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La recidiva equivalente alle attenutati può dirsi “applicata”?

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Palais de Justice Rome Cour suprême de cassation

La recidiva equivalente alle attenutati può dirsi “applicata”?

Torna all’attenzione della Suprema Corte la circostanza aggravante della recidiva ed in particolare il corretto significato da attribuire al verbo “applicare”, in relazione agli effetti, non solo diretti, ma anche indiretti, che tale circostanza porta con sé. Uno tra tutti quello di cui all’art. 81, comma 4, c.p., che stabilisce un aumento minimo di pena (non inferiore ad un terzo della pena prevista per il reato più grave) laddove i reati commessi in concorso formale o in continuazione con quello più grave siano posti in essere da soggetti ai quali sia stata applicata la recidiva c.d. reiterata, prevista dall’art. 99, comma 4, c.p.. Tale tipologia di recidiva opera quale circostanza aggravante inerente alla persona del colpevole ed ha natura facoltativa, nel senso che è consentito al giudice di escluderla motivatamente e considerarla tanquam non esset ai fini sanzionatori, all’esito di una verifica in concreto sulla reiterazione dell’illecito, quale indice sintomatico di riprovevolezza e pericolosità. Laddove tale valutazione abbia esito negativo, il giudice esclude la recidiva, ritenendola non rilevante, e non la applica, non considerandola né ai fini della determinazione della pena, né nel giudizio di comparazione di cui all’art. 69 c.p.. Ove, invece, il giudice ne accerti i presupposti, ritenendola sussistente, andrà ad applicarla e ad aumentare la pena.

Ebbene, il quesito posto all’attenzione delle Sezioni Unite è “se il limite di aumento di pena non inferiore ad un terzo della pena stabilita per il reato più grave, di cui all’art. 81, comma 4, c.p., nei confronti dei soggetti ai quali sia stata applicata la recidiva prevista dall’art. 99, comma 4, c.p., operi anche quando il giudice consideri la recidiva stessa equivalente alle riconosciute attenuanti”. La questione è stata originata dalla mancanza di una univoca interpretazione in seno alla giurisprudenza di legittimità della disposizione di cui all’art. 81, comma 4, c.p., rinvenendosi due contrapposti indirizzi ermeneutici: quello maggioritario, secondo cui la recidiva deve ritenersi “applicata” anche in caso di ritenuta equivalenza alle attenuanti, operando così il limite minimo per l’aumento di cui all’art. 81, comma 4, c.p.; quello minoritario, che ritiene, invece, che dal giudizio di equivalenza derivi un effetto di annullamento della efficacia della recidiva, di guisa che la stessa non possa ritenersi “applicata” e non ne possa derivare alcun effetto, ancorchè indiretto, come quello di cui al suddetto art. 81, comma 4, c.p..

Se, allora, “applicare” vuol dire utilizzare un certo istituto concretamente ed effettivamente, in senso funzionale ai suoi scopi, di modo che dallo stesso possano derivare quegli effetti che gli sono propri, affermano le Sezioni Unite, all’esito di un giudizio di bilanciamento, la recidiva deve già essere considerata come riconosciuta ed applicata, essendole stata attribuita quella oggettiva consistenza che ne consente il confronto con le attenuanti concorrenti. Essa ha in ogni caso spiegato i suoi effetti all’interno del giudizio comparativo, sebbene gli stessi vengano poi ritenuti equivalenti rispetto alle attenuanti, ma non neutralizzati. Da qui il seguente principio di diritto: “il limite di aumento di pena non inferiore a un terzo della pena stabilita per il reato più grave, di cui all’art. 81, comma 4, c.p. nei confronti dei soggetti ai quali sia stata applicata la recidiva prevista dall’art. 99, comma 4, c.p. opera anche quando il giudice consideri la stessa equivalente alle riconosciute attenuanti”.

 

 

CORTE DI CASSAZIONE, SEZIONI UNITE , SENTENZA 21 luglio 2016, n.31669 – Pres. Canzio – est. Ramacci

Ritenuto in fatto

1. Il Tribunale di Bergamo, con sentenza del 12/2/2015, ha riconosciuto F.D. responsabile dei reati di cui agli artt. 635, primo e secondo comma, n. 1, 81, secondo comma, e 610 cod. pen., dichiarando non doversi procedere in relazione alle ulteriori contestazioni, concernenti i delitti di lesioni personali lievi e furto, per essere gli stessi estinti per remissione di querela.

Unificati i reati di cui ai capi A) e B) sotto il vincolo della continuazione e riconosciute le attenuanti generiche, ritenute equivalenti alla contestata recidiva reiterata, specifica ed infraquinquennale, l’imputato veniva condannato alla pena di mesi sei di reclusione, considerando una pena-base di mesi otto per il reato sub A), aumentata di un mese per la continuazione, e ridotta di un terzo per il rito.

2. Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di Brescia, denunciando la violazione degli artt. 81, quarto comma, e 99, quarto comma, cod. pen. e la conseguente irrogazione di una pena non conforme a legge.

Osserva a tale proposito l’Ufficio ricorrente che il Tribunale aveva applicato un aumento di pena per la continuazione non corrispondente a quello, non inferiore a un terzo per la pena stabilita per il reato più grave, imposto dall’art. 81, quarto comma, con riferimento ai soggetti ai quali sia stata applicata la recidiva prevista dall’art. 99, quarto comma.

Il giudice del merito, operato il giudizio di equivalenza tra attenuanti generiche e recidiva, implicitamente esteso anche all’aggravante prevista dall’art. 635, secondo comma, n. 1, cod. pen., ha operato un aumento, a titolo di continuazione, pari a un mese di reclusione in luogo di quello di mesi due e giorni venti che la corretta applicazione dell’art. 81, quarto comma, avrebbe richiesto.

3. La Quinta Sezione ha posto in evidenza la sussistenza di un contrasto interpretativo in ordine all’applicabilità dell’aumento di pena non inferiore al terzo previsto dall’art. 81, quarto comma, cod. pen. in caso di riconosciuta equivalenza delle circostanze attenuanti alla recidiva specifica, reiterata e infraquinquennale, pronunciando ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite.

Il Primo Presidente, con decreto del 9 maggio 2016, ha fissato per la trattazione del ricorso l’odierna udienza pubblica.

Considerato in diritto

1. La questione di diritto per la quale il ricorso è stato rimesso alle Sezioni Unite è la seguente: “Se il limite di aumento di pena non inferiore a un terzo della pena stabilita per il reato più grave, di cui all’art. 81, quarto comma, cod. pen., nei confronti dei soggetti ai quali sia stata applicata la recidiva prevista dall’art. 99, quarto comma, stesso codice, operi anche quando il giudice consideri la recidiva stessa equivalente alle riconosciute attenuanti”.

2. L’art. 81 cod. pen. stabilisce al quarto comma, aggiunto dall’art. 5, comma 1, legge 5 dicembre 2005, n. 251: “Fermi restando i limiti indicati al terzo comma, se i reati in concorso formale o in continuazione con quello più grave sono commessi da soggetti ai quali sia stata applicata la recidiva prevista dall’articolo 99, quarto comma, l’aumento della quantità di pena non può essere comunque inferiore ad un terzo della pena stabilita per il reato più grave”.

Come rilevato nell’ordinanza di rimessione, la giurisprudenza di legittimità non è pervenuta ad un’univoca interpretazione della disposizione appena richiamata, rinvenendosi due contrapposti indirizzi: uno, maggioritario, secondo cui la recidiva deve ritenersi applicata anche in caso di ritenuta equivalenza della stessa alle attenuanti, operando, così, il limite minimo per l’aumento indicato dall’art. 81, quarto comma, cod. pen.; l’altro, minoritario, che ritiene invece il giudizio di equivalenza produttivo di un sostanziale annullamento dell’efficacia della recidiva, la quale non potrebbe, quindi, ritenersi applicata, con la conseguenza che l’aumento per la continuazione non deve sottostare a detto limite.

Entrambe le soluzioni prendono in considerazione quanto evidenziato in una precedente pronuncia delle Sezioni Unite (n. 35738 del 27/05/2010, Celibe, Rv. 247839), i cui contenuti meritano di essere richiamati.

3. Escludendo che il testo dell’art. 99 cod. pen., come sostituito dall’art. 4 della legge 5 dicembre 2005, n. 251, abbia sostanzialmente ripristinato il regime di obbligatorietà della recidiva preesistente alla riforma del 1974 e condividendo l’analisi della disposizione operata dalla giurisprudenza di legittimità e costituzionale, la sentenza Calibé ha ribadito che la recidiva reiterata di cui al quarto comma dell’art. 99 cod. pen. opera quale circostanza aggravante inerente alla persona del colpevole di natura facoltativa. Nel senso che è consentito al giudice di escluderla motivatamente e considerarla tamquam non esset ai fini sanzionatori, all’esito di una verifica in concreto sulla reiterazione dell’illecito quale indice sintomatico di riprovevolezza e pericolosità, da effettuare tenendo conto della natura dei reati, del tipo di devianza di cui sono il segno, della qualità dei comportamenti, del margine di offensività delle condotte, della distanza temporale e del livello di omogeneità esistente fra loro, dell’eventuale occasionalità della ricaduta e di ogni altro possibile parametro individualizzante significativo della personalità del reo e del grado di colpevolezza, al di là del mero ed indifferenziato riscontro formale dell’esistenza di precedenti penali.

Rileva ancora la richiamata sentenza che, se tale valutazione ha esito negativo, il giudice, escludendo la recidiva, la ritiene non rilevante e non la applica, non considerandola ai fini della determinazione della pena, né, tanto meno, nel giudizio di comparazione di cui all’art. 69 cod. pen.. Diversamente, nel caso in cui la recidiva venga apprezzata come indicativa di maggior colpevolezza e pericolosità, essa produce tutti i suoi effetti, ivi compresi quelli di cui all’art. 81, quarto comma, cod. pen.. In tali ipotesi, infatti, essa, oltre che “accertata” nei presupposti (sulla base dell’esame del certificato del casellario), è anche “ritenuta” dal giudice ed “applicata”, determinando l’effetto tipico di aggravamento della pena, anche nel caso in cui svolga semplicemente la funzione di paralizzare, con il giudizio di equivalenza, l’effetto alleviatore di una circostanza attenuante.

In una successiva pronuncia (Sez. U, n. 20798 del 24/02/2011, Indelicato, Rv. 249664), le Sezioni Unite hanno posto in evidenza la natura della recidiva quale circostanza pertinente al reato, che richiede un accertamento, nel caso concreto, della relazione qualificata tra lo status e il fatto, che deve risultare sintomatico, in relazione alla tipologia dei reati pregressi e all’epoca della loro consumazione, sia sul piano della colpevolezza che su quello della pericolosità sociale, respingendo, sulla base di una lettura costituzionalmente orientata, la possibilità di qualsiasi automatismo, inteso come instaurazione presuntiva di una relazione qualificata tra status della persona e reato commesso, e privilegiando, invece, una valutazione discrezionale cui è correlato uno specifico obbligo motivazionale.

4. Ciò posto, vanno esaminati i contenuti delle pronunce che hanno formulato le contrapposte opzioni ermeneutiche, causa del contrasto che le Sezioni Unite sono chiamate a risolvere.

Prendendo in considerazione la questione dell’operatività del limite minimo di aumento per il concorso formale o la continuazione in caso di recidiva reiterata ritenuta equivalente alle attenuanti riconosciute dal giudice, una prima pronuncia (Sez. 5, n. 9636 del 24/01/2011, Ortoleva, Rv. 249513) ha ritenuto tale limite non applicabile nel caso in cui il giudice non abbia considerato la recidiva reiterata concretamente idonea ad aggravare la sanzione per i reati in continuazione o in concorso formale, ed in relazione ad essi l’abbia esclusa e, pertanto, non “applicata”, ritenendo sussistente tale situazione nel caso esaminato, ove il Tribunale aveva riconosciuto all’imputato l’attenuante di cui all’art. 62, n. 4, cod. pen., ritenuta equivalente alle contestate aggravanti, tra cui la recidiva specifica reiterata, che la Corte considerava, quindi, apprezzata come sostanzialmente non incidente in concreto sull’entità della pena (in senso conforme, cfr. Sez. 5, n. 22980 del 27/01/2015, Parada, Rv. 263985; Sez. 5, n. 43040 del 20/06/2015, Martucci, Rv. 264824).

A tale decisione si contrapponeva altra pronuncia (Sez. 6, n. 25082 del 13/06/2011, Levacovich, Rv. 250434) nella quale si riteneva di dover pervenire a conclusioni diametralmente opposte, rilevandosi che, ad eccezione dei casi in cui la recidiva sia stata esclusa, in quanto non sintomatica di una più accentuata colpevolezza e pericolosità dell’imputato, venendo così espunta dal regime sanzionatorio applicabile, essa conservi inalterati, nelle altre ipotesi, i suoi effetti ulteriori, ivi compreso quello di cui all’art. 81, quarto comma, cod. pen. Tale evenienza, in presenza di un giudizio di bilanciamento, si verificherebbe tanto nel caso di ritenuta equivalenza quanto in quello di subvalenza rispetto alle attenuanti riconosciute, poiché, verificandosi dette ipotesi, la recidiva risulterebbe “ritenuta” ed “applicata”.

Pervenendo ad identiche conclusioni successive pronunce si ponevano sulla scia della decisione appena richiamata, con argomentazioni del tutto sovrapponibili (Sez. 3, n. 431 del 28/09/2011, dep. 2012, Guerreschi, Rv. 251883; Sez. 6, n. 49766 del 21/11/2012, Khelifa, Rv. 254032; Sez. 5, n. 48768 del 07/06/2013, Caziuc, Rv. 258669; Sez. F, n. 53573 del 11/09/2014, Procaccio, Rv. 261887; Sez. 4, n. 36247 del 28/05/2015, Zerbino, Rv. 264402; Sez. 3, n. 19496 del 24/09/2015, dep. 2016, Carambia; Sez. 5, n. 18253 del 07/01/2016, Hicham).

5. Richiamati i contrapposti orientamenti giurisprudenziali che hanno dato origine al contrasto, pare opportuno ricordare che l’art. 81, quarto comma, cod. pen. è stato scrutinato anche sotto il profilo della sua conformità al dettato costituzionale.

La Quinta Sezione, analizzando l’eccezione di incostituzionalità della richiamata disposizione, sollevata con riferimento all’art. 3 Cost., l’ha ritenuta manifestamente infondata in considerazione del fatto che l’aumento di pena è giustificato dalla sostanziale diversità delle situazioni regolate, in quanto il legislatore ha facoltà di comminare le pene con aumenti differenziati in misura precostituita in ragione della minore o maggiore proclività a delinquere del reo “recidivo reiterato”, ed essendo detto aumento del tutto ragionevole, oltre che conforme al principio dell’emenda di cui all’art. 27 Cost., dal momento che una pena non commisurata adeguatamente al valore dell’illecito, identificato anche in base alla propensione a delinquere che il reo esprime, sarebbe frustranea rispetto alla rieducazione del condannato (Sez. 5, n. 30630 del 09/04/2008, Nikolic, Rv. 240445, richiamata da Sez. 2, n. 18092 del 12/04/2016, Lovreglio, non mass.).

La Corte costituzionale, con ordinanza n. 193 del 2008, ha dichiarato la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 69, quarto comma, e 81, quarto comma, cod. pen., osservando che l’art. 81, quarto comma, cod. pen. presuppone una positiva valutazione da parte del giudice circa la concreta idoneità della recidiva reiterata ad aggravare la pena per i reati in continuazione o in concorso formale, come emerge dal tenore letterale della norma (“soggetti ai quali sia stata applicata la recidiva”) e che “risulterebbe, del resto, affatto illogico che una circostanza, priva di effetti ai fini della determinazione della pena per i singoli reati contestati all’imputato (ove non indicativa, in tesi, di maggiore colpevolezza o pericolosità del reo), possa produrre un sostanziale aggravamento della risposta punitiva in sede di applicazione di istituti – quali il concorso formale di reati e la continuazione – volti all’opposto fine di mitigare la pena rispetto alle regole generali sul cumulo materiale”.

Analoghe conclusioni venivano tratte in una successiva pronuncia (Corte cost., ord. n. 171 del 2009).

6. Dato atto del panorama giurisprudenziale relativo al tema trattato, va rilevato, in primo luogo, come sia del tutto pacifico che, con la riforma del 2005, il legislatore abbia inteso intervenire con maggior rigore nei confronti del recidivo, discostandosi quindi dai diversi criteri che avevano ispirato il precedente intervento modificativo ad opera del d.l. 11 aprile 1974, n. 99, convertito dalla legge 7 giugno 1974, n. 220, prevedendo, in linea generale, più consistenti aumenti di pena ed altri effetti decisamente sfavorevoli, lasciando al giudice un ambito di azione più limitato nella graduazione della pena, come è appunto avvenuto con il limite imposto dall’art. 81, quarto comma, cod. pen..

Va anche ribadito che la questione del limite di aumento minimo per la continuazione in caso di recidiva reiterata si pone solamente nel caso in cui la recidiva venga ritenuta dal giudice ed utilizzata nel giudizio di bilanciamento, non rilevando il diverso caso in cui la recidiva sia stata, invece, esclusa, come chiaramente precisato nella sentenza Sez. U, Calibé.

Si pone a questo punto il problema della individuazione della corretta accezione del verbo “applicare” utilizzato dall’art. 81, quarto comma, cod. pen., verificando, quindi, quando la recidiva possa dirsi “applicata” dal giudice.

A tale proposito, sembra decisamente preferibile la soluzione adottata dalla più volte citata sentenza Calibé la quale, peraltro, richiama altra pronuncia delle Sezioni Unite (n. 17 del 18/06/1991, Grassi, Rv. 187856).

La sentenza Grassi, prendendo in esame una vicenda concernente l’applicabilità dell’indulto di cui al d.P.R. n. 394 del 1990, ha considerato il significato di “utilizzazione funzionale” che va riconosciuto al verbo “applicare”, il quale, con riferimento ad una norma, è tale se “concretamente ed effettivamente utilizzata in senso funzionale ai suoi scopi, facendole esercitare uno qualsiasi degli effetti che le sono propri e da essa dipendano con nesso di causalità giuridica necessaria, in modo che senza di essa non possono derivare quegli effetti che il giudice riconosce nel farne uso”.

Con specifico riferimento alla circostanza aggravante si osserva che la stessa è riconosciuta ed applicata non soltanto quando è produttiva del suo effetto tipico di aumento dell’entità della pena, ma anche quando, in applicazione dell’art. 69 cod. pen., si determinino altri effetti, quali la neutralizzazione di una circostanza attenuante concorrente.

Le considerazioni svolte nelle due precedenti decisioni delle Sezioni Unite vanno qui ribadite, osservando come le stesse si attaglino maggiormente alla specificità della recidiva, la quale richiede, da parte del giudice, un accertamento complesso e articolato, inerente la maggiore colpevolezza e l’aumentata capacità a delinquere, che solo se negativo esclude ogni conseguenza e che, invece, permane e sopravvive comunque alla valutazione comparativa operata nel giudizio di bilanciamento, perché, quando questo avviene, la recidiva è stata già riconosciuta ed applicata, essendole stata attribuita quell’oggettiva consistenza che consente il confronto con le attenuanti concorrenti: attività successiva, questa, rimessa alla discrezionalità del giudice.

Dunque, all’atto del giudizio di comparazione, l’azione dell’applicare la recidiva si è già esaurita, perché altrimenti il bilanciamento non sarebbe stato necessario: la recidiva ha comunque esplicato i suoi effetti nel giudizio comparativo, sebbene gli stessi siano stati ritenuti dal giudice equivalenti rispetto alle circostanze attenuanti concorrenti, in assenza delle quali, però, la recidiva avrebbe comportato l’aumento di pena.

7. Va osservato che anche in altre occasioni in cui la giurisprudenza di legittimità ha affrontato questioni comunque riferite alla recidiva, si è ritenuto che il giudizio di bilanciamento con altre circostanze concorrenti non determini conseguenze neutralizzanti degli ulteriori effetti della recidiva.

E così, in tema di prescrizione, si è affermato che la recidiva reiterata, quale circostanza aggravante ad effetto speciale, rileva ai fini della determinazione del termine di prescrizione, anche qualora nel giudizio di comparazione con le circostanze attenuanti sia stata considerata equivalente (Sez. 6, n. 39849 del 16/09/2015, Palombella, Rv. 264483; Sez. 2, n. 35805 del 18/06/2013 Romano, Rv. 257298; Sez. 1, n. 26786 del 18/06/2009, Favuzza, Rv. 244656; Sez. 5, n. 37550 del 26/06/2008, Locatelli, Rv. 241945).

Ci si riferisce, inoltre, in simili casi, alla sostanziale “applicazione” della recidiva, rilevando che la circostanza aggravante deve ritenersi, oltre che riconosciuta, anche applicata, non solo quando esplica il suo effetto tipico di aggravamento della pena, ma anche quando produca, nel bilanciamento tra circostanze aggravanti e attenuanti di cui all’art. 69 cod. pen., un altro degli effetti che le sono propri, cioè quello di paralizzare un’attenuante, impedendo a questa di svolgere la sua funzione di concreto alleviamento della pena da irrogare (v., ad es., Sez. 2, n. 2731 del 02/12/2015, dep. 2016, Conti, Rv. 265729 in tema di prescrizione; Sez. 1, n. 8038 del 18/01/2011, Santoro, Rv. 249843; Sez. 1, n. 43019 del 14/10/2008, Buccini, Rv. 241831; Sez. 1, n. 29508 del 14/07/2006, Maggiore, Rv. 234867 in tema di divieto di sospensione dell’esecuzione di pene detentive brevi; Sez. 1, n. 47903 del 25/10/2012, dep. 2012, Cecere, Rv. 253883; Sez. 1, n. 27846 del 13/07/2006, Vicino, Rv. 234717, in materia di detenzione domiciliare).

Neppure può dirsi che tale ragionamento si ponga in contraddizione con il principio del favor rei, dal momento che il giudice può tanto escludere radicalmente la recidiva, quanto ritenerla sussistente e confrontarla con le circostanze concorrenti, con esiti diversi circa la dosimetria della pena.

8. Deve conseguentemente rispondersi al quesito posto in apertura della presenta parte motiva affermando il seguente principio di diritto:

“Il limite di aumento di pena non inferiore a un terzo della pena stabilita per il reato più grave, di cui all’art. 81, quarto comma, cod. pen. nei confronti dei soggetti ai quali sia stata applicata la recidiva prevista dall’art. 99, quarto comma, stesso codice, opera anche quando il giudice consideri la recidiva stessa equivalente alle riconosciute attenuanti”.

9. Venendo all’esame dei motivi di ricorso, va rilevato che gli stessi risultano fondati, avendo il giudice del merito, dopo aver effettuato il giudizio di bilanciamento nei termini indicati in premessa, operato un aumento per la continuazione nei confronti dell’imputato, già dichiarato “recidivo reiterato”, in misura inferiore al limite imposto dall’art. 81, quarto comma, cod. pen., ed irrogato una pena finale non conforme a legge.

Ciò comporta l’annullamento della sentenza impugnata, limitatamente al trattamento sanzionatorio, con rinvio alla Corte di appello di Brescia ai sensi dell’art. 569, comma 4, cod. proc. pen., fermo restando il giudicato sul punto della decisione relativo all’affermazione di colpevolezza.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla determinazione della pena e rinvia alla Corte di appello di Brescia per il giudizio sul punto.