Con l’ordinanza cautelare n. 2965/14, il Tribunale di Nola, nel rigettare un sequestro conservativo di beni da parte della curatela fallimentare, ha modo di ripercorrere i tratti differenziali tra la revocatoria esperita nei confronti di un debitore non fallito e quella, ordinaria o fallimentare, indirizzata nel confronti del soggetto dichiarato fallito, con riferimento alle modalità di rientro del bene nel patrimonio del debitore.
Tale distinzione impone l’enucleazione della tipologia di beni che possono essere oggetto di revocatoria.
In relazione alla revocatoria ordinaria nei confronti del debitore non fallito, l’organo giudicante afferma quanto segue.
Per quanto riguarda la dazione di somme di denaro e di altri beni fungibili, l’esito della revocatoria non può che essere la condanna alla restituzione della somma di denaro indebitamente fuoriuscita.
In caso di cessioni di crediti, se il cessionario ha riscosso il credito del debitore ceduto, l’azione revocatoria, oltre all’effetto primario di declaratoria di inefficacia relativa dell’intervenuta cessione, condurrà, ove accolta, anche ad una statuizione di condanna alla restituzione della somma di denaro.
Si tratta di ipotesi di capi di condanna resi necessari, in caso di domanda attorea corrispondente, dall’utilità inerente all’azione intentata in base alla tipologia di bene che deve rientrare nel patrimonio del debitore.
Con riferimento ai beni, mobili o immobili ovvero ad una universitas rerum, il discorso è diverso.
Se a seguito di revocatoria, il bene fuoriuscito dal patrimonio del debitore, vi rientra, con effetti relativi, e se ciò implica che il creditore possa compiere sullo stesso atti esecutivi, l’utilità perseguita dal creditore è appunto quella di valersi “in executivis” sui beni alienati.
Questo agire “in executivis” è il riflesso della ricostruzione, ad opera della revocatoria, della garanzia patrimoniale generica; sicché è evidente che il creditore agirà a mezzo del processo esecutivo per espropriazione per tramutare in liquidità i beni del debitore.
Quando, invece, l’azione revocatoria, sia essa ordinaria o fallimentare, venga esperita dal curatore del fallimento, a fallimento già dichiarato, il discorso va impostato, secondo l’ordinanza in argomento, in termini differenti.
Le azioni revocatorie, in questo caso, non servono ad altro che a consentire la liquidazione dei beni del fallito, di quelli già presenti nel patrimonio del debitore e di quelli indebitamente fuoriusciti.
In specie, mentre valgono per tale tipo di azione gli stessi rilievi sopra svolti, con riguardo alle ipotesi di dazione di somme di denaro, a vario titolo intervenute, nel caso di revocatoria di beni mobili o immobili, pendente la procedura concorsuale, essa consente, in caso di accoglimento, la liquidazione di detti beni, non come effetto eventuale e successivo, ma come effetto naturale e necessario del rientro di detti beni nella disponibilità della massa.
La sentenza dichiarativa di inefficacia degli atti dispositivi dei beni dispiega, cioè, un effetto di apprensione al patrimonio del fallito degli stessi, che è immanente al presupposto generale delle azioni revocatorie intraprese dalla curatela.
In altri termini, laddove nella revocatoria esperita nei confronti del curatore non fallito, il pignoramento segue l’azione revocatoria, nella procedura concorsuale, il fallimento produce gli effetti di un pignoramento generale dei beni del fallito, consentendone, senza ulteriori atti prodromici, la vendita, sia che si tratti di beni già presenti nel patrimonio del fallito, sia che si tratti di beni pervenuti successivamente, anche a mezzo del vittorioso esperimento di azioni giudiziali.
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