risposta), deve presumersi che, allorquando il comune di Verona le rilevò, fossero state integre ed in perfetto stato di conservazione. A ben vedere di ciò è dato rinvenire una evidenza documentale nelle schede descrittive delle opere redatte dalle dott.sse Bertone e Pesce, dipendenti del comune di Verona, nel 1998, che sono state acquisite ai sensi dell’art. 210 c.p.c. (allegati A alla relazione del ctu) e dalle fotografie realizzate, nello stesso anno, su incarico del convenuto, dal fotografo Brenzoni che, con il consenso delle parti, sono state acquisite ed esaminate dal ctu nel corso delle operazioni peritali (allegati B alla relazione del ctu nella quale si dà atto della mancanza di cinque foto). Nei predetti documenti infatti non si riferisce di rotture o deterioramenti per nessuno dei lavori. Ciò detto, va anche chiarito, sebbene si tratti di profilo non strettamente rilevante ai fini della decisione dopo quanto detto sopra circa il fondamento normativo della responsabilità del convenuto, che il ctu ha stabilito l’eziologia dei danni alle opere che ha descritto sulla base, in primo luogo, del raffronto tra le fotografie predette e quelle che le eredi C. avevano realizzato nel 2007-2008 presso il magazzino della ditta Arlac e che la dott. Ferriani ha acquisito, anche in questo caso con il consenso delle parti, durante lo svolgimento delle operazioni peritali (all.ti C). Ancora, il ctu ha proceduto ad un esame diretto delle attuali condizioni delle opere nel corso di cinque distinti sopralluoghi di cui ha dato atto nel proprio elaborato (pag. 2 della relazione del 27.11.2013). In comparsa conclusionale la difesa del convenuto ha obiettato per la prima volta che le attrici non avevano offerto di dimostrare che le foto da loro consegnate al ctu rappresentassero le condizioni delle opere quando esse si trovavano presso il magazzino della Arlac. Tale eccezione risulta però tardiva, giacchè è stata formulata dopo che il convenuto non si era opposto alla acquisizione di quelle foto in sede di ctu né ne aveva contestato la pertinenza. A ben vedere il ct di parte convenuta ha invece considerato attendibile la loro datazione dal momento che, nell’assumerle a riferimento per le proprie valutazioni le ha fatte risalire al periodo indicato dalle attrici (cfr. le osservazioni alla ctu del ctp del comune di Verona, Attilia Todeschini). Ancora, non va sottaciuto come sia anche del tutto inverosimile che le attrici possano aver realizzato quelle foto in un momento successivo al predetto, secondo quanto implicitamente ipotizzato dalla difesa del convenuto, atteso che per farlo avrebbero dovuto prima disimballare le opere ma tale operazione, alla quale ha invece proceduto il ctu, sarebbe stata alquanto difficoltosa. Orbene, il ctu sulla scorta delle predette verifiche, ha appurato che la maggior parte delle opere esaminate, per la precisione trentuno su trentasette, (cfr. all. I alla relazione del ctu), alla data in cui furono visionate dalle attrici presso il deposito della ditta Arlac presentavano dei danni, compiutamente descritti dal ctu, mentre altre nove (elencate nelle prime tre pagine dell’allegato I alla relazione del ctu) erano andate completamente distrutte e tali conclusioni sono state condivise dal ct di parte convenuta (cfr. pag. 4 della relazione di osservazioni alla ctu del ct del comune di Verona, Attilia Todeschini). Il ctu ha anche precisato che in numerosi casi il confronto tra le foto del 1998 e quelle del 2007/2008 ha evidenziato ulteriori danni, che non erano stati denunciati dalle eredi C.. In quei casi l’effettiva presenza dei danni è stata verificata e appurata anche dal ctp del Comune di Verona. Per quanto attiene all’opera dal titolo “Gli occhi dei Maori”, composta da ventotto elementi, di cui dodici fotografie su tela e sedici dipinti di dodici tele emulsionate, (foto prodotte come allegati C1 da 1 a 26, alla relazione di ctu), ctu e ct del comune di Verona hanno convenuto che non potesse considerarsi distrutta, come sostenuto dalle attrici, ma danneggiata, dopo che era stato rinvenuto l’elemento mancante (cfr. pag. 8 della prima relazione di ctu). Il ctu, nel rispondere al principale tra i quesiti postigli, ha anche escluso che i danni riscontrati siano una diretta conseguenza della deperibilità dei materiali utilizzati per la realizzazione delle opere e ha precisato al riguardo che lo scultore C. impiegò materiali eterogenei, tra loro assemblati nelle più diverse modalità, e “solo in rarissimi casi (ad es. quando sono state impiegate fotocopie o della cera), materiali particolarmente degradabili e sottoposti a naturale obsolescenza”. La dott. Ferriani ha invece individuato la causa dei danneggiamenti nella inadeguata conservazione delle opere ed in particolare nella loro esposizione a livelli di umidità e calore anomali, rispetto a quelli che vengono solitamente mantenuti in ambienti come abitazioni, uffici e laboratori, nonchè a movimentazioni eseguite senza le dovute precauzioni (pag.5 della prima relazione del ctu). Per quanto attiene alla quantificazione del pregiudizio economico p
atito dalle attrici è opportuno chiarire che ctu e consulenti di convenuto e terza chiamata nel corso delle operazioni peritali hanno concordato l’entità dei costi di restauro e del deprezzamento delle opere danneggiate, quantificandoli rispettivamente in euro 90.000,00, dei quali euro 21.000,00 per i costi di restauro dell’opera “Gli occhi dei maori”, e in euro 28.000,00 (cfr. ultima pagina allegato I alla relazione del ctu). Tali importi, calcolati all’attualità, vanno quindi senz’altro riconosciuti alle attrici. Ad opposta conclusione deve invece pervenirsi con riguardo ai costi di restauro e al deprezzamento, pari a complessivi euro 10.450,00, relativi alle quattro opere che hanno subito ulteriori danni dopo il 2008 (si tratta di quattro opere citate a pag. 2 della relazione del ct del comune di Verona), atteso che essi, come chiarito nella relazione del ct di parte convenuta, non erano stati riscontrati nel 2007-2008, dovendosi quindi ritenere che si siano verificati dopo che le opere erano tornate nella disponibilità delle attrici. Deve convenirsi con la difesa di parte convenuta (pag. 15 della comparsa conclusionale di tale parte) anche sul fatto che ctu e ct di parte non sono stati concordi sui valori delle nove opere andate distrutte e dell’opera “Gli occhi dei maori”. Infatti, a prescindere dalla considerazione che i valori indicati come concordati dal ctu sono stati oggetto di puntuali contestazioni da parte della difesa e del ct di parte convenuta, lo stesso ctu ha contraddetto la predetta affermazione nel momento in cui nella seconda parte della sua relazione del 27.11.2013 ha proceduto ad illustrare i criteri utilizzabili, anche in via tra alternativa, per stimare il valore delle opere distrutte (valori indicati nell’allegato alla delibera della Giunta comunale del 13 marzo 1997 e valori assicurativi attribuire ad opere dell’artista simili per tipologia a quelle in esame). Orbene, nessuno di questi due criteri può essere condiviso. Per quanto attiene alla valorizzazione delle opere di cui all’allegato della deliberazione della Giunta Comunale in data 13 marzo 1997 (allegato L alla relazione del ctu), si deve evidenziare come quest’ultimo documento avrebbe dovuto essere prodotto dalle attrici che ne erano in possesso (la delibera prodotta come doc. 3 dalle attrici era incompleta di esso) mentre è stato acquisito dal ctu in sede di operazioni peritali nonostante l’opposizione del convenuto. Coglie pertanto nel segno l’obiezione della difesa comunale che esso non è utilizzabile ai fini della decisione. Tale conclusione trova ulteriore conforto nella considerazione che, come osservato sempre dalla suddetta difesa, ad esso le attrici non avevano mai hanno fatto riferimento nei loro atti difensivi, al fine di quantificare il danno subito, e nemmeno avevano dedotto l’esistenza di un accordo tra le parti sui valori delle opere. Infatti in citazione erano stati indicati valori delle opere considerate distrutte ben superiori ai predetti (euro 281.000,00 a fronte di un valore di euro 157.545,12 indicato nell’allegato in questione). Quanto invece al criterio dei valori attribuiti ad opere simili a quelle per cui è causa in polizze assicurative, parimenti proposto dal ctu, a prescindere dalla considerazione che le polizze dalle quali tali valori sono stati desunti non sono state prodotte, esso non è indicativo del reale valore commerciale dei beni in questione. Infatti, come ha osservato la difesa del convenuto, musei e gallerie, al fine di poter esporre le opere, limitando i rischi sono disposte ad accettare valori indicati dai proprietari delle stesse anche elevati. Nemmeno possono essere presi a riferimento quelli che il ctu ha indicato come prezzi di vendita nell’allegato Q alla propria relazione e che sono compresi in una fascia compresa tra i 6.000,00 e i 20.000,00 euro, poiché sono stati desunti da una lettera del 21 marzo 2008 che dà conto del prestito di alcuni lavori del C. ad una galleria d‘arte in occasione di una mostra (la lettera fa parte degli allegati all’allegato Q). Orbene, sul punto è opportuno osservare che tale documento non ha nessuna valenza probatoria poiché era stato predisposto da una delle attrici e, per di più, è stato acquisito irritualmente. Peraltro i valori in esso riportati sono stati attribuiti unilateralmente proprio da una delle attrici atteso che la firma per accettazione che si legge in calce al documento, e che è attribuibile ad un rappresentante della galleria d’arte, si riferisce alla sola consegna delle opere. Pertanto, al fine di calcolare il valore di mercato delle opere per cui è causa, l’unico criterio attendibile è quello, indicato dal ct di parte convenuta, dei dati di vendita resi noti dalle case d’asta, atteso che essi danno conto di quale sia il livello di interesse per le opere messe in vendita e costituiscono quindi delle vere e proprie quotazioni. Tale parametro risulta poi ancor più indicativo quando, come nel caso di specie, si deve determinare il valore di mercato di una pluralità di opere del medesimo artista. Gli allegati A e B alle osservazioni alla ctu della ctp del convenuto (le osservazioni sono state dimesse all’udienza del 27 febbraio 2014), contengono i dati di un elevato numero di offerte di vendite all’asta di opere di C. C., ben superiore a quello fornito dal ctu. Si tratta infatti di duecentosessantadue casi, di cui la maggior parte, vale a dire centonovantasei, assimilabili per tecnica realizzativa a quelle oggetto di causa (si veda il puntuale raffronto tra le une e le altre contenuta nella relazione del ct di parte convenuta allegata alla memoria depositata il 28 gennaio 2015). Di queste centoquindici sono rimaste invendute e quelle aggiudicate hanno avuto un prezzo medio inferiore ad € 2000,00. Nell’allegato A della CTP del Comune sono riportati i dati delle aste tenutesi dal 1997 al 2010 di trentasei opere paragonabili per soggetto e tecnica a quelle di cui è causa. Di queste ne furono state vendute diciassette ad un prezzo medio di 2107,41 euro, comprensivo delle commissioni d’asta, con una percentuale di opere vendute rispetto a quelle offerte pari a circa il 50%. Se poi si considera il periodo successivo al 2008, ovvero dopo che le opere per cui è causa tornarono nella disponibilità delle attrici, risultano messe all’asta venti opere e soltanto cinque di esse furono vendute ad un prezzo medio di 2140,00 euro, comprensivo delle commissioni d’asta (la percentuale di opere vendute dal 2008 rispetto a quelle messe all’asta è pari al 25%). Tale dato pare effettivamente indicativo di una perdita di interesse da parte del mercato, come quanto sostenuto dal patrocinio del convenuto. Alla luce di tali emergenze, che non sono state mai contestata dalla difesa attorea, che si è limitata a far proprie le conclusioni della ctu, appare assai verosimile il valore medio di euro 2.000,00 per ciascuna delle opere distrutte che è stato proposto dalla difesa di parte convenuta, tanto più che esso tiene anche conto della aleatorietà della loro alienazione a terzi.  Nemmeno è fondata l’obiezione del ctu secondo cui non si dovrebbe tenere conto delle valutazioni espresse dalla case d’asta poichè essa si fonda su un presupposto di fatto che non è stato indimostrato, vale a dire che le opere del C. circolassero negli anni dal 1998 al 2010 principalmente tra galleristi e collezionisti. Infatti i dati di vendite avvenute in quell’ambito che sono stati forniti dalla dott. Ferriani sono molto inferiori a quelli delle offerte di vendita presso case d’asta di cui ha dato conto il convenuto. A conferma di ciò si deve evidenziare che delle diciotto opere di cui il ctu ha fornito i dati SIAE ben dodici sono state trattate dalle case d’asta (le opere in questione sono menzionate negli allegati A e B della CTP del Comune). Non può essere condivisa nemmeno l’ulteriore osservazione del ctu secondo cui le opere offerte in vendita dalle case d’asta erano per lo più di opere di scarsa importanza oppure facenti parte di vendite in blocco poichè essa non è stata corredata d
a un confronto tra le opere messe all’asta. Inoltre non risulta che all’asta siano stati venduti “pacchetti” di opere del C.. Un discorso a parte merita la valutazione dell’opera “Gli occhi dei Maori” che ha subito un deprezzamento del 50%, secondo quanto concordato tra ctu e ctp. Il ctu ha stimato il valore di tale opera in 180.000,00 euro ma esso appare però effettivamente eccessivo, atteso che non è stata dimostrato che opere dell’artista C. siano state vendute ad un prezzo vicino a quell’importo. Un’opera assai simile ad essa, sebbene, come riconosciuto dallo stesso ct di parte convenuta (cfr. relazione allegata alla memoria depositata il 28 gennaio 2015), di dimensioni assai più ridotte, dal titolo “La pelle incisa dei Maori”, risulta essere stata venduta al prezzo di euro 3.720,00 euro, comprensivo di spese e commissioni spettanti alla casa d’asta (cfr. scheda G20 dell’allegato G della relazione della CTP di parte convenuta). Peraltro occorre anche tenere presente che il prezzo massimo al quale risulta essere stata venduta una opera dell’artista è quello di euro 7.000,00 per l’opera “Assemblaggio su tavola”, alienata in data 27.10.2008, protocollo SIAE n. 2008/14387, come risulta dalla relazione della CTU (all.to Q). Orbene, poiché l’opera in esame è stata definita dal ctu come fondamentale nella produzione dell’artista (pag. 7 relazione del 27.11.2013 del ctu) in quanto estremamente rappresentativa delle sue modalità espressive, tanto da essere stata esposta in numerosi musei, e tale valutazione non è stata contestata dalle parti, ad essa si può attribuire un valore pari al doppio del prezzo massimo al quale risulta essere stata venduta in asta una opera del C., che quindi è di euro 14.000,00, al netto di spese e commissioni di vendita. Alle attrici può anche riconoscersi il ristoro per il danno non patrimoniale che hanno lamentato quale effetto dei deterioramenti per cui è causa. Infatti, sebbene esse non abbiano dimostrato di aver subito i prospettati pregiudizi di natura psichica, non avendo dimesso evidenze scientifiche di essi, può ritenersi in via presuntiva che la perdita di un numero significativo di opere e il danneggiamento di molte altre abbia arrecato loro, in considerazione del legame affettivo che avevano con il C., una più che apprezzabile sofferenza. Tale ristoro può essere quantificato nella somma di euro 3.000,00, calcolata all’attualità, in favore di ciascuna delle attrici. La somma complessivamente spettante alle attrici è pertanto di euro 156.000,00. Su tale importo, trattandosi di credito di valore, spettano, come richiesto, gli interessi al tasso legale e la rivalutazione monetaria dalla data del 1 febbraio 2008 (momento in cui presumibilmente furono rilevati tutti i danni e le distruzioni) a quella di pubblicazione della presente sentenza. Più precisamente gli interessi vanno calcolati sulla somma complessiva suddetta, devalutata alla data predetta e rivalutata anno per anno fino alla data di pubblicazione della presente sentenza. La domanda riconvenzionale svolta dal comune di Verona merita pieno accoglimento, dovendosi ritenere pienamente sussistenti i presupposti per l’applicazione al caso di specie dell’invocata disciplina di cui all’art. 2041 c.c. Infatti il convenuto ha sostenuto nel corso degli anni spese piuttosto rilevanti per la custodia ed il trasporto delle opere d’arte, che hanno costituito un depauperamento per esso, e al contempo un arricchimento per le attrici, rimasti privi di giustificazione, dal momento che, come si è detto, le parti non conclusero mai un valido contratto di deposito avente ad oggetto le opere d’arte e nemmeno la donazione in favore del comune di Verona di alcune di esse (circostanza non contestata e comunque evincibile dal telefax in data 12.2007, prodotto sub 8 da parte convenuta, con il quale le attrici offrirono la donazione di una sola delle opere). La difesa in diritto delle attrici sul punto risulta addirittura pretestuosa in quanto si fonda sul travisamento della giurisprudenza che è stata citata a sostegno di essa. Secondo le eredi C. infatti nelle sentenze da loro richiamate la Corte di Cassazione ha escluso l’ammissibilità dell’azione di arricchimento quando quest’ultimo trovi giustificazione nel consenso, anche soltanto tacito, del soggetto che assume di essere stato danneggiato. In realtà tali pronunce hanno affermato e ribadito il ben noto principio secondo cui l’azione di arricchimento senza causa non può essere proposta, difettando del requisito della residualità, quando la locupletazione di un soggetto a danno di un altro sia conseguenza di un contratto, nel caso di specie pacificamente mancante. Per quanto attiene all’entità della spesa sostenuta dal convenuto essa deve ritenersi comprovata alla luce della considerazione che le attrici, nelle memorie ai sensi dell’art. 183, VI comma nn.1 e 3 c.p.c., hanno riconosciuto che il comune di Verona avesse sostenuto le spese di trasporto nell’ammontare dallo stesso indicato ed anche l’idoneità della documentazione prodotta dall’ente pubblico a dimostrare i corrispondenti esborsi (doc.14-21; 27-30; 32-35; 38, 38 bis; 39-41; 42-43; 44-45 46-47 di parte convenuta). Anche la domanda di manleva avanzata dal convenuto nei confronti di Cattolica è fondata e merita di essere accolta. Infatti il comune di Verona, con la memoria ai sensi dell’art. 183, VI comma n. 2 c.p.c., ha prodotto una serie di polizze relative alla propria responsabilità civile generale che, proprio per la loro generalità, ben possono valere a coprire i danni per cui è causa. La terza chiamata, oltre ad affermare che alcune erano di molto successive ai fatti di causa, ha assunto che non contenevano garanzie invocabili nel presente giudizio. La prima parte della difesa però è irrilevante, dal momento che, come si è detto sopra, non vi è certezza sul momento in cui si verificarono i danni, mentre la seconda è del tutto generica in difetto della esplicitazione del motivo per cui le polizze in questione non coprirebbero i danni in esame. Anche l’eccezione di prescrizione dell’azione di garanzia che è stata sollevata dalla terza chiamata va disattesa poiché, come ha puntualmente osservato la difesa del comune di Verona, nel caso di specie, vertendosi in ipotesi di assicurazione della responsabilità civile, il termine biennale di prescrizione, ai sensi del terzo comma dell’art. 2952 c.c., decorre dal giorno in cui il terzo ha chiesto il risarcimento all’assicurato. Orbene la prima richiesta risarcitoria da parte delle attrici è pervenuta al comune con raccomandata pervenuta al protocollo generale di tale ente in data 16 giugno 2009 (doc. 12 di parte convenuta), mentre la chiamata in causa è avvenuta con atto notificato in data 20.12.2010 ovvero entro il predetto termine biennale. Venendo alla regolamentazione delle spese di lite, per quanto attiene al rapporto tra attrici e convenuto, le spese relative alle fasi di studio ed introduttiva vanno poste a carico del secondo in applicazione del principio della soccombenza. Alla liquidazione delle somme spettanti a titolo di compenso si procede come in dispositivo sulla base dei valori medi di liquidazione previsti dal d.m. 55/2014 e assumendo a riferimento l’importo riconosciuto alle attrici. Rispetto al rapporto tra convenuto e terzo chiamata le spese di lite vanno poste a carico di quest’ultima e si liquidano, per le due fasi processuali predette, parimenti sulla base dei valori medi di liquidazione. Il compenso per la fase istruttoria va invece compensato tra le parti atteso che nel corso di essa esse hanno assunto un atteggiamento marcatamente conciliativo attraverso il quale sono arrivate a condividere molte valutazioni. Sul punto vale la pena osservare che la compensazione parziale delle spese, dopo l’introduzione, con il regime dei parametri forensi, del criterio della suddivisione del processo in fasi per ciascuna delle quali va calcolato il compenso spettante al difensore della parte vittoriosa, è possibile anche rispetto al compenso relativo ad una o più di
tali fasi. Per le medesime ragioni le spese di ctu vanno poste a carico solidale delle parti. Il compenso per la fase decisionale, relativo al rapporto tra attrici e convenuto, va invece posto a carico delle prime in applicazione dell’art. 91, primo comma secondo periodo c.p.c. alla luce della considerazione che esse hanno rifiutato una proposta conciliativa del comune di Verona, formalizzata con fax del 22.10.2014 (doc. 51 di parte convenuta), i cui termini sono stati richiamati a pag. 35 della comparsa conclusionale di tale parte, che avrebbe comportato a carico del convenuto l’esborso di una somma (euro 150.000,00 al netto dell’importo richiesto in via riconvenzionale) assai maggiore di quella stabilito con la presente sentenza. Si noti che le attrici non hanno fornito nessuna spiegazione di tale decisione ed essa non può essere ravvisata nemmeno nella loro convinzione di poter ottenere con la sentenza conclusiva del giudizio una somma maggiore di quella che era stata loro offerta. Una simile valutazione, infatti, non avrebbe tenuto conto dei margini di aleatorietà che la controversia presentava a quel momento e che non erano per nulla secondari, essendo relativi soprattutto alla quantificazione del danno e all’ammontare del credito fatto valere in via riconvenzionale dalla convenuta. Invero la nozione di giustificato motivo alla quale la norma succitata ancora la valutazione del rifiuto della proposta conciliativa va intesa, ad avviso di questo giudice, in termini oggettivi e implica quindi che la prognosi della parte che ha rifiutato la proposta circa un esito del giudizio per lei maggiormente favorevole rispetto alla accettazione di quella, si fondi su emergenze processuali concrete, da valutarsi ex ante. Per quanto attiene al rapporto convenuto- terza chiamata il compenso per la fase decisionale va posto a carico della seconda. Il compenso per la fase decisionale va quantificato in una somma superiore del 50 % al valore medio di liquidazione tenuto conto che nel corso di essa le parti hanno dovuto esaminare e prendere posizione sulle complessive risultanze istruttorie. Ad attrici e convenuto spetta anche il rimborso delle spese generali nella misura massima consentita del 15 % della somma loro riconosciuta a titolo di compenso e alle attrici anche quello del contributo unificato.

P.Q.M.

Il Giudice unico del Tribunale di Verona, definitivamente pronunciando ogni diversa ragione ed eccezione disattesa e respinta, così decide: - condanna il convenuto a corrispondere alle attrici la somma di euro 156.000,00, oltre interessi e rivalutazione monetaria dalla data del 1 febbraio 2008 a quella di pubblicazione della presente sentenza, calcolati sulla somma predetta devalutata alla data del 1 febbraio 2008 e rivalutata anno per anno fino alla data di pubblicazione della presente sentenza oltre agli interessi legali dalla data di pubblicazione della presente sentenza a quella del saldo effettivo; - condanna altresì il convenuto a rifondere alle attrici le spese delle fasi di studio e introduttiva che liquida nella somma di euro 4.050,00, oltre Iva e Cpa e rimborso spese generali nella misura del 15 % di tale importo e rimborso del c.u.; - in accoglimento della domanda riconvenzionale del convenuto condanna le attrici a corrispondere al comune di Verona la somma di euro 81.942,67 oltre interessi al tasso legale e rivalutazione monetaria dalla data dei pagamenti a quella del saldo effettivo; - condanna le attrici a rifondere al convenuto le spese della fase decisionale del presente giudizio che liquida nella somma di euro 11.392,50, oltre Iva e Cpa e rimborso spese generali nella misura del 15 % di tale importo; - Condanna la terza chiamata a tenere il convenuto manlevato e indenne dalla predetta condanna in favore delle attrici nonché a rifondere al convenuto le spese del presente giudizio che liquida nella somma di euro 15.442,50 oltre rimborso spese generali nella misura del 15 % di tale importo, Iva, se dovuta, e Cpa; - compensa tra le parti le spese delle fase istruttoria e pone in via definitiva le spese della ctu a carico solidale delle parti. Verona 22/01/2016 il Giudice Dott. Massimo Vaccari