Diritto Tributario – Reverse Charge e obblighi di controllo del cessionario. Autoveicoli usati acquistati in altro Stato membro della comunità europea.
Nell’ambito di una questione di carattere tributario riguardante l’applicazione del cosiddetto regime del margine di utile, e più precisamente, nel caso di specie, in relazione ad autoveicoli acquistati da soggetti residenti in altro Stato membro da parte di un cittadino italiano, la Corte di Cassazione ha affermato tre principi di diritto, due di carattere formale e uno di carattere sostanziale.
- Innanzitutto, toccando la problematica dell’estensione del giudicato esterno delle sentenze, in applicazione di un principio oramai consolidato, ha ribadito come la sentenza del giudice tributario, che accerti il contenuto e la natura degli obblighi del contribuente per un determinato anno d’imposta, faccia stato, con riferimento alle imposte dello stesso tipo dovute per gli anni successivi, solo per quanto riguarda quegli elementi costitutivi della fattispecie che presentino un carattere statico e non anche nel caso in cui l’accertamento relativo ai diversi anni si basi su presupposti di fatto potenzialmente dinamici.
- Successivamente, la Suprema Corte ha sostenuto essere le controversie in materia di IVA soggette a norme comunitarie imperative, con conseguente operatività anche oltre i limiti del giudicato nazionale, ex art. 2909 c. c., e dell’eventuale sua proiezione anche oltre il periodo d’imposta che ne costituisce specifico oggetto; soprattutto laddove debba garantirsi la realizzazione del principio di contrasto dell’abuso di diritto, individuato dalla stessa giurisprudenza comunitaria come strumento diretto ad assicurare l’applicazione del sistema armonizzato d’imposta in tutti i paesi membri.
- Infine la Cassazione, in relazione all’applicazione del c.d. regime del margine di utile di cui all’art. 36 del d.l. 23 febbraio 1995, n. 41, convertito nella legge 22 marzo 1995, n. 85, ha dichiarato come questa non presupponga solo la ricorrenza della buona fede o dell’affidamento incolpevole del cessionario o, nel caso di specie, della qualità oggettiva degli autoveicoli “usati”, ma anche una particolare condizione soggettiva del cedente, che abbia provveduto all’assolvimento del versamento dell’IVA sull’acquisto, o, in mancanza, da parte del cessionario, una verifica più approfondita delle condizioni legittimanti l’utilizzo di tale regime anche da parte del cedente. Secondo la Suprema Corte, colui il quale intendesse avvalersi, per il pagamento dell’IVA su beni acquistati da soggetti residenti in altro Stato membro, dello speciale regime c.d. del margine, ha l’obbligo di accertare la sussistenza dei presupposti di applicabilità di quel regime, tra i quali la circostanza che il cedente del bene non abbia potuto esercitare, nel suo Paese, alcuna rivalsa per l’imposta versata per l’acquisto del bene stesso.Detto riscontro deve effettuare il cessionario con un accertamento non limitato ad un mero controllo di regolarità formale delle fatture emesse dal cedente, ma esteso alla regolarità sostanziale dell’operazione, adoperando l’ordinaria diligenza.
Richiamando un precedente dello stesso tenore, la S.C. afferma che i presupposti per l’applicazione del regime speciale consistono nel fatto che il cedente abbia assolto l’imposta in modo definitivo e risponda ad uno dei requisiti soggettivi indicati dalla medesima disposizione, configurandosi o come privato consumatore, o come soggetto che non abbia potuto detrarre l’imposta per aver destinato i beni ad attività esente, ovvero che agisca in regime di franchigia nel proprio Stato membro, ovvero ancora che abbia a sua volta assoggettato il proprio acquisto al regime del margine di utile.
Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 01 aprile 2016, n. 6343
Tributi – IVA – Regime del margine – Autoveicoli usati acquistati da soggetti residenti in altro Stato membro – Obbligo del cessionario di accertare la sussistenza delle condizioni oggettive e soggettive – Qualità usata degli autoveicoli e mancato esercizio della rivalsa da parte del cedente
Ritenuto in fatto
- A seguito di comunicazione VIES (sistema di informazioni di scambi internazionali) della società francese M. Service e della società belga N. I. E., di avere venduto alla ditta di S. M. automobili con operazioni di triangolazione, come tali soggette al regime IVA intracomunitario, l’Agenzia delle dogane, con pvc del 14.02.2002, evidenziava che il contribuente aveva contabilizzato le operazioni con applicazione del regime dell’IVA cd. a margine.
L’Agenzia delle entrate,con avviso n. RCG010500261 2004, accertava una maggiore IVA dovuta per l’anno 2001, disconoscendo l’applicazione del regime del margine.
- Il ricorso proposto dal contribuente veniva accolto in primo grado, con sentenza confermata in appello dalla Commissione tributaria regionale del Lazio con la decisione n. 84/21/09, depositata il 08.04.2009 e notificata il 24.04.2009.
- Il secondo giudice affermava che il contribuente aveva provato di aver applicato il regime del cd “margine”, sulla scorta della dichiarazione resa dal cedente francese in data 12.10.2001, dichiarazione che rendeva legittima l’applicazione del regime fiscale in esame, senza che assumessero rilievo la circostanza che le fatture emesse dai cedenti non riportassero l’indicazione “regime del margine” ed addirittura facessero riferimento al regime delle “triangolazioni”, in quanto non poteva porsi in capo al cessionario l’obbligo di accertare il regime applicato dal fornitore.
- Propone ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate su tre motivi, ai quali replica il contribuente con controricorso e ricorso incidentale condizionato, fondato su due motivi e corredato da memoria ex art. 378.
Considerato in diritto
1.1. Preliminarmente va esaminata e respinta l’eccezione di giudicato esterno sollevata dal controricorrrente con riferimento alla sentenza della CTR n.4/2008, passata in giudicato a seguito di rinuncia dell’Ufficio al ricorso per cassazione, con conseguente dichiarazione dì estinzione del processo pronunciata con decreto n.8158/2011 di questa Corte.
1.2. Innanzi tutto va riaffermato che la sentenza del giudice tributario con la quale si accertano il contenuto e l’entità degli obblighi del contribuente per un determinato anno d’imposta fa stato con riferimento alle imposte dello stesso tipo dovute per gli anni successivi solo per quanto attiene a quegli elementi costitutivi della fattispecie che, estendendosi ad una pluralità di periodi di imposta (ad es. le qualificazioni giuridiche preliminari all’applicazione di una specifica disciplina tributaria), assumano carattere tendenzialmente permanente, mentre il giudicato esterno non può avere alcuna efficacia vincolante quando l’accertamento relativo ai diversi anni si fondi su presupposti di fatto potenzialmente mutevoli (cfr. Cass. nn. 20029/2011, 13498/2015).
1.3. Invero, nel caso in esame, non vi è dubbio che non si controverte su elementi costitutivi o generatori della fattispecie, ma sulle diverse ed autonome operazioni di acquisto degli automezzi compiute nel corso dei diversi anni di imposta dal contribuente verificato e sulla loro assoggettabilità o meno al regime del margine di utile di cui all’art. 36 del d.l. 23 febbraio 1995, n. 41, in ragione alla effettiva sussistenza – in relazione a ciascuna specifica operazione – dei presupposti oggetti e soggettivi previsti normativamente: ne discende la evidente autonomia degli accertamenti, relativi ai diversi anni di imposta ed alle specifiche operazioni che li caratterizzano in ragione della variabilità degli elementi soggettivi ed oggettivi che le connotano, anche se confluiti nella contestazione unitaria contenuta nel pvc del 14.02.2002.
1.4. Ne consegue che nel caso in esame non ricorrono i presupposti per applicare la disciplina del giudicato esterno.
1.5. Peraltro è significativo ricordare che le controversie in materia di IVA sono anche soggette a norme comunitarie imperative, la cui applicazione non può essere ostacolata dal carattere vincolante del giudicato nazionale, previsto dall’art. 2909 cod. civ., e dalla eventuale sua proiezione anche oltre il periodo di imposta che ne costituisce specifico oggetto, ove gli stessi impediscano – secondo quanto stabilito dalla sentenza della Corte di Giustizia CE 3 settembre 2009, in causa C-2/08 – la realizzazione del principio di contrasto dell’abuso del diritto, individuato dalla giurisprudenza comunitaria come strumento teso a garantire la piena applicazione del sistema armonizzato di imposta (Cass. n. 16996/2012).
2.1. Con il primo motivo la ricorrente lamenta la motivazione insufficiente (art. 360, comma 1, n.5, c.p.c.) su un punto decisivo della controversia, in merito alla dichiarazione resa in data 12.10.2001 dal cedente francese che così si esprimeva “Con la presente si dichiara di operare in Francia secondo la ragione IVA dei beni usati, regime del margine in applicazione della direttiva 94/5/CEE del 14.02.1994 secondo il principio introdotto dall’art.32 della direttiva 77/388/CEE del 15.07.1977”. Dopo aver rimarcato il contenuto generico ed astratto della dichiarazione, priva di riferimenti alle specifiche fatture per cui è causa, e la circostanza che risultava successiva alle stesse, la Agenzia lamenta che la CTR non abbia chiarito l’iter logico in base al quale tale dichiarazione sia stata ritenuta idonea a confutare la valenza probatoria insita nell’annotazione specifica (attestante l’applicazione del regime IVA intracomunitario) contenuta nelle fatture rilasciate dalla cedente francese.
2.2. Con il secondo motivo la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 36 del DL n.41/1995 (art. 360, comma 1, n.3, c.p.c.)
Sostiene che la CTR ha errato nel ritenere che, al fine di applicare il regime del margine, sia sufficiente l’asserita buona fede del cessionario italiano in ordine all’applicazione del regime da parte del cedente comunitario, senza che acquisti rilievo la sussistenza oggettiva dei presupposti per applicare detto regime e senza che l’onere di diligenza imcombente al cessionario si estenda alla verifica delle modalità di applicazione dell’IVA da parte dei soggetti comunitari precedenti intestatari dei veicoli, laddove invece le norme in materia, che pongono un presupposto oggettivo all’applicazione del regime del margine, avrebbero dovuto far escludere la rilevanza del mero stato soggettivo di asserita buona fede, ove la dichiarazione non corrisponda alla realtà delle evenienze fiscali effettivamente verificatesi nei precedenti passaggi.
2.3. Con il terzo motivo la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 36 del DL n.41/1995, nonché degli artt. 2697 e 2729 cc (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.).
Sostiene la ricorrente che il regime del “cd. margine”, proprio come quello dell’aliquota agevolata, costituisce un’eccezione alle normali disposizioni in materia di tassazione ordinaria, ed è il contribuente a dover provare la esistenza dei presupposti per la sua applicazione, dovendo distinguersi tra la prova di aver diritto alla agevolazione e l’asserito affidamento incolpevole (cioè non evitabile con l’uso della normale diligenza) sulla applicabilità di tale agevolazione che potrebbe giustificare solo l’esonero dalle sanzioni previste: pertanto la decisione della CTR, che ha escluso qualunque onere di verifica in capo al cessionario, illegittimamente ribalta sull’Ufficio il relativo onere probatorio.
2.4.1. I tre motivi, riconducibili ai criteri normativi ed applicativi della disciplina del margine, sono fondati e vanno accolti e possono essere trattati congiuntamente.
2.4.2. Contrariamente a quanto affermato dalla CTR l’applicazione del cd. “regime del margine”, non presuppone solo la ricorrenza della buona fede o dell’affidamento incolpevole e la qualità oggettiva degli autoveicoli, consistente nell’essere “usati”, ma anche una particolare condizione soggettiva del dante causa, che abbia determinato l’assolvimento ab origine dell’lVA sull’acquisto e non esclude la necessità, da parte del cessionario, di una verifica più approfondita delle condizioni legittimanti l’utilizzo di tale regime anche da parte del cedente.
2.4.3. In proposito va ricordato, come più volte affermato da questa Corte, con argomenti che si condividono che “In tema di IVA, il regime del margine di utile di cui all’art. 36 del d.l. 23 febbraio 1995, n. 41, convertito nella legge 22 marzo 1995, n. 85, siccome rappresenta un regime speciale rispetto all’ordinario regime impositivo riguardante gli acquisti intracomunitari, impone al contribuente di provare la sussistenza dei presupposti che ne consentono l’applicazione, e, quindi, la mancata detrazione dell’IVA all’acquisto da parte del cedente, tutte le volte in cui la contestazione dell’Amministrazione trovi fondamento in elementi oggettivi che privino di attendibilità le indicazioni contenute nella fattura emessa nei confronti del cessionario.” (Cass. Sent. n. 8828/2012). In particolare va ribadito che “In tema di IVA, ai fini dell’applicazione negli acquisti intra-comunitari del regime del margine di utile di cui all’art. 36 del d.l. 23 febbraio 1995, n. 41, convertito nella legge 22 marzo 1995, n. 85, non costituisce unica condizione la regolarità formale della fattura emessa dal cedente, poiché in tal modo si attribuirebbe à tale documento un’efficacia probatoria, in realtà non prevista, in relazione all’esistenza dei presupposti giustificativi di tale regime fiscale, e cioè che il cedente abbia assolto l’imposta in modo definitivo e risponda ad uno dei requisiti soggettivi indicati dalla medesima disposizione, configurandosi o come privato consumatore, o come soggetto che non abbia potuto detrarre l’imposta per aver destinato i beni ad attività esente, ovvero che agisca in regime di franchigia nel proprio Stato membro, ovvero ancora che abbia a sua volta assoggettato il proprio acquisto al regime del margine di utile.” (Cass. Sent. n. 8828/2012).
2.4.4. Pertanto colui il quale intenda avvalersi, per il pagamento dell’IVA su beni acquistati da soggetti residenti in altro Stato membro, dello speciale regime del “margine di utile”, ha l’obbligo di accertarsi della sussistenza dei presupposti di applicabilità di quel regime, tra i quali la circostanza che il cedente del bene non abbia potuto esercitare, nel suo Paese, alcuna rivalsa per l’imposta versata quando acquistò quel bene. Tale accertamento non può limitarsi ad un mero controllo di regolarità formale delle fatture emesse dal cedente, ma deve estendersi al controllo della regolarità sostanziale dell’operazione, a condizione che esso sia possibile alla stregua dell’ordinaria diligenza esigibile dal cessionario (Cass. Sent. n. 8636/2012, 15630/2015).
2.4.5. Ne discende che, anche se va escluso che il regime del cd. “margine” abbia carattere agevolativo, lo stesso è un regime speciale di assolvimento dell’imposta per cui è onere di colui che richiede di accedervi provare la effettiva ricorrenza di tutti gli elementi normativamente richiesti, sia oggettivi che soggettivi, per cui ha errato la CTR nel ritenere applicabile il cd ‘‘regime del margine” sulla ricorrenza oggettiva della qualità “usata” degli autoveicoli in questione e sulla dichiarazione in fattura dell’assoggettabilità dei beni a tale regime (Cass. n. 26852/2014).
2.4.6. La sentenza in esame non ha dato corretta applicazione a tali principi ed anche la valorizzazione della generica dichiarazione di applicazione del regime del margine, resa dalla cedente francese in epoca successiva alle operazioni in esame, anche se prima dell’accertamento, non solo non è informata a tali principi, ma non ne illustra le ragioni in modo compiuto sul piano logico/giuridico.
3.1. Si deve quindi passare ad esaminare il ricorso incidentale condizionato proposto da S. M. sui seguenti motivi.
3.2. Primo motivo – Violazione degli artt.2909 cc e 324 c.p.c.(art. 360, comma 1, n.3, c.p.c.). Sostiene il controricorrente di avere rilevato sin dalle controdeduzioni in appello che era intervenuto il passaggio in giudicato della sentenza n.04/38/2009 della medesima CTR, emessa in relazione agli avvisi di accertamento relativi alle annualità 1999 e 2000, scaturiti dal medesimo pvc dell’Agenzia delle dogane in data 14.02.02 e fondati sulle medesime contestazioni, decisione favorevole al contribuente.
4.3.1. Secondo motivo – Insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia (art. 360, comma 1, n.5, c.p.c.) in merito al mancato esame da parte della CTR dell’eccezione di giudicato esterno sollevata con le controdeduzioni in appello.
4.3.2. Entrambi i motivi sono inammissibili per carenza di interesse; questi assumono come presupposto un elemento di fatto, il passaggio in giudicato della sentenza n.04/38/2009 della CTR del Lazio già all’epoca della trattazione del presente giudizio in fase di appello, che è stato smentito dallo stesso controricorrente nelle memoria ex art. 378 c.p.c. (fol.6/7), ove è precisato che detta sentenza è passata in giudicato a seguito di rinuncia dell’Ufficio al ricorso per cassazione, con conseguente dichiarazione di estinzione del processo pronunciata con decreto della Corte di Cassazione n.8158/2011.
4.1. In conclusione il ricorso principale va accolto ed il ricorso incidentale va rigettato; la sentenza va cassata e la causa, non potendo essere decisa nel merito, va rinviata alla CTR che dovrà conformarsi ai principi espressi per il riesame anche nello svolgere una congrua motivazione degli elementi di fatto sottoposti al suo vaglio, provvedendo anche a liquidare le spese di giudizio del presente grado.
P.Q.M.
– accoglie il ricorso principale e rigetta il ricorso incidentale;
– cassa la sentenza impugnata e rinvia alla CTR del Lazio in altra composizione per il riesame e per la liquidazione anche delle spese del presente grado