Luci ed ombre sulla prescrizione del delitto di strage.
Con la sentenza in epigrafe la Suprema Corte ha chiarito che il reato di strage ex art.422 c.p., astrattamente punito con la pena dell’ergastolo, è imprescrittibile anche nel vigore della disciplina previgente dell’art. 157 c.p.
La sentenza in commento costituisce l’epilogo della vicenda relativa alla cd. strage del bar Sayonara, avvenuta a Napoli nel 1989 in cui erano rimaste uccise 6 persone.
La Corte d’Assise in primo grado aveva pronunciato una sentenza di condanna per tutti i soggetti implicati nella vicenda, taluno con la pena dell’ergastolo, talaltro con pena detentiva temporanea.
La sentenza fu poi parzialmente modificata dalla Corte d’Assise d’appello che dichiarava di non doversi procedere per intervenuta prescrizione del reato per tutti gli imputati cui era stata riconosciuta l’attenuante della collaborazione con la giustizia ex art. 8 D.L. 152/1991, aderendo all’orientamento giurisprudenziale che valutava operante la prescrizione anche dei reati puniti in astratto con l’ergastolo nella disciplina previgente, qualora la concessione di circostanze attenuanti avesse comportato una riduzione della pena detentiva. Tale pronuncia veniva impugnata dal Procuratore Generale di Napoli che proponeva ricorso per Cassazione.
Come anticipato, la Suprema Corte – nell’accogliere il ricorso proposto dal Procuratore Generale – affermava nuovamente che i reati puniti con la pena dell’ergastolo sono imprescrittibili anche nel vigore della previgente disciplina dell’art.157 c.p., id est. nella formulazione precedente alla modifica intervenuta con la legge 251/2005.
Così statuendo, la Cassazione si è allineata a quanto già precisato in ordine al reato di omicidio aggravato punibile astrattamente con la pena dell’ergastolo, commesso prima della modifica dell’art.157 c.p.
Va preliminarmente chiarito che l’art.157 c.p. nella sua formulazione previgente nulla disponeva in ordine ai reati punibili con la pena dell’ergastolo, a differenza di quanto previsto dall’attuale ultimo comma del citato articolo, contenente una precisazione alquanto rilevante in merito a detti reati. A seguito della modifica avutasi con la novella del 2005, l’attuale art.157 ultimo comma c.p. chiarisce che la prescrizione non estingue i reati per i quali la legge prevede la pena dell’ergastolo, anche come effetto dell’applicazione di circostanze aggravanti.
Senza soffermarsi sulle questioni di costituzionalità che hanno riguardato la legge 251/2005, è opportuno rilevare che essa abbia destato non poche perplessità in ordine ai profili di diritto intertemporale in virtù del principio di irretroattività sfavorevole sancito dall’art.2 c.p. Pertanto dottrina e giurisprudenza italiana hanno dovuto soffermarsi ad analizzare la natura intrinseca dell’istituto della prescrizione dei reati che da sempre è stata considerata un istituto “border line” tra diritto sostanziale e diritto processuale.
La diversa configurazione dell’istituto consente di approdare a conclusioni opposte per quel che attiene ai profili di diritto intertemporale e quindi relativi alla successione di norme penali nel tempo.
A differenza della giurisprudenza italiana, per la giurisprudenza della CEDU l’istituto della prescrizione ha natura processuale con la conseguente applicazione del principio tempus regit actum e conferendo al Legislatore nazionale la possibilità di allargare i termini di prescrizione anche per i fatti già commessi e per i quali i termini di prescrizione hanno iniziato il loro decorso.
La questione della prescrizione del delitto di strage sfiora trasversalmente quanto appena detto e la Cassazione, più volte chiamata a pronunciarsi sul punto, ha dapprima qualificato l’ultimo comma dell’art.157 c.p. come una norma ricognitiva del quadro normativo e giurisprudenziale previgente e, dunque, non come una norma innovativa. Ciò in virtù del fatto che dottrina e giurisprudenza si erano arrestate sull’assoluta imprescrittibilità dei reati astrattamente puniti con la pena dell’ergastolo, anche se in concreto si riduceva ad una pena detentiva temporanea.
Ma è con la sentenza n.15107/2016 (ndr di seguito riportata) che la Suprema Corte ha riaffermato quanto detto nelle precedenti pronunce in ordine all’imprescrittibilità del reato di strage, ma con una motivazione del tutto peculiare. Secondo quanto si legge dalla sentenza in commento, l’imprescrittibilità dei delitti punibili in astratto con la pena dell’ergastolo prescinde dall’applicazione di una qualsivoglia circostanza attenuante. Eppure, invece di soffermarsi sulla natura processuale della prescrizione – così come affermato dalla granitica giurisprudenza della Corte edu – o di rimettere in discussione i profili di diritto intertemporale sollevati dall’art.157 c.p., la Cassazione ha richiamato l’art.7 comma 2 CEDU nella parte in cui sancisce che il principio di irretroattività della legge incriminatrice non si applica ai delitti contro l’umanità che “offendono in ogni tempo e in ogni luogo gli interessi dell’Unione”.
Pertanto “il delitto di strage, in quanto violazione basilare delle regole di convivenza degli stati europei, non può divenire improcedibile per effetto dell’applicazione della CEDU altrimenti comporterebbe una violazione dei diritti fondamentali che la stessa convenzione intende garantire”.
Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 11-02-2016) 12-04-2016, n. 15107
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PRESTIPINO Antonio – Presidente –
Dott. CAMMINO Matilde – Consigliere –
Dott. DAVIGO Piercamillo – Consigliere –
Dott. PARDO Ignazi – rel. Consigliere –
Dott. AIELLI Lucia – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI NAPOLI;
nei confronti di:
E.G. n. IL (OMISSIS) + ALTRI OMESSI ;
inoltre:
A.V. n. IL (OMISSIS) + ALTRI OMESSI ;
avverso la sentenza n. 63/2013 CORTE ASSISE APPELLO di NAPOLI, del 23 gennaio 2015;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 11 febbraio 2016 la relazione fatta dal Consigliere Dott. PARDO Ignazio;
Udito il PROCURATORE GENERALE Dott. MAZZOTTA Gabriele che ha così concluso:
CON RIFERIMENTO AL RICORSO DEL P.G. CONCLUDE PER L’ANNULLAMENTO CON RINVIO QUANTO ALLE POSIZIONI DI S.G. (CL.(OMISSIS)), + ALTRI OMESSI CON RIFERIMENTO AL DELITTO DI STRAGE AGGRAVATO;
IN IPOTESI RINVIO IN ATTESA DI CONOSCERE LA MOTIVAZIONE DELLE SEZIONI UNITE DELLA CORTE DI CASSAZIONE;
INAMMISSIBILITA’ DI TUTTI GLI ALTRI RICORSI;
Uditi i difensori: avvocato VISCONTI ANTONIO del foro di NAPOLI in difesa delle parti civili G.N., + ALTRI OMESSI CONCLUDE COME DA CONCLUSIONI SCRITTE CHE DEPOSITA CON NOTA SPESE;
L’avvocato CIRUZZI DOMENICO del foro di NAPOLI in difesa delle parti civili D.N.A. e D.N.M. associandosi alle conclusioni del P.G. deposita conclusioni scritte con nota spese a cui si riporta;
L’avvocato SANTE FORESTA del foro di Roma, in qualità di sostituto processuale dell’avv. DI RUSSO CIVITA del foro di ROMA in difesa di: S.P. e S.V. eccepisce le problematiche esposte dal P.G. circa la prescrizione e chiede il rigetto del ricorso del P.G.;
L’avvocato PALLESCHI GIANPIERO del foro di CASSINO in difesa di:
E.G., e in qualità di sostituto processuale dell’avv. SEBASTIANELLI PATRIZIA del foro di CASSINO in difesa di: S. L. e S.G., si associa alle conclusioni dell’avv. SANTE FORESTA E CHIEDE IL RIGETTO DEL RICORSO DEL P.G. E IN SUBORDINE CHIEDE UN RINVIO IN ATTESA DELLA DECISIONE DELLE SEZIONI UNITE;
L’avvocato ARICO’ GIOVANNI del foro di ROMA in difesa di: Sc. R. CHIEDE L’ANNULLAMENTO DELLA SENTENZA IMPUGNATA;
L’avvocato VALENTINO MAURO del foro di NAPOLI in difesa di: S. A. SI RIPORTA AI MOTIVI;
L’avvocato RAGOZZINI ERCOLE del foro di NAPOLI in difesa di:
Ap.GI. si associa alle conclusioni del P.G. per quanto riguarda il rinvio in attesa della motivazione delle SEZIONI UNITE riportandosi ai motivi del ricorso;
L’avv. D.M. del foro di Napoli difensore di fiducia di S.C. (cl. (OMISSIS)) si riporta ai motivi del ricorso chiedendone l’accoglimento;
L’avvocato GIRARDI MARIO del foro di NAPOLI in difesa di: A. V. SI RIPORTA AI MOTIVI CHIEDENDO L’ANNULLAMENTO CON O SENZA RINVIO DELLA SENTENZA IMPUGNATA;
L’avvocato MARANO GENNARO del foro di NAPOLI in difesa di: Ca.
- e S.A. si riporta ai motivi del ricorso chiedendone l’accoglimento.
L’avvocato ANASTASIO FRANCESCO del foro di NAPOLI in difesa di:
E.P. si riporta ai motivi del ricorso.
L’avvocato SENESE SAVERIO del foro di NAPOLI in difesa di: S. C. e E.P. si riporta ai motivi del ricorso chiedendo il rinvio alle Sezioni Unite e l’annullamento della sentenza impugnata per la posizione di E.P. deposita verbali della Corte Appello di Napoli;
L’avvocato DAVINO CLAUDIO del foro di NAPOLI in difesa di: Ap. C. e Ap.GE. si riporta ai motivi del ricorso chiedendone l’accoglimento;
L’avvocato BASILE MICHELE del foro di NAPOLI in difesa di: Ap. C. si riporta ai motivi del ricorso chiedendone l’accoglimento;
L’avvocato GALLO ANTONIO del foro di NAPOLI in difesa di: Ap. G. si riporta ai motivi del ricorso chiedendone l’accoglimento;
L’avvocato ABET ANTONIO del foro di NAPOLI in difesa di: P. L. e Ap.GE. chiede l’annullamento della sentenza impugnata per la posizione di Ap.GE. E P.L..
Svolgimento del processo
1.1 Con sentenza in data 27 febbraio 2013 la Corte di Assise di Napoli condannava: A.V., + ALTRI OMESSI alla pena dell’ergastolo;
previa concessione dell’attenuante di cui al D.L. n. 152 del 1991, art. 8, S.C. (cl. (OMISSIS)) e S.G. (cl. (OMISSIS)) ad anni 18 di reclusione ciascuno, E.G., S.G. (cl.
(OMISSIS)), S.L., S.P. e S.V. alla pena di anni 16 di reclusione ciascuno.
1.2 Con la stessa pronuncia la Corte di Assise disponeva le pene accessorie nei confronti dei suddetti imputati e li condannava tutti, in solido tra loro, al risarcimento dei danni nei confronti delle parti civili costituite ed al pagamento di una provvisionale liquidata in Euro 100.000 per ciascuna delle stesse.
1.3 Riteneva la Corte di primo grado che tutti i suddetti imputati dovevano ritenersi responsabili del delitto di cui all’art. 422 c.p. in relazione alla c.d. strage del bar (OMISSIS), avvenuta a (OMISSIS), all’esito della quale erano rimaste uccise sei diverse persone e ferite altre due.
1.4 Con sentenza in data 23 gennaio 2015 la Corte di Assise di appello di Napoli, in parziale riforma della sentenza di primo grado, dichiarava non doversi procedere per intervenuta prescrizione del contestato delitto di cui all’art. 422 c.p. nei confronti di tutti gli imputati ai quali era stata riconosciuta l’attenuante della collaborazione con la giustizia D.L. n. 152 del 91, ex art. 8, ad eccezione di S.C. cl. (OMISSIS) nei cui confronti riduceva la pena ad anni 14 di reclusione, avendo questi rinunciato all’effetto estintivo ex art. 157 c.p. e confermava tutte le condanne alla pena dell’ergastolo.
1.5 I giudici di primo e secondo grado davano atto che la strage di (OMISSIS) era avvenuta ad opera dei componenti del clan S. e specificavano come nel corso della stessa erano rimasti uccisi, tra gli altri soggetti, B.A. e M.V., noti componenti del clan avverso ai S., capeggiato da A. A. detto (OMISSIS), esponente della camorra napoletana raggruppata sotto l’egida della nuova famiglia e, sino ad allora, boss del quartiere (OMISSIS) che i S. intendevano scalzare dal vertice grazie alla collaborazione ed all’alleanza instaurata con altra famiglia malavitosa, quella degli Ap., operante a sua volta nel territorio di (OMISSIS) altro quartiere popolare napoletano.
Premesso che a distanza di diversi anni dai fatti era intervenuta la collaborazione con la giustizia di numerosi appartenenti ai suddetti gruppi criminali, la sentenze di merito ripercorrevano pertanto le vicende della costituzione del clan camorristico dei S. e l’individuazione dei suoi componenti, la prima fase dell’accordo con l’ A. per la spartizione delle attività illecite e dei profitti, i successivi accaduti che portavano alla crisi della suddetta alleanza ed al nuovo accordo stretto con i vertici della famiglia Ap., che S.C. classe (OMISSIS), detto il (OMISSIS) per il ruolo di vertice ricoperto, aveva contattato all’interno del carcere di (OMISSIS). Forti dell’accordo stretto e che prevedeva un vicendevole aiuto anche militare, i due gruppi criminali avevano iniziato a progettare l’azione di aggressione del gruppo A., da realizzare attraverso l’eliminazione dei suoi componenti, che veniva perfezionata a seguito della scarcerazione di S.C., il (OMISSIS), avvenuta il 15 ottobre del 1989. Difatti, veniva raggiunto un accordo di collaborazione reciproca per cui i componenti dei due clan avrebbero operato quali killers nei differenti rioni così da evitare di essere riconosciuti al momento delle azioni; in questo contesto, si erano tenute diverse riunioni con gli Ap. e gli altri componenti del gruppo criminale operante nel quartiere (OMISSIS), tutte dirette dal predetto S.C., alle quali partecipavano Ap.Gi., G., C., il cognato A.V. e gli altri accoliti dei due clan, sino a quando le due famiglie raggiungevano la comune deliberazione di procedere all’eliminazione dell’ A., del B. e degli altri componenti il clan avverso.
Le sentenze di primo e secondo grado procedevano poi alla descrizione della fase organizzativa del delitto, preceduta dal sequestro, interrogatorio ed eliminazione di tale O.G., nel corso della quale tutti gli imputati avevano partecipato alle riunioni, decidendo di portare a termine l’attacco nella gelateria di pertinenza del padre del B. ove si riunivano proprio gli affiliati del clan A.; tutti i collaboratori convenivano quindi sulla collegialità della decisione assunta sotto la direzione di C.S. e descrivevano poi cosa ebbe a verificarsi l’ (OMISSIS) quando i c.d. barresi vennero convocati nel quartiere (OMISSIS) dallo stesso S.C. alla presenza di tutti i componenti del gruppo criminale omonimo (oltre i S. anche gli E., P., Ca., Sc.). Giunti i componenti del clan Ap., tra cui proprio Ap.Gi., G., C., A.V. ed altri, furono divisi i compiti e deciso chi avrebbe fatto del commando dei killers e chi invece, anche per non essere riconosciuto dai passanti, avrebbe agito per recuperare gli autori dell’azione delittuosa dopo l’esecuzione della stessa. La pronuncia di primo grado sottolineava poi come la fase più nevralgica delle operazioni fu rimessa ad un branco di criminali allucinati, mandati a colpire un obiettivo sconosciuto alla maggior parte di loro e che attaccarono uno dei bar maggiormente frequentati, anche per l’orario pomeridiano, del quartiere di (OMISSIS) con la conseguenza che vennero uccisi anche numerosi soggetti del tutto estranei ed innocenti. Descritta anche la fase del recupero dei killers, ove aveva operato S.V. personalmente, le pronunce di primo e secondo grado procedevano ad elencare i criteri generali seguiti per la valutazione delle chiamate di correità distinguendo l’attendibilità intrinseca di ciascuno dei collaboratori e l’individuazione dei riscontri esterni. Evidenziavano al proposto la centralità e rilevanza della collaborazione di S. C. il (OMISSIS), e procedevano poi ad elencare i dati salienti riguardanti l’attendibilità di S.G. cl. (OMISSIS) detto (OMISSIS), S.G. del (OMISSIS) detto (OMISSIS), S. P., S.L., S.V., E.G., E.C., C.R., N.M., M. G., quest’ultimo collaboratore proveniente dalle file della famiglia Ap.. La pronuncia della Corte di assise di primo grado, procedeva poi ad elencare le dichiarazioni degli imputati alcuni dei quali avevano riconosciuto di avere fatto parte delle rispettive famiglie criminali; in particolare ammettevano la partecipazione all’associazione denominata gruppo S., S.A., P. L., Sc.Ro. (limitandola a partire dal 1990), E. P..
Esposte ancora le dichiarazioni degli altri imputati non collaboranti che escludevano qualsiasi responsabilità, la Corte di Assise di Napoli procedeva a dettare i criteri per distinguere la connivenza non punibile dal concorso nel reato (117 e segg.), la qualificazione giuridica del fatto ai sensi dell’art. 422 c.p. (121 e segg.) ed infine il trattamento sanzionatorio (125 e segg.).
1.6 La Corte di Assise di appello, con la pronuncia del 23 gennaio 2015, dopo avere riassunto lo svolgimento dei fatti ed esposto i motivi di gravame proposti da ciascun imputato, rigettava l’eccezione di nullità del procedimento di primo grado per violazione degli artt. 190 e 190 bis c.p.p. in relazione alla dichiarazione di utilizzabilità degli atti compiuti dal precedente collegio differentemente composto, disposta dalla Corte di assise di primo grado all’udienza del 30 maggio 2012, ritenendo che nessuna delle parti si fosse opposta alla rinnovazione degli atti precedentemente assunti ed avesse espressamente richiesto la riassunzione delle prove già acquisite.
1.7 Il giudice di assise di appello, dichiarava ancora l’estinzione del reato di cui all’art. 422 c.p. per intervenuta prescrizione nei riguardi di S.G. classe (OMISSIS), E.G., S. G. classe (OMISSIS), S.L., S.P. e S. V. ritenendo aderire all’orientamento giurisprudenziale che valuta operante la prescrizione anche dei reati in astratto puniti con l’ergastolo nella disciplina previgente, ove la concessione di circostanze attenuanti comporti una riduzione della pena detentiva tale da fare applicare il termine massimo ex art. 157 c.p.p. della vecchia disciplina di anni 22 e mesi 6. Tale statuizione non riguardava anche la posizione di S.C. classe (OMISSIS) perchè detto imputato all’udienza del 23 gennaio 2015 rinunciava alla prescrizione.
1.8 Quanto alle ulteriori questioni sollevate dagli appelli, si confermava il giudizio di attendibilità intrinseca dei collaboratori escussi nel corso dell’istruzione di primo grado, si riteneva che i riscontri esterni dovessero innanzi tutto ricavarsi dalla convergenza delle narrazioni fatte dai diversi propalanti e si procedeva poi con l’esposizione delle modalità dell’accaduto secondo le dichiarazioni rese proprio dai componenti del clan camorristico S..
Sottolineato poi come S.C. classe (OMISSIS) avesse, con una missiva inviata alla stessa Corte di Assise di appello, ammesso la propria responsabilità penale in ordine al contestato delitto, lo stesso giudice respingeva gli appelli proposti da tutti gli altri imputati condannati alla pena dell’ergastolo, ritenendo che tutti avessero comunque partecipato o alla fase preparatoria, o a quella di esecuzione del delitto ovvero a quella del recupero dei killers e, quindi, dovessero comunque rispondere del reato a titolo di concorso di persone. Negata anche la presenza di rilevanti contrasti tra le dichiarazioni dei collaboratori si riassumevano le singole chiamate di correità per ciascuna posizione.
2.1 Avverso detta sentenza di appello proponeva ricorso per cassazione il Procuratore Generale di Napoli nei confronti degli imputati S.G. classe (OMISSIS), E.G., S. G. classe (OMISSIS), S.L., S.P. e S. V. in relazione alla declaratoria di prescrizione pronunziata nei loro riguardi. Sosteneva il Procuratore Generale che anche nel vigore della vecchia disciplina dell’art. 157 c.p. dovesse ritenersi operante il principio della imprescrittibilità dei reati puniti con la pena dell’ergastolo, per cui l’impugnata pronuncia andava riformata ovvero la questione doveva essere rimessa alle Sezioni Unite in presenza di differenti orientamenti interpretativi.
2.2 Anche gli imputati tramite i rispettivi difensori proponevano ricorso per cassazione; S.C. classe (OMISSIS) deduceva: violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. c) ed e) per avere il giudice di appello respinto l’eccezione di nullità della sentenza di primo grado sollevata in relazione alla rinnovazione istruttoria in assenza di consenso delle parti e così in dispregio dell’art. 525 c.p.p.;
violazione dell’art. 606, lett. b) ed e) per avere i giudici di appello negato al S.C. le circostanze attenuanti generiche ovvero l’applicazione di pena detentiva temporanea, erroneamente svalutando elementi favorevoli al ricorrente; violazione dell’art. 606. lett. b) ed e) per omessa motivazione in relazione alla dedotta esimente dello stato di necessità; errata qualificazione giuridica dei fatti ai sensi del delitto di strage e non piuttosto sotto il profilo dell’omicidio plurimo aggravato in concorso ed omessa motivazione sulle richieste subordinate pure avanzate dalla difesa in relazione agli artt. 62 bis, 110, 116 e 133 c.p..
2.3 S.A. deduceva la nullità della sentenza di appello gravata da ricorso per cassazione per violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. c) ed e) in relazione all’errata applicazione delle norme penali in tema di concorso morale nel reato e per difetto di motivazione su tale aspetto. Riportava al proposito parte delle dichiarazioni rese dal principale collaboratore, S.C., che aveva riferito della contrarietà alla scelta stragista del ricorrente, soggetto contrario ad azioni violente ed omicidiarie, sicchè lo stesso, avendo anche manifestato la propria opposizione al progetto delittuoso, doveva ritenersi estraneo alla decisione poi adottata dai vertici del gruppo criminale. Quanto alla partecipazione alla fase esecutiva, la sua presenza sul luogo del fatto, peraltro ammessa dallo stesso ricorrente, doveva ritenersi equivoca ed indifferente rispetto al proposito criminale.
2.4 Ca.Ga. proponeva ricorso tramite il proprio difensore di fiducia deducendo, con il primo motivo, inosservanza ed erronea applicazione delle legge penale in relazione all’art. 606 c.p.p., lett. b) sotto il profilo dell’errata valutazione delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia non valutate secondo i parametri di cui all’art. 192 c.p.p.. In particolare evidenziava che dalle dichiarazioni di S.C. e S.G. (OMISSIS), non era emerso con chiarezza il ruolo avuto dal ricorrente mentre l’unica accusa precisa, proveniente da S.V., che lo inquadrava nel gruppo incaricato dell’occultamento delle armi, aveva origine da un soggetto animato da forte astio nei riguardi dello stesso Ca.. Infatti, S.V., aveva ammesso di avere voluto persino uccidere il ricorrente sicchè tale situazione poteva attentare la veridicità del narrato. Inoltre, sottolineava come dalle dichiarazioni di S.P. e G., erano emerse circostanze smentite da dati di fatto poichè il primo aveva riferito che il ricorrente era stato presente tutto il pomeriggio nella fase preparatoria quando il Ca. risultava essersi recato alle 18.11 presso la caserma dei C.C. di Vigliena per adempiere l’obbligo di firma cui allora era sottoposto, mentre il secondo aveva indicato il ricorrente tra gli stipendiati dal clan sebbene fosse stato appena rilasciato dal carcere. Affiliazione che doveva essere esclusa per l’assenza dei vertici della famiglia allora anch’essi detenuti mentre nessuno degli accusatori aveva chiarito le mansioni cui era adibito il Ca.. Deduceva, pertanto, la violazione dell’art. 192 c.p.p., comma 3. Con il secondo motivo deduceva la violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. b) per avere errato i giudici di appello nel ritenere il concorso in strage e non la più lieve ipotesi di favoreggiamento di cui all’art. 378 c.p. posto che la condotta del Ca. si era esaurita nella fase successiva la consumazione della strage non avendo mai partecipato alle riunioni o deliberazioni e non avendo avuto quindi la sua presenza alcun contributo causale rispetto all’evento. Con il terzo motivo lamentava la, violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. c) in relazione alla violazione del principio del contraddittorio determinata dalla mancata rinnovazione dell’istruzione dibattimentale pur essendo mutato il collegio giudicante ed, infine, lamentava la contraddittorietà ed illogicità della motivazione con riguardo alla mancata concessione delle attenuanti generiche.
2.5 Ap.Gi. deduceva tre distinti motivi; con il primo lamentava nullità della sentenza di primo grado in relazione alla violazione degli artt. 190 e 190 bis c.p.p. per l’assenza di consenso delle parti alla rinnovazione istruttoria degli atti istruttori già compiuti, disposta dai giudici della corte di assise con le ordinanze 3 aprile e 30 maggio 2012. Con il secondo motivo lamentava violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. b) e c) e motivazione carente o contraddittoria con riguardo alla mancata applicazione dei criteri per la valutazione delle chiamate di correità che era consistita in una trascrizione delle dichiarazioni priva di qualsiasi valutazione delle contraddizioni ed omissioni emerse dall’esame dei collaboratori. Aggiungeva al proposito che le dichiarazioni provenienti dai chiamanti in correità non possono da sole costituire prova piena della responsabilità dell’imputato in assenza di adeguati riscontri esterni individualizzanti che devono essere indipendenti dalla chiamata ed, ove consistano in altri contributi dichiarativi, devono assumere carattere del tutto autonomo.
Aggiungeva come la credibilità intrinseca non potesse farsi discendere dalla sola scelta collaborativa e che le chiamate de relato bisognavano di una duplice valutazione di credibilità sia del collaborante che del soggetto che costituiva la fonte della notizia.
Tali parametri valutativi delle chiamate di correità erano stati solo esposti e non applicati dai giudici di merito posto che le dichiarazioni dei collaboratori evidenziavano notevoli contraddizioni quanto a genesi della scelta stragista, numero e partecipanti alle riunioni, individuazione dei killers, indicazione degli altri soggetti incaricati di altri compiti, tipo delle armi e delle auto utilizzate per l’agguato. Inoltre, non era stato valutato il forte sentimento di astio che tutti i componenti della famiglia camorristica S. nutrivano nei riguardi degli Ap., elementi questi, idonei a far ritenere assente anche l’attendibilità intrinseca. Con altro motivo lamentava violazione di legge quanto all’assenza di prova della responsabilità oltre ogni ragionevole dubbio ed infine chiedeva che la qualificazione giuridica dei fatti fosse ricondotta all’ipotesi dell’omicidio plurimo in luogo della riconosciuta ipotesi di strage.
2.6 n. primo difensore di Ap.Ci. deduceva con distinti motivi, violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. e) e b); in particolare, sottolineava come con i motivi di appello fosse stata sottolineata la contraddizione esistente circa la partecipazione del ricorrente alla fase deliberativa tra i contenuti dichiarativi dei vari collaboratori, poichè S.V. non lo aveva indicato tra i soggetti presenti alle riunioni organizzative al contrario di quando indicato da S.P.. Tra l’altro anche S.L. non aveva riferito della presenza del ricorrente alle riunioni od alla fase esecutiva sicchè la motivazione della pronuncia di appello doveva ritenersi contraddittoria e resa in violazione dei principi dettati dall’art. 192 c.p.p., comma 3. Al proposito sottolineava che secondo le dichiarazioni di S.V., l’ Ap. era assente proprio alla riunione nella quale si assunse la decisione di passare alla fase dell’eliminazione dei componenti del clan A. ma tale indicazione era stata svalutata dal giudice di secondo grado mentre, quanto alla affermazione di S.L., la mancata indicazione era stata illogicamente attribuita dalla Corte di appello ad autonomia della collaborazione e delle dichiarazioni mentre tali dati dovevano portare all’esclusione di ogni responsabilità. Nè alcun elemento poteva trarsi dalle dichiarazioni di S.G. classe (OMISSIS), il quale aveva inserito Ap.Ci. tra i soggetti che non dovevano partecipare all’azione e pertanto si era allontanato; peraltro si trattava di fonte indiretta smentita da quella originaria. Ancora lamentava l’illegittimità del percorso motivazionale con riguardo alla partecipazione dell’imputato alla fase esecutiva con il ruolo di recupero dei killers trattandosi di ricostruzione basata soltanto su dichiarazioni tutte de relato non confermate posto che, l’unica fonte diretta con riguardi a tale fase, e cioè S.V., smentiva gli altri dichiaranti così che la prova era stata ricostruita in termini di mera plausibilità e non di certezza.
Anche il secondo difensore di Ap.Ci. proponeva ricorso per cassazione e deduceva:
violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. b) ed e) in relazione alla disciplina dettata dall’art. 192 c.p.p., comma 3 e motivazione illogica e contraddittoria; al proposito sottolineava di avere esposto nei motivi di appello l’avvenuta affermazione di responsabilità sulla base di dichiarazioni provenienti da un solo gruppo di parenti affiliati alla medesima famiglia tutti divenuti collaboratori nel medesimo contesto temporale. Inoltre, si doveva dubitare dell’attendibilità intrinseca di M.G. autore di dichiarazioni de relato la cui fonte non era stata svelata; viceversa si erano ignorate le prove dirette che scagionava l’imputato individuabile nelle dichiarazioni di S.V. che escludeva la partecipazione di Ap.Ci. alla fase del recupero e di S. L. che a sua volta non includeva il ricorrente tra i partecipi alla riunione deliberativa. Peraltro, il giudice di appello, nulla esponeva circa la prevalenza delle fonti indirette pur smentite dal soggetto di riferimento e cioè S.V. che escludeva ogni ruolo esecutivo sicchè l’affermazione di responsabilità era stata basata soltanto su dichiarazioni de relato smentite.
– non essersi dato rilievo alle causali d’astio che animavano il collaboratore M. e non essersi fatta applicazione dei criteri imposti in tema di dichiarazioni c.d. circolari perchè provenienti da un unico gruppo di familiari.
– avere rilievo la partecipazione di Ap.Ci. alla fase delle riunioni preliminari esclusivamente sotto il profilo associativo in relazione all’alleanza stretta tra i due gruppi operanti nei diversi quartieri ma non anche con riguardo alla successiva strage che doveva ritenersi frutto della unica deliberazione adottata da S.C..
Sottolineava ancora che, per quanto riguardava le accuse di partecipazione alla fase esecutiva provenienti da M., questi era stato allontanato dalla famiglia, aveva solo 14 anni al tempo di consumazione dei fatti e non faceva quindi parte del clan sicchè nei confronti dell’imputato ricorrente non poteva ritenersi ricorrere l’ipotesi della convergenza del molteplice.
Con altro motivo lamentava la violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. b) ed e, con riguardo alla mancata valutazione nella determinazione della pena del minimo contributo al fatto offerto dal ricorrente, della realizzazione di un fatto diverso da quello in effetti voluto dallo stesso, della non ricorrenza delle aggravanti del numero delle persone e, comunque, della mancata individualizzazione della pena in concreto inflitta.
2.7 Il difensore di Ap.Ge. proponeva ricorso per cassazione deducendo violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. c) ed e) per avere il giudice di appello respinto l’eccezione di nullità della sentenza di primo grado sollevata in relazione all’assenza di consenso delle parti alla rinnovazione istruttoria disposta con le ordinanze della Corte di primo grado del 3 aprile e 30 maggio 2012 ed illegittimità della ordinanza della Corte di Assise di Appello del 30 giugno 2014.
Al proposito sottolineava come lo stesso Procuratore Generale in appello avesse richiesto procedersi alla rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale e riferiva come la dichiarazione di utilizzabilità degli atti istruttori già compiuti fosse stata disposta dal giudice di primo grado senza dare parola alle parti e ciò in violazione dell’art. 111 Cost. e art. 6 CEDU. Con ulteriore motivo deduceva violazione dell’art. 606, lett. c) ed e) per mancata assunzione di prova decisiva in relazione a quanto richiesto con la memoria depositata all’udienza del 31 ottobre 2014 avente ad oggetto la richiesta di ispezione dei luoghi per dimostrare la non veridicità del racconto dei collaboratori circa la strada imboccata per la fuga e per converso la fondatezza dell’alibi fornito attraverso la dichiarazione del teste B.V..
Lamentava poi violazione dell’art. 606, lett. b) ed e) con riguardo:
all’ascrivibilità al ricorrente del delitto di strage benchè non vi avesse materialmente partecipato nè fosse prevedibile, alla mancata individuazione di riunioni deliberative cui aveva partecipato l’imputato fornendo un proprio concreto contributo, alla mancata qualificazione della condotta nei termini della desistenza volontaria, alla evidenza della prova della sua assenza dal luogo del recupero.
Con ulteriore motivo deduceva la violazione dell’art. 606, lett. b) ed e) per contraddittorietà ed illogicità della motivazione in ordine alla individuazione dei riscontri esterni individualizzanti, alle chiamate di correità ed al mancato rilievo delle contraddizioni delle dichiarazioni dei collaboranti. Al proposito, evidenziava come fosse dato pacifico che Ap.Ge. il giorno dell’agguato aveva deciso di sottrarsi al ruolo di autista e di non prendere parte all’azione di fuoco, come dichiarato da tutti i collaboratori concordemente, le cui affermazioni poi differivano in relazione al ruolo svolto dall’imputato nella fase del recupero sicchè la Corte di Assise di Appello aveva fatto malgoverno delle regole di valutazione delle chiamate di correità. Ripercorse le dichiarazioni specifiche sul ruolo di Ap.Ge. rese da S.G. (OMISSIS), S.V., S.C., S.G. del (OMISSIS), S.L., S.P., sottolineava l’assenza di convergenza pur attestata dal giudice di merito. Sottolineava ancora le inesattezze e contraddizioni del racconto di M.G. che aveva attribuito all’imputato il ruolo assai diverso di copertura da eventuali interventi delle forze dell’ordine.
Con il quinto motivo lamentava violazione dell’art. 606, lett. b) ed e) per omessa valutazione delle dichiarazioni dei testi della difesa;
a tal proposito evidenziava il contenuto dell’alibi fornito dalla deposizione del teste T., semplicisticamente liquidato dalla Corte di merito con riferimento alla possibile compatibilità degli orari pur in assenza di una tempistica ricostruita con precisione che escludeva tale possibilità. Ed ancora, con ulteriori motivi, deduceva omessa motivazione in ordine alle richieste di riconoscimento delle circostanze di cui agli artt. 114 e 116 c.p., posto che la scelta di portare a termine la strage doveva essere attribuita all’esclusiva volontà di S.C. e rappresentava un’evoluzione imprevedibile degli avvenimenti; quanto al ruolo svolto, evidenziava la chiara secondarietà dell’apporto da ritenersi di minima importanza. Infine, lamentava l’erronea applicazione della circostanza aggravante di cui all’art. 61 c.p., n. 1 posto che la futilità dei motivi era stata valutata sulla base di un comportamento medio senza riferimento al particolare momento e contesto sociale di verificazione del fatto.
Con motivi aggiunti ritualmente depositati nel termine di giorni 15 dall’udienza di trattazione, la difesa di Ap.Ge. deduceva violazione di legge ex art. 606 c.p.p., lett. e) per mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, violazione di legge ex art. 606 c.p.p., lett. b) ed e) per travisamento della prova. Sotto il primo profilo sottolineava che le contraddizioni delle dichiarazioni dei collaboratori, rimarcate nei motivi di appello, erano state superate dalla sentenza impugnata ricorrendo a mere formule di stile; sottolineava al proposito come il coinvolgimento dell’imputato nella fase del recupero dei killers fosse smentito da chi come S.V. si era occupato in prima persona di tale attività. Ancora confusa doveva ritenersi la valutazione della Corte di assise di appello in merito alla partecipazione dell’imputato alla fase deliberativa posto che dalle parole di S.C., capo del clan, riportate nei motivi aggiunti non poteva ricavarsi con certezza alcuna concertazione del piano criminale di soppressione degli avversari appartenenti al clan A. e, soprattutto, da nessun elemento risultava il concorso specifico nella deliberazione del ricorrente Ap.Ge..
Sottolineava poi il difensore come fosse emerso che il ricorrente, al momento della preparazione dell’attentato, si era rifiutato di fare parte del commando criminale e così palesemente aveva desistito dal progetto delittuoso ed anche dalla deliberazione dello stesso. Tale rifiuto doveva pertanto fare escludere il riferimento contenuto nelle sentenze di merito a strategie criminali condivise, ed in ogni caso, il suo eventuale concorso alla fase deliberativa veniva svuotato e privato di contenuto dal contegno in seguito assunto. Considerazioni queste sulla base delle quali doveva anche dubitarsi della credibilità di S.C..
2.8 P.L. proponeva ricorso tramite il difensore di fiducia lamentando, con il primo motivo, la nullità dell’ordinanza dichiarativa della contumacia dell’imputato emessa all’udienza 25 ottobre 2011 pur in presenza di legittimo impedimento dell’imputato.
Difatti il rifiuto dell’imputato di accettare il trasporto aereo, mezzo con il quale era stata disposta la traduzione, aveva fondamento nelle sue condizioni di salute che dovevano essere tutelate sicchè alcuna rinunzia poteva ritenersi essere stata manifestata.
Con ulteriori motivi deduceva violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. c) ed e) per nullità della sentenza di primo grado in relazione all’assenza di consenso delle parti alla rinnovazione istruttoria disposta con le ordinanze della Corte di primo grado del 3 aprile e 30 maggio 2012 ed illegittimità della ordinanza della Corte di Assise di Appello del 30 giugno 2014; sottolineava a tal proposito come il Procuratore Generale in appello avesse richiesto procedersi alla rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale. Lamentava poi violazione dell’art. 606, lett. b) ed e) con riguardo alla mancata individuazione del momento di adesione del P. all’azione delittuosa idoneo a configurare il concorso morale ed al proposito richiamava le dichiarazioni del collaboratore C. dalle quali emergeva come la decisione dell’azione criminosa doveva imputarsi alla sola volontà di S.C. sicchè il P. non aveva svolto alcuna condotta di rafforzamento dell’altrui proposito delittuoso nè partecipato alla fase esecutiva posto che il ricorrente si occupava esclusivamente dello spaccio di stupefacente.
Ripercorse le dichiarazioni dei collaboratori che ricostruivano sia la fase dell’alleanza con gli Ap. che quella esecutiva, sottolineava come non fosse desumibile dalle stesse alcuna indicazione di un qualche contributo di P.L.. Nè poteva ritenersi di rilievo la presenza del P. all’arrivo dei c.d.
barresi trattandosi di condotta meramente passiva.
Con il quarto motivo la difesa P. deduceva la violazione dell’art. 606, lett. b) ed e) per mancanza ed apparenza della motivazione in ordine alla individuazione dei riscontri esterni individualizzanti alle chiamate di correità ed al mancato rilievo delle contraddizioni delle dichiarazioni dei collaboranti sul punto del ruolo svolto dal ricorrente. Al proposito evidenziava come le dichiarazioni dei collaboratori fossero sostanzialmente contraddittorie in ordine al ruolo del P. sicchè si rilevava la mera apparenza della collegialità delle decisioni in effetti riconducibili solo a S.C. detto il (OMISSIS).
Con il quinto motivo lamentava violazione dell’art. 606, lett. b) ed e) per erronea valutazione dell’art. 116 c.p. ed omessa motivazione sul punto, posto che dalle dichiarazioni dei collaboratori emergeva come la scelta del gruppo era quella di procedere all’uccisione dei soli componenti del clan avverso di A. e non quella poi portata a termine sicchè doveva ritenersi sussistere nel caso in esame l’ipotesi del concorso anomalo. Infine, con il sesto ed ultimo motivo, lamentava l’erronea applicazione della circostanza aggravante di cui all’art. 61 c.p., n. 1 posto che la futilità dei motivi era stata valutata sulla base di un comportamento riferibile all’uomo medio senza riferimento al particolare momento e contesto sociale di verificazione del fatto ed alle ragioni soggettive dell’agire.
2.9 E.P. proponeva ricorso per cassazione attraverso il proprio difensore deducendo otto distinti motivi. Il primo motivo riguardava la violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. c) ed e) per avere il giudice di appello respinto l’eccezione di nullità della sentenza di primo grado emessa in assenza di consenso delle parti alla rinnovazione istruttoria. Con il secondo motivo si lamentava violazione dell’art. 606, lett. c) ed e) per avere la Corte di appello fatto ricorso ad una motivazione generica e cumulativa omettendo di dare risposta alle dettagliate argomentazioni difensive circa la contraddittorietà, divergenza ed inconciliabilità delle chiamate valorizzate, costituite da quella principale di S.C. del (OMISSIS) che si assumeva confortata da quelle di S.P., S.G. del (OMISSIS), S.G. del (OMISSIS) ed E. G.. Al proposito sottolineava come secondo lo stesso racconto dei collaboranti il ricorrente non aveva partecipato alla fase ideativa e deliberativa (peraltro priva di un momento specifico), nè a quella organizzativa essendo sopraggiunto per caso al (OMISSIS) il giorno dei fatti dopo l’arrivo dei killers dal quartiere (OMISSIS) quanto risultava anche avere tentato di dissuadere S. C. dall’intento sottolineando le condizioni psichiche dei predetti killers in preda ai postumi da assunzione di stupefacenti.
Il terzo motivo atteneva la violazione dell’art. 606, lett. c) ed e) con riguardo al giudizio di attendibilità dei dichiaranti, da ritenersi privo di adeguata motivazione, ed effettuato omettendo altresì di dare conto delle specifiche dichiarazioni del collaboratore E.G. aventi valore scardinante l’impianto accusatorio. In particolare riferiva che la Corte di assise di appello, aveva omesso di dare conto delle dichiarazioni E.G. in termini corretti posto che questi aveva ricostruito i fatti stigmatizzando la sostanziale fittizietà della condivisione delle scelte criminali.
Con il quarto motivo lamentava l’avvenuto riconoscimento dell’ipotesi del concorso in strage pur in presenza di condotte riconducibili alla mera connivenza non punibile, come desumibile dalla ricostruzione dei fatti che aveva fatto emergere la sollecitazione rivolta dal ricorrente al capo S.C. di desistere dall’azione a cagione delle condizioni dei killers; con il quinto deduceva l’errata qualificazione dei fatti come delitto di strage in luogo di omicidio plurimo. Ed ancora deduceva in ordine gradato: omessa motivazione sulle richieste subordinate (6 motivo) ed omessa valutazione della memoria depositata in data 27 febbraio 2013 (7 motivo). Infine sollevava questione di legittimità costituzionale degli artt. 210 e 503 c.p.p. (oltre che degli artt. 18, 194, 195, 499 c.p.p.) in relazione agli artt. 3, 24 e 111 Cost. nella parte in cui si consente ai dichiaranti contra alios di partecipare al medesimo dibattimento insieme agli imputati destinatari delle dichiarazioni accusatorie compromettendo la genuinità nella formazione della prova.
2.10 Anche Sc.Ro. proponeva ricorso per cassazione tramite i propri difensori. Deduceva violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. c) in relazione all’art. 525 c.p.p. per avere la Corte di Assise dichiarato l’utilizzabilità degli atti istruttori compiuti dal diverso collegio senza che le parti avessero prestato il loro consenso ed avessero interloquito sul punto. Al proposito evidenziava trattarsi di nullità assoluta ed insanabile rilevabile in ogni stato e grado del procedimento e peraltro sollevata già in grado di appello. Ancora esponeva sussistere violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. c) ed e) in relazione alla valutazione di attendibilità delle dichiarazioni dei collaboratori ed alla individuazione di riscontri esterni ed individualizzanti e travisamento della prova con riguardo alla ritenuta convergenza del molteplice. In particolare, sottolineava come l’attendibilità intrinseca fosse stata valutata positivamente sebbene elementi di criticità specifica fossero stati sollevati dalla difesa con particolare riguardo alle dichiarazioni di S.V., soggetto risultato in forte conflitto con lo Sc. che aveva anche progettato di eliminare. Anche S. P. provava forte risentimento nei riguardi dello Sc. mentre appariva sospetta la ricostruzione cronologica dei tempi della scelta di collaborare dei fratelli S.. Sottolineava comunque come nelle prime dichiarazioni non si fosse fatto riferimento da parte del capo del clan, S.C. detto il (OMISSIS), al ricorrente che veniva indicato solo nel quarto interrogatorio sicchè era mancato il dovuto approfondimento sul punto da parte della corte di merito. Con il terzo motivo deduceva illogicità e contraddittorietà della motivazione con riferimento alla totale assenza di motivazione sul punto dell’attendibilità intrinseca dei dichiaranti, tutti legati da vincoli parentali e, comunque, rispetto all’individuazione dei c.d. riscontri esterni avendo la difesa sottolineato una serie di divergenze e contrasti che escludevano la presenza di un quadro omogeneo. Ripercorse le dichiarazioni dei collaboratori evidenziava come S.V. fosse contraddetto da S.G. (OMISSIS) e S.C. circa il ruolo dello Sc. e l’avvenuta ricezione delle armi dopo il compimento della strage. Ancora al proposito evidenziava le incertezze di S. V. circa il luogo di occultamento delle armi che avrebbero potuto essere fugate solo da adeguata ispezione dei luoghi. Il quadro probatorio valutato dal primo giudice era errato nella parte in cui riteneva le dichiarazioni di S.V. riscontrate da quelle degli altri S., G. e P.. Il quarto motivo di ricorso lamentava insufficienza e contraddittorietà della sentenza in relazione alla ritenuta compatibilità della presenza di Sc. e Ca. sul luogo del delitto a fronte della riscontrata firma apposta quel pomeriggio sul registro dei C.C. di Vigliena. Ancora doveva ritenersi l’avere la sentenza impugnata omesso la valutazione delle prove della difesa, posto che l’affermazione di responsabilità era stata pronunciata senza tenere conto di quanto riferito in particolare dal collaboratore M.I. che aveva riferito del periodo di codetenzione dei S. indice di inquinamento della genuinità delle dichiarazioni. Infine, lamentava violazione dell’art. 606 lett. b) ed e) sotto il profilo anche dell’omessa motivazione in punto di mancata concessione delle attenuanti generiche.
2.11 A.V. proponeva ricorso tramite il proprio difensore deducendo violazione di legge ex art. 606 c.p.p., lett. c), d) ed e) in relazione alla disciplina dettata dall’art. 192 c.p.p., difetto di motivazione con riguardo all’omessa valutazione delle prove favorevoli, manifesta illogicità della motivazione in riferimento agli esiti dell’istruttoria dibattimentale di primo grado. Lamentava che la Corte di Assise di appello aveva attribuito valenza decisiva alle dichiarazioni dei chiamanti in correità, disattendendo altri esiti dell’istruttoria e che le accuse dei collaboratori erano rimaste prive di riscontri autonomi. Quanto all’attendibilità intrinseca, sottolineava l’interesse personale degli esponenti del clan S. alla definizione del giudizio in senso conforme alle loro accuse, al fine di evitare il coinvolgimento in altri procedimenti mentre doveva essere adeguatamente valutato anche il forte conflitto che li aveva visti contrapposti ai componenti della famiglia Ap. a seguito dell’eliminazione di Am.Vi. nel (OMISSIS), in un attentato la cui paternità veniva attribuita a questi ultimi. Non poteva pertanto escludersi che le accuse verso tutti i componenti della famiglia Ap. trovassero origine nella volontà dei S. di eliminare in tal modo i nemici.
Le dichiarazioni provenienti dai S., di cui lamentava la sovrapponibilità, non potevano poi trovare adeguato conforto, ad avviso del ricorrente, nelle accuse provenienti dal M. posto che questi era entrato a far parte del clan Ap. dal 1992 ed aveva appreso della strage solo dal successivo 1996; in ogni caso le dichiarazioni del M. circa il legame di parentela di A. con gli Ap. ed il luogo di residenza del medesimo erano contraddette dalla produzione documentale. Ancora l’accusa resa da M. nei confronti del ricorrente era anche tardiva posto che nel primo verbale del 2009, in cui il ricordo era certamente più nitido, non aveva indicato l’ A. tra i responsabili della strage;
inoltre detto collaboratore aveva riferito di un incontro con S. L. ed altri personaggi che doveva ritenersi non verosimile posto che si sarebbe svolto in un periodo in cui tra i due clan vi era già una situazione di conflitto. Le accuse dovevano pertanto ritenersi perfettamente sovrapponibili e prive di adeguati riscontri individualizzanti senza che poi fosse stata individuata la specifica condotta posta in essere da A. che consentiva di specificarne il ruolo in occasione del delitto.
2.12 Con memoria depositata in cancelleria la difesa di S. V. e S.P., imputati gravati da ricorso del P.G. di Napoli avverso la sentenza di assise di appello che ha dichiarato la prescrizione del delitto di strage ai medesimi contestato, chiedeva confermarsi la sentenza impugnata; il difensore contestava il recente orientamento assunto dalle Sezioni Unite di questa Corte in tema di prescrittibilità dei reato puniti con pena dell’ergastolo nel vigore della vecchia disciplina dell’art. 157 c.p., richiamando l’orientamento contrario a tale tesi, sostenendo poi che, in ogni caso, l’applicazione retroattiva del suddetto orientamento delle Sezioni Unite comporterebbe una violazione dell’art. 7 CEDU in relazione ad un mutamento giurisprudenziale in peius. Trattandosi di mutamento giurisprudenziale sfavorevole in tema sostanziale, anche imprevedibile, lo stesso dovrebbe ritenersi analogo alla riforma legislativa in peius sicchè non potrebbe essere applicato, pena la violazione dell’art. 7 CEDU. In subordine eccepiva l’illegittimità costituzionale dell’art. 157 c.p. vecchia formulazione nell’interpretazione fornita dalle Sezioni Unite per violazione degli artt. 25 e 117 Cost. e 7 CEDU. All’udienza dell’11 febbraio 2016 le parti concludevano come in epigrafe.
Motivi della decisione
3.1 L’appello proposto dal Procuratore Generale di Napoli avverso le statuizioni con le quali la Corte di assise di appello di Napoli ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di S.G. classe (OMISSIS), E.G., S.G. classe (OMISSIS), S.L., S.P. e S.V. è fondato e deve, pertanto, essere accolto. E difatti ritiene questa Corte dovere aderire al recente orientamento stabilito dalle Sezioni Unite e secondo cui i reati puniti con la pena astratta dell’ergastolo sono imprescrittibili anche nel vigore della previgente disciplina dell’art. 157 c.p. (Sez. Un. 24/9/2015, Ric. Trubia) e ciò indipendentemente dalla concessione di circostanze attenuanti.
Tale orientamento ha sposato la soluzione, già in precedenza accolta, secondo cui il delitto di omicidio aggravato, punibile in astratto con la pena dell’ergastolo, commesso prima della modifica dell’art. 157 c.p. da parte della L. n. 251 del 2005 è imprescrittibile, anche se le circostanze aggravanti siano state ritenute equivalenti o subvalenti, in sede di giudizio di comparazione, alle circostanze attenuanti (Sez. 1, n. 11047 del 7/2/2013 Rv. 254408). Nè possono ritenersi fondate le doglianze esposte dalla difesa degli imputati S.V. e S. P. con la memoria depositata; in primo luogo, infatti, il mutamento di orientamento giurisprudenziale non può ritenersi analogo ad una modifica normativa in peius posto che sussisteva un evidente contrasto interpretativo ed altre pronunce della Suprema Corte avevano già aderito alla soluzione della imprescrittibilità di tali reati anche nel vigore della preesistente disciplina normativa sicchè va ritenuto che il contrasto giurisprudenziale esistente è comunque risalente nel tempo e non paragonabile all’ipotesi indicata dalla difesa di modifica normativa in peius.
Peraltro, l’analogia proposta, appare del tutto inconducente posto che la questione trattata non attiene all’incriminazione di una condotta non punibile al momento della sua esecuzione e divenuta penalmente illecita in seguito, con la conseguente necessaria applicazione del regime dell’art. 25 Cost. e art. 7 CEDU, comma 1, quanto alla ben differente questione delle modifiche in tema di termine di prescrizione del reato e cioè di norme che attengono all’interesse alla punizione di un fatto anche dopo il decorso del tempo. E poichè nel caso in esame si procede per il delitto di strage, e cioè per una fattispecie che lo stesso art. 7 convenzione europea, comma 2 dichiara comunque imputabile e procedibile indipendentemente dalla incriminazione tipica, poichè crimine che offende in ogni tempo e luogo gli interessi dell’unione, deve ritenersi non sussistere in ogni caso la violazione dell’invocato principio. Appare infatti evidente che la dizione contenuta nel dell’art. 7 Cedu, comma 2, vada riferita ad ogni crimine che per la sua particolare gravità ed efferatezza costituisca violazione delle regole di comune convivenza esistenti all’interno dell’unione europea e poichè il delitto di strage, per cui si procede nel presente procedimento, ha proprio tale caratteristica di costituire lesione di interessi transnazionali, allo stesso mai potrebbe applicarsi la regola del tempus regit actum al fine di assicurarne la non punibilità sotto l’effetto indiretto della prescrizione. Il delitto di strage in quanto violazione basilare delle regole di convivenza degli stati europei non può divenire non procedibile per effetto dell’applicazione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo altrimenti comportando una violazione dei diritti fondamentali che la stessa convenzione intende garantire. Va pertanto affermato che la portata applicativa dell’art. 7 CEDU, comma 2, secondo cui il principio di irretroattività della legge incriminatrice non si applica a crimini contro l’umanità che offendono interessi transnazionali, impone ritenere non applicabile al delitto di strage la regola della applicazione della norma più favorevole sulla prescrizione in caso di successione di norme nel tempo.
Va ancora rammentato che tale interpretazione si profila altresì in linea con quanto affermato dalla stessa Corte europea in taluni specifici casi; difatti con Provvedimento del 12 febbraio 2013, la Seconda Sezione della Corte Europea, decidendo sul ricorso proposto da: P.C. contro ITALIA, pur rilevando, in diritto, che l’Art. 7 della Convenzione sottopone le disposizioni che definiscono reati e pene a regole particolari in materia di retroattività che includono il principio di retroattività della legge più favorevole, rileva rifacendosi alla pronuncia della Grande camera nel caso Scoppola c. Italia (n. 2), che la Corte aveva già ritenuto ragionevole l’applicazione, da parte delle giurisdizioni interne, del principio tempus regit actum con riguardo alle norme di procedura, tra le quali venivano incluse quelle sulla prescrizione. Difatti nella sentenza Còeme e altri c. Belgio del 22 giugno 2000, aveva appunto qualificato le regole in materia di prescrizione penale come norme di procedura ed ammesso la legittimità con la citata norma convenzionale di una legge belga che prolungava con efficacia retroattiva i termini di prescrizione dei reati. Le regole sulla prescrizione, infatti, rileva la Corte, non definiscono i reati e le pene, e possono essere interpretate come recanti una semplice condizione preliminare per l’esame del caso. Di conseguenza, considerato che la modifica legislativa denunciata dal ricorrente concerne una legge di procedura, salvo verifica della sua arbitrarietà, per la Convenzione nulla vieta al legislatore italiano di regolare la sua applicazione ai processi in corso al momento della sua entrata in vigore. Ne consegue che avuto riguardo alla attuale disciplina dettata in tema di reati puniti con la pena astratta dell’ergastolo dall’art. 157 c.p. la regola della imprescrittibilità va applicata anche ai fatti commessi anteriormente la modifica intervenuta con la L. 5 dicembre 2005, n. 251.
Inoltre, avuto proprio riguardo al contenuto dell’art. 7 convenzione europea, comma 2 che considera crimine transnazionale i delitti come quello di strage oggetto di accertamento nel presente giudizio, la declaratoria di prescrizione si profilerebbe altresì in contrasto con quell’orientamento recentemente espresso dalla Cedu nel caso Taricco e secondo cui il giudice nazionale è addirittura chiamato a disapplicare le disposizioni normative in tema di prescrizione che possano comportate interpretazione pregiudizievoli per gli interessi dell’unione.
Conseguentemente l’impugnata sentenza deve essere annullata con rinvio in ordine alle posizioni di S.G. classe (OMISSIS), E.G., S.G. classe (OMISSIS), S.L., S.P. e S.V.. Il giudice di rinvio si atterrà al principio di diritto secondo cui il reato di strage punito con pena astratta dell’ergastolo è imprescrittibile anche nel vigore della disciplina previgente dell’art. 157 c.p..
3.2 Procedendo con l’esame dei ricorsi proposti nell’interesse degli imputati va, innanzi tutto, analizzata la doglianza dagli stessi proposta nei distinti atti di impugnazione e con i quali si è lamentata la nullità della sentenza di primo grado per violazione della disciplina dettata dall’art. 525 c.p.p., per essere stata la deliberazione di primo grado assunta da giudici diversi da quelli che avevano assunto le prove e per essere stata erroneamente fatta applicazione della disciplina dettata dall’art. 190 bis c.p.p..
L’eccezione, avanzata dai difensori di Sc., E., P., Ap.Ge., Ap.Gi., C., S.C. classe (OMISSIS), è infondata e deve pertanto essere respinta; difatti ritiene la Corte dovere aderire al principio secondo cui non sussiste la nullità della sentenza qualora le prove siano valutate da un collegio in composizione diversa da quello davanti al quale le stesse sono state acquisite e le parti presenti non si siano opposte alla lettura degli atti del fascicolo dibattimentale precedentemente assunti nè abbiano esplicitamente richiesto la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, in quanto, in tal caso, si deve intendere che esse abbiano prestato consenso, sia pure implicitamente, alla lettura degli atti suddetti (Sez. 6, n. 53118 del 8 ottobre 2014 Rv. 262295). Principio ancor più recentemente riaffermato con altra pronuncia secondo cui non sussiste la nullità della sentenza qualora le prove siano valutate da un collegio in composizione diversa da quello davanti al quale le stesse siano state acquisite e le parti presenti non si siano opposte, nè abbiano esplicitamente richiesto di procedere alla rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, in quanto, in tal caso, si deve intendere che esse abbiano prestato consenso, sia pure implicitamente, alla lettura degli atti suddetti (Sez. 5 n. 44537 del 10 marzo 2015 Rv. 264683). Nel caso in esame dalla ricostruzione effettuata dai ricorrenti, dall’analisi dei verbali di primo grado, oltre che in maniera particolareggiata dalla impugnata pronuncia di appello la quale ricostruisce tale fase processuale alle pagine 30- 32, risulta che nel corso del giudizio di primo grado si procedeva alla rinnovazione degli atti compiuti su consenso delle parti alle udienze del 3 aprile 2012 e del successivo 30 maggio. In particolare, in entrambe le udienze, la Corte di assise di primo grado dava atto del mutamento del giudice a latere, disponeva la rinnovazione della sequenza procedimentale a partire dalla fase di costituzione e dava atto che le parti si riportavano alle richieste ed alle questioni già sollevate precedentemente; ne deriva che dalla analisi dei verbali di udienza e dalla stessa ricostruzione contenuta nei ricorsi che ripropongono la questione della nullità ex art. 525 c.p.p. emerge come le parti, e quindi in primo luogo i difensori, siano state poste nella condizione di chiedere espressamente la rinnovazione delle prove già assunte, e nella specie costituite dalla audizione del S.C. del (OMISSIS), sentito all’udienza del 3 aprile, senza che però mai nessuna di esse abbia mai formulato alcuna specifica richiesta ed anzi rimanendo verbalizzato il consenso prestato all’utilizzabilità e risultando assente qualsiasi espresso dissenso. Ne deriva che come già rilevato nella indicata pronuncia n. 53118/14, un fondamentale dovere di lealtà che deve sempre presiedere alle relazioni tra le parti nel processo e nel loro rapporto con il giudice, avrebbe imposto alle stesse di richiedere espressamente la rinnovazione dell’audizione dell’unico collaboratore escusso nel corso dell’attività istruttoria già svolta e comunque delle attività che si volevano ripetere in assenza di consenso, e non di tacere in quel momento per eccepire poi una nullità mai in effetti verificatasi.
Gli orientamenti richiamati nei ricorsi a fondamento della eccezione di nullità non si attagliano per nulla al caso in esame in cui espressamente il giudice rinnovava gli atti interloquendo con le parti, e dava atto a verbale che le stesse non esprimevano alcun dissenso e, pertanto, consentivano alla utilizzazione delle prove già assunte e cristallizzate nei verbali di udienza; difatti la pronuncia 6432/15 si riferisce ad ipotesi in cui il giudice che delibava la sentenza di primo grado era persona differente da quello che aveva assunto le prove ed in mancanza di qualsiasi consenso la Corte di appello aveva del tutto omesso di motivare sullo specifico motivo di gravame sollevato dalla difesa dell’imputato. La pronuncia 12234/2014 ha anch’essa altro sfondo e presupposti processuali, essendo stata emessa in un caso di mutamento del collegio ad istruttoria dibattimentale già chiusa ed in mancanza di un formale provvedimento di rinnovazione assunto previa acquisizione del parere delle parti.
L’eccezione di nullità posta a fondamento dei rispettivi motivi di ricorso deve pertanto essere disattesa.
3.3 Prima di procedere all’analisi degli ulteriori motivi va premesso come il vizio di travisamento della prova può essere dedotto con il ricorso per cassazione, nel caso di cosiddetta doppia conforme, e cioè di condanna in primo e secondo grado, sia nell’ipotesi in cui il giudice di appello, per rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice, sia quando entrambi i giudici del merito siano incorsi nel medesimo travisamento delle risultanze probatorie acquisite in forma di tale macroscopica o manifesta evidenza da imporre, in termini inequivocabili, il riscontro della non corrispondenza delle motivazioni di entrambe le sentenze di merito rispetto al compendio probatorio acquisito nel contraddittorio delle parti (Sez. 4, n. 44765 del 22 ottobre 2013, Rv 256837). Inoltre, va pure sottolineato che ai fini del controllo di legittimità sul vizio di motivazione, la struttura giustificativa della sentenza di appello di conferma si salda con quella di primo grado, per formare un unico complessivo corpo argomentativo, allorquando i giudici del gravame, esaminando le censure proposte dall’appellante con criteri omogenei a quelli del primo giudice ed operando frequenti riferimenti ai passaggi logico giuridici della prima sentenza, concordino nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento della decisione (Sez. 3, n. 44418 del 16 luglio 2013, Rv. 257595). Nella valutazione dei motivi di ricorso questa Corte pertanto si atterrà ai suddetti principi, ritenendo che le sentenze delle Corti di assise di Napoli di primo e secondo grado costituiscano un unicum argomentativo al quale fare riferimento.
3.4 Ciò posto va poi rilevato come con motivi comuni tutti i difensori ricorrenti hanno contestato l’attendibilità generica, la credibilità intrinseca dei collaboratori siano essi chiamanti in correità, ovvero in reità perchè estranei alla condotta di consumazione della strage, sicchè vanno svolte alcune considerazioni che attengono proprio alla verifica generale della loro credibilità.
Al proposito deve innanzi tutto essere evidenziato come i giudici di primo e secondo grado non abbiano omesso il tema della attendibilità intrinseca dei collaboratori escussi nel presente procedimento, procedendo anzi ad un’analisi specifica delle ragioni della scelta di ciascuno di essi di iniziare e proseguire la collaborazione con la giustizia, dei tempi in cui dette scelte venivano effettuate da ciascuno, dei rispettivi rapporti parentali, dei periodi di detenzione trascorsi, dei reati per i quali ciascuno di essi risultava già avere riportato condanna e degli altri delitti che venivano ammessi in conseguenza della scelta collaborativa; le corti di assise non hanno pertanto omesso il tema dell’attendibilità intrinseca come pure lamentato dai ricorsi ma hanno proceduto, con i mezzi a loro disposizione, a scandagliare la personalità di ciascun dichiarante giungendo ad un giudizio positivo in assenza di qualsiasi elemento che potesse attestare il contrario. Il giudizio dei giudici di merito deve al proposito essere certamente condiviso e va subito premesso che le doglianze sono tutte fondate su ipotetici interessi o volontà vendicative dei componenti il c.d. clan S. che non trovano alcun concreto elemento di riscontro. E difatti va in primo luogo osservato che pur essendo i collaboratori principali tutti riconducibili alla famiglia ed al clan S. non sono emersi nei due gradi di giudizio condotte di alterazione, accordo, preventiva concordanza del contenuto delle dichiarazioni accusatorie che ne possano in qualche modo fare ritenere la non veridicità perchè frutto di previo accordo o della più volte lamentata volontà vendicativa. Ne deriva che la contestazione dell’attendibilità intrinseca a fronte di racconti precisi, reiterati, conformi deve pur effettuarsi sulla base di dati di fatto critici, nel caso in esame non individuabili; al proposito quindi, si osserva in primo luogo che l’esistenza di rapporti di alleanza poi sfociati in aperti conflitti tra rispettive bande criminali, non può comportare un giudizio aprioristico di inattendibilità altrimenti facendosi derivare la credibilità di un racconto da vicende che afferiscono la vita criminale del collaboratore che con la scelta effettuata quel soggetto vuole proprio abbandonare e recidere. Inoltre si osserva che affermare la sussistenza di conflitti tra i componenti del gruppo Ap. ed il clan S. negli anni ’90, che avrebbe potuto determinare false accuse, significa invece ammettere proprio la sussistenza di famiglie criminali contrapposte, tema poi contraddittoriamente contestato. Non è pertanto di rilievo decisivo che gli Ap. ed i S. abbiano avuto scontri e contrasti, peraltro in un contesto temporale assai lontano rispetto agli inizi delle collaborazioni, ovvero che taluno dei chiamanti in correità (come ad esempio S.V.) avesse rivelato ad altri ( C.) l’intenzione di uccidere taluno degli odierni ricorrenti ( Ca. e Sc.), poichè detti temi provano solo che tutti i soggetti, collaboratori ed imputati, appartenevano ad un unico contesto criminale, autore di efferati progetti delittuosi, e non anche che le successive dichiarazioni siano poi animate da spirito vendicativo e per ciò solo non attendibili. La anteatta vita criminale di ciascun collaboratore, i rapporti avuti con gli imputati chiamati in correità od in reità, non sono per ciò solo motivo di inattendibilità dovendo il giudizio di credibilità intrinseca essere effettuato sulla base dei consueti parametri della precisione, specificità, costanza, spontaneità della dichiarazione e rimanendo estranee valutazioni riguardanti i passati criminali e le alleanze o i conflitti in precedenza esistenti.
Nel caso in esame, non soltanto non sono emersi elementi specifici per affermare che vi sia stata circolarità della prova e predisposizione di un progetto comune di collaborazione strumentale da parte degli appartenenti al clan S., ma tutte le dichiarazioni provenienti da collaboratori appartenenti ad altri clan, o comunque non facenti parte dello stretto gruppo familiare dei S. ( M.- N.- C.), confermano la ricostruzione dei fatti ed il movente dell’azione e costituiscono, pertanto, riscontro generico idoneo ad attestare l’attendibilità intrinseca come ripetutamente affermato dai giudici di merito.
Ma le pronunce di merito evidenziano la sussistenza di ulteriori riscontri della credibilità intrinseca dei dichiaranti; e così valgono certamente a confermare la credibilità generale del racconto sia l’ammissione da parte di più imputati della loro partecipazione all’associazione camorristica ( E.P., S.A., Sc.Ro., P.L.) sia l’ammissione da parte di S.C. del (OMISSIS) della sua partecipazione alla contestata strage avvenuta in maniera del tutto indipendente da una scelta collaborativa. Le ammissioni da parte degli imputati della loro partecipazione al clan camorristico dei S. confermano che, nello stesso contesto temporale indicato dai chiamanti in correità, alcuni degli imputati oggi ricorrenti, facevano proprio parte di quel gruppo criminale indicato come autore della strage anche da collaboratori e dichiaranti non intranei a quel clan come i già indicati N.- M.- C.. Ancor maggior rilievo assume poi la confessione operata da S.C. del (OMISSIS); l’avere questi ammesso la partecipazione alla strage del bar (OMISSIS), durante la fase del giudizio di appello e prima di ogni considerazione circa la maturata prescrizione per taluno degli imputati, costituisce formidabile riscontro generico della credibilità dei racconti perchè conferma ancora una volta che i S. e gli altri collaboranti, ben lungi dall’essere animati da sentimenti di astio e vendetta nel riferire i fatti, hanno avuto il coraggio di indicare tra gli autori della terribile strage anche componenti del proprio nucleo familiare ( S.C. del (OMISSIS) e S.A., E.P.) ed hanno sostanzialmente riferito il vero.
In particolare, a proposito dell’attendibilità generica, la sentenza di assise di primo grado evidenzia, a completa conferma della credibilità intrinseca delle dichiarazioni dei collaboratori, una serie di dati davvero precisi e specifici, ricavabili aliunde; e così, l’imputato E.P. ha ammesso di avere fatto parte del clan S. dalla sua costituzione e specificato quale fu il ruolo svolto all’interno di quel consesso criminale ed ha anche ammesso di essersi recato il pomeriggio della strage, insieme a S.G. del (OMISSIS) e cioè uno dei rei confessi, nella piazzetta antistante la scuola, e cioè in quel luogo ove per pacifica ammissione di tutti venne organizzata la fase esecutiva, dove lo stesso E. si era intrattenuto fino all’arrivo delle forze dell’ordine. S.A. ha ammesso ancora di avere fatto parte della stessa famiglia criminale ed ha altresì riconosciuto che il pomeriggio della strage si era recato proprio nei pressi del bar (confermando indirettamente il ruolo attribuitogli dai chiamanti in correità) così che la Corte giustamente motiva ritenendo che ove fosse stato davvero contrario al delitto non si sarebbe recato sul posto. Il Generale T. sentito nell’istruttoria di primo grado, ha confermato di avere individuato quali possibili responsabili i componenti del clan, confermato che il movente individuato all’epoca, coincideva con quello poi riferito dai collaboratori a distanza di diversi anni, ed ha aggiunto di avere poi sentito N.M. dal quale riceveva conferme generiche sulla causale. P.L. ha ammesso, così riscontrando le accuse, di avere fatto parte del clan S. dal 1986, data antecedente la strage deliberata dallo stesso gruppo; Sc.Ro. ha riferito uguale ammissioni pur datando il suo inserimento dal 1990 ed ha ammesso però di essere stato scarcerato da agosto 1989; Ca.
- ha ammesso che il pomeriggio della strage dopo avere osservato l’obbligo di firma si era recato nella piazzetta antistante la scuola, e cioè nel luogo di riunione del clan. Ancor più significativa appare la circostanza riferita da Ap.Ge. e riportata nella pronuncia di primo grado a pagina 115; questi infatti riferiva essere impossibile che suo fratello G. all’epoca agli arresti domiciliari si abbassasse a recarsi a (OMISSIS) dai fratelli S. che non erano niente, così ammettendo il coinvolgimento del proprio nucleo familiare e di egli stesso in evidenti dinamiche criminali di alleanze e contrapposizioni.
Vi sono quindi plurimi elementi di conferma delle dichiarazioni accusatorie dei collaboratori, già valorizzati e giustamente valutati dai giudici di merito, che rendono infondati i motivi di ricorso relativi alla attendibilità intrinseca.
3.5 Le difese hanno poi contestato con i motivi di ricorso la ritenuta credibilità estrinseca dei collaboranti lamentando che il procedimento seguito dalla Corte di Assise prima, e dalla Corte di Assise di appello poi, avrebbe violato il disposto dell’art. 192 c.p.p., comma 3 per l’assenza dei necessari riscontri esterni; la doglianza richiama il tema delle regole di individuazione dei riscontri esterni individualizzanti ex art. 192 cit. in altre dichiarazioni provenienti da differenti collaboratori. Deve al proposito essere ricordato come la valutazione della chiamata di correità quale idoneo elemento di prova presupponga un doppio giudizio di attendibilità; dapprima intrinseca, avente carattere preliminare, poichè la dichiarazione deve appunto apparire veritiera sotto i già indicati profili dì spontaneità, coerenza, precisione, specificità e, successivamente, estrinseca poichè ad essa deve aggiungersi altro elemento di prova idoneo a corroborarne il contenuto ex art. 192 c.p.p., comma 3. Può pertanto affermarsi che è riscontro esterno di carattere individualizzante quell’elemento che deve aggiungersi ad una chiamata di reità o correità già valutata intrinsecamente attendibile per potere raggiungere il rango di prova idonea a dimostrare la colpevolezza dell’imputato in ordine ad un determinato fatto di reato. L’elemento di riscontro, però, non deve da solo fornire prova della responsabilità dell’imputato per quel determinato fatto di reato, quanto provare con certezza un collegamento tra imputato e contestazione che ne dimostri il coinvolgimento e che così escluda la possibilità di affermare la responsabilità sulla base di accuse false e non altrimenti dimostrabili.
E’ vero infatti che oggetto del riscontro deve essere il rapporto tra imputato e fatto poichè la prova deve sempre essere individuata nella dichiarazione di accusa, nella chiamata di correità o reità che seppur inidonea ex a se a dimostrare la responsabilità, bisogna di una validazione autonoma che non sia di per sè prova anch’essa.
Il riscontro, quindi, pur esterno o individualizzante che si voglia nominare, non è prova autonoma e tale non deve essere, bensì elemento che attribuisce valore definitivo ad una prova c.d. debole costituita dalla sola chiamata di correità che tanto più è diretta e precisa tanto minori rischi di errore certamente comporta.
L’orientamento della giurisprudenza di questa Corte ha poi reiteratamente riconosciuto la possibilità che a fronte di una o più chiamate di correità o reità, il riscontro sia individuato in altra fonte della stessa natura ed il profilo viene esattamente richiamato dal giudice di appello a pagina 46 della sentenza di secondo grado; si è difatti affermato che in tema di valore probatorio della chiamata di correità, l’art. 192 c.p.p., comma 3 attribuisce alla chiamata del correo valore di prova e non di mero indizio, ma subordina il giudizio di attendibilità della stessa alla presenza di riscontri esterni. Tali riscontri, che debbono aggiungersi alla verifica di attendibilità della chiamata del correo, possono essere di qualsiasi tipo o natura. Il riscontro perciò può consistere in un’altra chiamata di correo poichè ogni chiamata è fornita di autonoma efficacia probatoria e capacità di sinergia nel reciproco incrocio con le altre. Da ciò deriva che una affermazione di responsabilità ben può essere fondata sulla valutazione unitaria di una pluralità di dichiarazioni di coimputati, tutte coincidenti in ordine alla commissione del fatto da parte del soggetto (Sez. 6, n. 2775 del 12/1/1995, Rv. 200994). E proprio l’applicazione dei suddetti principi risulta operata dai giudici del merito nel caso di specie, che con valutazione del tutto conforme, hanno concluso per la responsabilità di quegli imputati che sono risultati accusati da più collaboratori di giustizia, in maniera indipendente, e previa verifica dell’attendibilità intrinseca di ciascuno.
La stessa giurisprudenza di legittimità ha quindi ribadito, con asserzione di rilievo anche per il presente giudizio, che i riscontri esterni della chiamata in correità possono essere ricavati anche da una pluralità di chiamate convergenti; il requisito della convergenza tuttavia non va inteso come piena sovrapponibilità delle diverse chiamate (che sarebbe, oltretutto, sospetta), ma come concordanza dei nuclei essenziali delle dichiarazioni, in relazione al thema decidendum (Sez. 5, n. 9001 del 15/6/2000, Rv. 217729) e ciò comporta che minime incongruenze o difformità anche più consistenti non assumono rilievo decisivo soprattutto se spiegabili come nel caso in esame con riguardo al rilevante lasso di tempo trascorso tra consumazione del fatto delittuoso ed inizio della collaborazione (oltre 20 anni per la c.d. strage (OMISSIS)). Infine, al proposito e per quanto attiene alle doglianze esposte dalle difese, va ancora ricordato che i riscontri individualizzanti ad una chiamata in reità de relato possono provenire da elementi di natura logica ed anche da un’altra dichiarazione, sia pure de relato, a condizione che quest’ultima sia sottoposta ad un pregnante vaglio critico e consenta di collegare l’imputato ai fatti a lui attribuiti dal chiamante in reità (Sez. 1, n. 33398 del 4/4/2012, Rv. 252930);
anche nel caso in esame dovrà pertanto farsi applicazione del suddetto principio per cui ogni chiamata de relato può costituire valido riscontro individualizzante ad altra chiamata di correità valutata positivamente sotto il profilo della attendibilità intrinseca e può persino costituire anche prova dei fatti seppur corroborata da altra fonte indiretta purchè positivamente valutata.
Orbene, deve affermarsi come i giudici di merito nella valutazione delle pluralità delle chiamate di correità esaminate nel corpo delle motivazioni delle sentenza di primo e secondo grado si siano certamente attenuti a detti principi. Difatti si è proceduto all’analisi delle singole dichiarazioni accusatorie spiegandone il contenuto ed evidenziando l’effetto individualizzante di ogni chiamata a riscontro, per concludere circa la presenza di una pluralità di accuse convergenti con riguardo a ciascuna posizione.
Inoltre, tutte le doglianze esposte nei motivi di appello circa la contraddizione di alcune ricostruzioni in ordine allo specifico ruolo ed alle singole condotte poste in essere il giorno della strage, sono state adeguatamente prese in considerazione e poi risolte valutando l’effetto non dirompente delle discrasie analiticamente spiegate nei termini di una non perfetta sovrapponibilità pur indice di autonomia ed assenza di previo concerto strumentale. Tale valutazione, riportata nelle pronunce conformi, non può essere ribaltata nel presente giudizio di legittimità non ravvisandosi le contraddizioni e le illogicità denunciate proprio perchè operata al termine di un approfondito giudizio di complessiva valutazione dell’attendibilità intrinseca ed individuazione dei riscontri esterni o individualizzanti. Ed ancora a questo proposito, va richiamata la particolare importanza della collaborazione di altri soggetti appartenenti a famiglie criminali differenti; e tra questi certamente spicca per la sua elevata specificità e rilevanza, adeguatamente valutata dai giudici di merito, la collaborazione del M. che è soggetto appartenente proprio alla famiglia camorristica degli Ap. ed ha avuto un percorso collaborativo del tutto indipendente. A fronte di tale completa autonomia sia nelle scelte che nelle motivazioni, il M. ha pienamente confermato il movente della strage, la partecipazione del gruppo Ap. motivata dalla volontà di ottenere poi l’appoggio dei S. ed anche le singole partecipazioni. Analoghe considerazioni vanno svolte con riguardo alle dichiarazioni provenienti da collaboratori provenienti da altri gruppi familiari come N., dichiarato nemico degli stessi ed il quale non ha avuto remore ad ammettere altri efferati omicidi effettuati da egli stesso in quel medesimo contesto che vedeva le fazioni contrapposte. Altre collaborazioni idonee a fornire un quadro di molteplici dichiarazioni accusatorie convergenti, risultano provenire da soggetti non appartenenti al nucleo familiare S., come C.R., ed assumono analoga rilevanza per la loro capacità di riscontrare sia il quadro delinquenziale generico nel quale maturò la scelta di portare a termine l’eliminazione del maggior numero di avversari, sia le singole partecipazioni al tragico pomeriggio dell’11 novembre 1989.
3.6 Con analoghi motivi di ricorso proposti nell’interesse di più assistiti, le difese hanno riproposto la questione della qualificazione giuridica dei fatti lamentando il riconoscimento dell’ipotesi di strage in luogo di quella di omicidio plurimo aggravato; sul punto però i giudici di merito hanno svolto plurime ed approfondite valutazioni compiute in particolare dalla Corte di assise di appello alle pagine 36-37 e dalla sentenza di primo grado prima a pag. 31 e poi ribadite a pagina 121, che sono assolutamente condivisibili avendo stigmatizzato come la partecipazione alla fase deliberativa e cioè a quelle plurime riunioni, indicate da S. C. detto il (OMISSIS) in cinque o sei, nelle quali venne stabilito di portare a termine l’eliminazione massiccia di tutti gli appartenenti al clan avverso facente capo ad A., è significativa del delitto rappresentato e voluto dagli stessi partecipanti che è certamente quello di strage. Al proposito, deve evidenziarsi infatti come il concorso morale in relazione al contestato delitto di strage si perfeziona già in occasione della partecipazione ai plurimi incontri preparatori nei quali venne deciso non l’eliminazione di singoli individui bensì l’aggressione indiscriminata a quel clan avverso. Secondo la ricostruzione conforme dei giudici di merito, già nella fase organizzativa le due famiglie ed i partecipi alle riunioni scelsero di operare l’eliminazione indiscriminata di tutti i componenti del clan A., individuando quale luogo ove agire proprio il bar (OMISSIS), dove gli stessi avevano l’abitudine di riunirsi, e cioè un posto particolarmente affollato ed anche frequentato da soggetti che nulla avevano a che fare con la realtà criminale di (OMISSIS). La scelta di agire così indiscriminatamente rispetto agli obiettivi e la volontà di arrecare un effetto devastante che doveva scompaginare del tutto la cosca avversa, devono fare ritenere sussistente proprio il dolo di strage nella rappresentazione e volontà degli imputati.
Al proposito pertanto valgono le considerazioni svolte dalla sentenza della Corte di assise di primo grado alla pagina 31 circa la precisa qualità stragista della scelta operata all’esito degli incontri S.- Ap.; afferma la suddetta sentenza, così confutando i motivi di ricorso con i quali si è dedotto il difetto di motivazione sul punto, che il portato delle riunioni ed incontri tra i due gruppi criminali per la realizzazione dell’attacco al clan avverso era stata – dunque – una mattanza scellerata..la fase più nevralgica elle operazioni fu rimessa ad un branco di criminali allucinati, mandati a colpire un obiettivo sconosciuto alla maggior parte di loro ed in un luogo in cui, per tutta evidenza, la loro azione non avrebbe potuto essere chirurgica il bar (OMISSIS) era in una zona tra le più frequentate del quartiere (OMISSIS) ed il reato è stato posto in essere in un orario in cui era presumibile la presenza di molte persone per strada. Il luogo in cui si era deciso di colpire era noto a tutti coloro che avevano preso parte alla fase organizzativa e preparatoria del delitto. Si tratta di specifiche deduzioni argomentate sulla base delle emergenze istruttorie acquisite nel corso del dibattimento di primo grado che logicamente e necessariamente portavano i giudici di merito a ritenere sussistente proprio l’ipotesi contestata di strage e, parallelamente, ad escludere le pure invocate circostanze di cui agli artt. 114 e 166 c.p.. In ultimo, costituisce ancora conferma della esatta qualificazione giuridica dei fatti, il numero e la potenza delle armi utilizzate nella strage costituite da ben due fucili a canne mozze, armi appositamente modificate, e da più pistole e ciò per assicurare una potenza di fuoco devastante e che doveva assicurare il maggior numero di vittime tra i nemici.
E se tutti i ricorrenti ebbero a partecipare ad almeno una delle tre fasi individuate dai giudici di merito (deliberativa-organizzativa- esecutiva) e molti anche a più, se era a tutti noto l’obiettivo e la scelta di colpire indiscriminatamente tutti i componenti il clan avverso e se ciò doveva avvenire proprio in quel luogo, l’affollato bar (OMISSIS), appare evidente, e non si ravvisa alcuna contraddizione od illogicità, che le valutazioni contenute dalla Corte di assise di primo grado a pagina 125 della pronuncia sono proprio condivisibili non potendo per nessuno degli imputati invocarsi la disciplina dettata dall’art. 116 in tema di reato diverso da quello voluto. Inoltre non soltanto l’attenuante di cui all’art. 114 c.p. della possibilità di ritenere la minima partecipazione ai fatti è esclusa dalla ricorrenza della contestata aggravante di cui all’art. 112 c.p., n. 1 e cioè l’essere il fatto stato commesso da più di cinque persone, ma la stessa è anche esclusa dal ruolo da ciascuno svolto nelle differenti fasi che per nessuno può dirsi secondario come evidenziato nelle singole posizioni processuali analizzate dai giudici di merito.
3.5 I difensori degli imputati Sc. ed Ap.Ge. hanno proposto ricorso anche con riguardo al mancato accoglimento dell’istanza di rinnovazione della prova in appello attraverso la richiesta ispezione dei luoghi; sul punto però la Corte di Assise di Appello (vedi pagina 35 sentenza di appello) appare avere fatto corretta applicazione del principio secondo cui alla rinnovazione della prova ex art. 603 c.p.p. si procede solo quando si ritenga la stessa decisiva e necessaria per non essere il giudice in grado di decidere allo stato degli atti. Orbene, nel caso in esame, veniva richiesto procedersi ad ispezione dei luoghi ove sarebbe avvenuta la fase del c.d. recupero dei killers ed occultamento delle armi secondo il racconto fornito dal collaboratore S.V. ritenendo che nei riferimenti forniti dal predetto fossero presenti contraddizioni ed imprecisioni. E però va osservato come varie conferme alle dichiarazioni di S.V. provengono da molteplici fonti dichiarative e che comunque un accesso sul posto a distanza di oltre 25 anni dai fatti non avrebbe potuto permettere di individuare adeguati e concreti riscontri negativi o positivi alla indicazione del collaboratore sul luogo di recupero dei killers e delle armi dopo l’esecuzione della strage essendosi i luoghi inevitabilmente modificati. Sul punto pertanto i ricorsi paiono infondati e corretta la decisione dei giudici di merito.
3.6 Procedendo poi all’analisi delle specifiche doglianze proposte da ciascuno degli imputati condannati all’esito dei giudizi di merito va segnalato, quanto alla posizione di S.C. del (OMISSIS), soggetto che ha ammesso i fatti con una lettera indirizzata alla Corte di assise di appello, che in relazione ai motivi proposti nel suo interesse, deve innanzi tutto essere esclusa sulla base delle precedenti osservazioni la possibilità, davvero remota, di riconoscere lo stato di necessità in capo al predetto imputato, avendo avuto la partecipazione alla strage carattere volontario e non assumendo certamente decisività la circostanza delle remore manifestate quando il predetto ricorrente venne posto alla guida di una delle auto del commando. Il fatto che in quella specifica circostanza il S. abbia espresso dubbi sulla sua partecipazione ed abbia poi assunto la guida della vettura sotto la sollecitazione degli altri membri della sua famiglia, ed in particolare dell’omonimo capo, non determina alcuna scriminante posto che non vi fu certo coazione irresistibile ovvero rappresentazione di danni nei suoi confronti ed avendo peraltro il predetto imputato poi manifestato piena adesione al progetto criminale indossando un passamontagna, ponendosi alla guida del mezzo, conducendo i killers in prossimità del luogo del delitto e poi permettendo agli stessi di fuggire a bordo della stesa auto. Peraltro la tesi difensiva, esposta nel terzo motivo di ricorso, non pare trovare conforto neppure nella stessa ricostruzione dei fatti ammessa dall’imputato nella missiva inviata alla Corte di Assise di Appello con la quale l’imputato ha ammesso la sua partecipazione alla strage senza invocare alcuna scriminante.
Quanto alle ulteriori richieste, riguardanti la concessione delle attenuanti generiche ovvero una pena detentiva temporanea (2 motivo), si osserva che sebbene sia fuori di dubbio come la sua ammissione costituisce formidabile riscontro della veridicità del racconto dei collaboranti, sicchè la rilevanza processuale di tale dato non può essere sminuita, tuttavia il giudice di merito ha ampiamente ed adeguatamente motivato circa la negazione delle invocate attenuanti con specifiche argomentazioni contenute a pag. 53 della pronuncia di secondo grado e nelle quali viene evidenziato come a fronte della estrema gravità dei fatti, l’accertata partecipazione dell’imputato ad un’associazione di tipo mafioso proprio negli anni di consumazione del grave delitto per cui si procede, unitamente al suo coinvolgimento in tutte le fasi del delitto, sono circostanze che non possono ritenersi superate dalla tardiva e generica ammissione di responsabilità operata nel presente giudizio di appello. Si tratta di valutazioni specifiche e circostanziate, effettuate sulla base del ruolo in concreto ricoperto dall’imputato in tutte le differenti fasi del delitto e della sua negativa personalità che, in quanto adeguatamente motivate con specifico riferimento a plurime circostanze di fatto, non possono essere sindacate nella presente fase di legittimità.
3.7 Quanto al ricorso di A.V., le doglianze mosse sotto i profili della violazione dell’art. 606 c.p.p. riguardano in massima parte la contestazione dell’attendibilità intrinseca dei collaboratori, la sovrapponibilità delle dichiarazioni, l’esistenza di ragioni di forte astio e conflitto tra i gruppi familiari dei S. e degli Ap., l’assenza di riscontri individualizzanti, sicchè paiono davvero decisive a tale proposito le argomentazioni in precedenza esposte e che confutano tali argomenti; si è già infatti rilevato come oltre a non essere evidente alcun dato processuale dal quale potere derivare una generica inattendibilità dei S., l’appartenenza di più soggetti divenuti collaboratori e chiamanti in correità ad un unico nucleo familiare non può di per sè comportare un giudizio negativo circa l’attendibilità intrinseca degli stessi ed, in caso di convergenza delle accuse, automaticamente attribuire carattere sovrapponibile e perciò sospetto alle stesse.
L’appartenenza ad un unico nucleo familiare-camorristico non è indice autonomamente idoneo ad inficiare l’attendibilità di chi decida di collaborare con la giustizia e può al più giustificare una più pregnante ricerca dei riscontri che nel caso in esame i giudici di merito paiono davvero avere puntualmente compiuto evidenziando tutti quegli elementi che confermano la ricostruzione dei fatti operata dai dichiaranti e che si sono in precedenza richiamati. Quanto all’elemento specifico dedotto a contestazione della attendibilità intrinseca dei S., e costituito dall’eliminazione di Am.Vi., parente degli stessi, attribuita proprio al gruppo Ap., del quale A. fa parte, si tratta di deduzione che può al più confermare l’esistenza di ragioni di conflitto criminale tra le due contrapposte fazioni ma non giustificare un generale giudizio di inattendibilità. Basta osservare al proposito che l’eliminazione dell’ Am., con il metodo dell’auto-bomba, secondo la ricostruzione del ricorrente avviene nel corso del 1998, e che le plurime collaborazioni con la giustizia dei componenti del clan S. iniziano oltre dieci anni dopo; già questo dato elide ogni rilievo alla doglianza poichè appare evidente essere del tutto inverosimile, ed è comunque circostanza priva di qualsiasi riscontro, ritenere che i S. abbiano covato sentimenti di vendetta nei riguardi degli Ap.- A. poi portati a termine con una collettiva collaborazione iniziata oltre dieci anni dopo le ragioni di conflitto. Peraltro, come già sostenuto nella parte generale della presente motivazione, l’ A., così come gli altri componenti del gruppo Ap., è soggetto risultato chiamato in correità per la sua partecipazione alla strage anche da altri collaboratori e cioè dal M. (vedi pagina 100 sentenza primo grado) e dal N. (pag. 98 cit.) che lo hanno indicato comunemente e conformemente, ma in modo del tutto autonomo ed indipendente tra loro stessi e rispetto ai S., come componente del gruppo di killers che portò a termine l’agguato.
Addirittura il N. ha riferito di avere appreso del nome di A. già da uno dei feriti della strage; a fronte di tale dato, la difesa ricorrente ha contestato anche l’attendibilità del M. facendo riferimento a dati che paiono però del tutto secondari e non conferenti. Le eventuali contraddizioni, neppure evidenziate dai giudici di merito, riguarderebbero gli incontri con S.L. finalizzati ad un estorsione, i rapporti familiari ed il luogo di residenza dell’imputato, la tardività della chiamata dell’ A., non indicato in un primo verbale del 2009 quale componente della commando della strage. Orbene, quanto al M., va riferito che i giudici di merito, ed in particolare la Corte di assise di primo grado, hanno evidenziato una serie di elementi davvero significativi riguardanti i rapporti diretti che detto collaboratore ha avuto con l’ A., in virtù dei quali veniva a conoscenza di circostanze specifiche e rilevanti riguardanti: il ruolo da detto imputato svolto all’interno del clan Ap., gli altri componenti dello stesso clan, la causale della strage, le successive confidenze ricevute proprio dall’imputato, i contrasti con altre famiglie criminali. La circostanza sottolineata dalla difesa che il M. avrebbe errato nell’indicare il luogo di residenza dell’ A. al momento della strage, indicato nel quartiere (OMISSIS) ove invece l’imputato con la famiglia si trasferiva soltanto nel 1991, appare priva del valore cui il ricorrente vuole attribuirgli posto che avuto riguardo alla data di consumazione dei fatti un errore così secondario non può essere indice di inattendibilità, nè la residenza in altro luogo può comunque avere impedito ad A. di partecipare alla strage. Così irrilevante è la circostanza della data del matrimonio della sorella della moglie dell’ A. con Ap.Gi. (1992) poichè M. può ben avere fatto riferimento a rapporti di frequentazione preesistenti poi assunti a parentela solo dopo la celebrazione del matrimonio che comunque non può in alcun modo escludere una precedente stabile frequentazione tra l’imputato ed i componenti della famiglia Ap.. Correttamente, pertanto, le corti di merito concludevano per la piena credibilità del M. con riferimento alla ricostruzione della strage ed al ruolo assunto da ciascuno degli imputati tra cui appunto A.V..
Si è quindi in presenza di un quadro di accuse davvero significativo correttamente valutato dai giudici di merito e che ben lungi dal potere fare ritenere M. non attendibile conforta un quadro probatorio a carico dell’ A. da definirsi imponente e del tutto univoco. Occorre difatti ricordare come il predetto imputato sia raggiunto da plurime e convergenti chiamate di correità; egli partecipa alla fase deliberativa in quanto presente alle riunioni con i S. in occasione delle quali veniva stretta l’alleanza tra le famiglie secondo le dichiarazioni di S.C. del (OMISSIS) (vedi sentenza di assise primo grado 48-49) ed inoltre partecipa anche alla fase esecutiva per lo stesso collaboratore (pag. 49 cit.). Tali affermazioni, che provengono dal vertice di quel clan che si autoaccusa della strage, trovano conferma nelle affermazioni di S.G. del (OMISSIS) che lo indica tra i componenti del commando (sentenza di assise p. 67) e riferisce di averlo incontrato anche nella fase in cui venne concluso l’accordo tra i due clan (idem p. 66), di S.G. del (OMISSIS) lo indica tra i componenti del commando (p. 58 assise primo grado), di S.P. che lo indica presente agli incontri deliberativi (cit. p. 72) ed anche componente del gruppo di killers (idem p. 72), di S.L. che lo indica tra i partecipanti agli incontri organizzativi in cui venne conclusa la scellerata alleanza (assise primo grado p. 79), di S. V. che lo indica tra i partecipi ad una riunione deliberativa a cui aveva avuto modo di assistere (sentenza assise p. 82) nonchè componente del gruppo di fuoco (pagine 82-83 cit.). Inoltre, lo indicano come componente del commando, anche altri collaboratori quali E.G. (dichiarazione citata a pagina 87 della sentenza di assise), E.C. (sentenza citata p. 92) che ne ha anche indicato il soprannome, ed ancora il già indicato N. M. che lo apprendeva da uno dei feriti. Si tratta quindi di una serie di accuse provenienti anche da collaboratori estranei al nucleo S. sicchè non può certamente ritenersi che tutti detti soggetti siano animati da astio e rancore nei suoi confronti e deve, per converso, valutarsi correttamente valutata la convergenza delle molteplici indicazioni accusatorie da parte dei giudici di merito. Il ricorso va pertanto respinto.
3.8 Le considerazioni ed eccezioni contenute nel ricorso proposto nell’interesse di S.A. con riguardo all’affermazione di responsabilità, fanno leva sulla contrarietà del medesimo ad ogni scelta stragista e sulla conseguente erronea applicazione delle norme sul concorso di persone nel reato; si rileva poi, quanto alla fase esecutiva, che la sua presenza sul luogo del fatto, peraltro ammessa dallo stesso, doveva ritenersi equivoca ed indifferente rispetto al proposito criminale. Orbene, le considerazioni svolte dal giudice di appello a pagina 82 della sentenza di secondo grado, paiono però condivisibili rilevandosi infondati i detti motivi di ricorso che peraltro ripropongono questioni di fatto già conformemente valutate dai giudici di merito senza alcun travisamento di fatti o prove. La Corte di assise di appello di Napoli, motiva l’affermazione di responsabilità in presenza di un concreto contributo fornito al piano stragista da S.A., non soltanto sul rafforzamento del proposito criminoso nella fase organizzativa e deliberativa del delitto, quando il predetto imputato avrebbe ripetutamente manifestato la propria contrarietà ma, soprattutto, sulla concreta e fattiva partecipazione alla fase dell’agguato stragista. E difatti secondo i giudizi conformi di primo e secondo grado, S.A. viene indicato da S.P. (si veda sentenza di appello pag.
83) e S.G. detto (OMISSIS) (vedi sentenza primo grado pag. 59) come il soggetto che per conto della famiglia camorristica era andato a stazionare presso il bar ove doveva essere eseguita la strage il pomeriggio dei fatti riferendo espressamente che nei pressi del (OMISSIS) si misero S.A. ((OMISSIS)) ed E.G. ((OMISSIS)). Si tratta di ruolo concreto ed esecutivo svolto nella fase di consumazione del delitto ricavato da plurime dichiarazioni convergenti che non trovano smentita alcuna.
Non appare pertanto decisivo quanto indicato da S.C. detto il (OMISSIS) e cioè della contrarietà di A. all’esecuzione della strage nella fase iniziale, elemento questo tutto posto a fondamento del ricorso, poichè lo stesso collaboratore comunque riferisce che il ricorrente mutò idea e partecipò alla deliberazione unitamente agli altri componenti della famiglia che condivisero integralmente il progetto criminale del capo.; la sentenza di primo grado da atto infatti che in sede di riesame da parte del P.M. lo stesso S.C. aveva riferito come alla fine del loro confronto (e prima della esecuzione del delitto) anche (OMISSIS) aveva accettato la sua decisione (assise primo grado p. 52), con la conseguenza di ritenere correttamente prestato il suo apporto concorsuale anche nella fase deliberativa condividendo le scelte del capo-clan. Tale valutazione di S.C. non è isolata poichè S.L. ha riferito di condivisione di tutto il gruppo della decisione di attuare la guerra ad A. e coinvolto così anche il ricorrente, che, dalla sua parte, ha ammesso di avere fatto parte del clan proprio in quel contesto temporale in cui veniva prima deliberata e poi attuata la strage al (OMISSIS). A fronte di tale argomentazioni, in ogni caso, vi è l’accertata partecipazione del ricorrente alla fase esecutiva con ruolo pienamente attivo poichè anche il S.G. detto (OMISSIS) (pagina 67 sentenza di primo grado), lo indica come presente il pomeriggio all’arrivo dei killers all’interno della scuola, così come lo stesso S.C. cl. (OMISSIS), il quale riferisce proprio che a seguito dell’arrivo dei killers provenienti dal quartiere (OMISSIS) si aggiunsero al gruppo E.P., S.A. (OMISSIS) e S.C. il (OMISSIS) (v. pag. 49). Il giudice di primo grado ha poi specificato come le ammissioni dell’imputato, il quale ha riconosciuto che il pomeriggio dei fatti si era proprio recato in un negozio di fronte al bar, non fanno che confermare il quadro probatorio e lo specifico ruolo svolto poichè ove S. fosse veramente stato contrario all’esecuzione della strage che era in corso di attuazione, certamente non avrebbe frequentato lo stesso luogo ove doveva avvenire; la presenza in quel posto conferma quindi, ed in maniera ancora individualizzante, lo specifico ruolo ricoperto dall’imputato che ben lungi dall’essere estraneo ai fatti di reato dopo un’iniziale opposizione vi prese parte fornendo un proprio contributo. Rilevato che anche le prove contrarie dedotte dalla difesa sono state analizzate e confutate dai giudici di merito (vedi sentenza di primo grado pag. 105) il ricorso si manifesta non fondato.
3.9 Il primo motivo di ricorso proposto nell’interesse di P. L. prospetta violazione di legge per nullità dell’ordinanza dichiarativa della contumacia dell’imputato emessa all’udienza 25 ottobre 2011 pur in presenza di legittimo impedimento dell’imputato.
L’eccezione risulta già presa in considerazione e specificamente confutata dal giudice di appello con valide argomentazioni richiamate alle pagine 71-74 della sentenza di secondo grado. La doglianza basata sulla mancata traduzione dello stesso, è infondata e non può pertanto essere accolta; e difatti questa Corte ha ripetutamente stabilito il principio secondo cui le modalità di traduzione del detenuto non rientrano nella libera disponibilità dell’interessato dovendo essere rimesse alle scelte dell’amministrazione a disposizione della quale gli stessi detenutisi trovano; e così si è affermato che poichè l’imputato detenuto, a causa del suo stato, non ha libertà di movimento ma deve sottostare alle determinazioni delle autorità preposte al luogo di custodia e di quelle incaricate della traduzione, il suo diniego di consentire agli adempimenti previsti dalla legge equivale ad impedire la traduzione e quindi a rifiutarla, con un comportamento inequivocabilmente indicativo della volontà di non presenziare all’udienza (Sez. 2, n. 486 del 21 dicembre 1998 (dep. 15 gennaio 1999 Rv. 212255). Ne consegue che legittimamente il rifiuto del P. di essere tradotto con il mezzo aereo e, ove necessario, di assumere un farmaco atto a facilitare detto trasferimento, veniva inteso quale implicita rinunzia a partecipare all’udienza poichè tale comportamento ha concretamente impedito l’utilizzo di quel mezzo che l’amministrazione aveva specificamente predisposto per assicurare la presenza del P. all’udienza programmata.
Lo stesso ricorrente ha poi lamentato violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. b) ed e) con riguardo alla mancata individuazione del momento di adesione del P. all’azione delittuosa idoneo a configurare il concorso morale; in ogni caso, deduce l’irrilevanza della presenza all’interno della scuola all’arrivo dei killers barresi ed evidenzia come le dichiarazioni dei collaboratori fossero sostanzialmente contraddittorie in ordine al ruolo del P..
Tali doglianze non paiono però avere fondamento avendo i giudici di merito fatto adeguato trattamento dei dati probatori emersi all’esito dell’istruzione dibattimentale di primo grado senza incorrere in alcun travisamento rilevante; la posizione processuale del suddetto imputato viene presa in considerazione alle pagine 74 e seguenti della sentenza della Corte di Assise di Appello che evidenzia la sussistenza di un compendio probatorio costituito dalla presenza di molteplici e specifiche chiamate di correità sia con riferimento al ruolo del suddetto ricorrente all’interno del clan S. sia con riguardo al suo concorso nel delitto di strage. In questo contesto, i giudici di merito, hanno evidenziato come secondo le dichiarazioni di S.C. detto il (OMISSIS), confermate anche da S. V., il P. si trovasse all’interno della scuola il pomeriggio dell’eccidio (vedi sentenza di primo grado pagine 49 e 82) ed avesse partecipato all’incontro con i barresi al momento dell’arrivo degli stessi e della distribuzione dei compiti;
circostanza questa che trova specifica conferma nella indicazione di S.G. classe (OMISSIS) che lo ha indicato tra i presenti alla fase organizzativa nella scuola (pag. 59 sentenza di primo grado).
Inoltre va ancora rilevato, come per S.L., che il ricorrente partecipava alle deliberazioni assunte dal gruppo criminale (sentenza cit. p. 79); S.P. lo indica poi tra i soggetti che assunsero la decisione di eliminare tutti gli uomini della cosca avversa facente capo ad A. (sentenza di primo grado pag. 72). Correttamente pertanto i giudici di merito hanno ritenuto che dal compendio probatorio esaminato potesse desumersi l’esistenza di plurimi riscontri esterni sotto il profilo della convergenza di più chiamate, poichè l’imputato viene chiaramente indicato come concorrente nel delitto in forza della sua appartenenza alla famiglia nella fase organizzativa oltre che concretamente attivo nella fase esecutiva concretizzatasi il pomeriggio dell’11 novembre 1989. Non può difatti accogliersi la tesi difensiva secondo cui la presenza all’interno della scuola ovvero nel piazzale antistante abbia avuto significato neutro e non punibile poichè quel pomeriggio S.C. ed il suoi accoliti stavano organizzando e portando a termine l’assalto al bar (OMISSIS) ove si trovavano gli uomini di A. sicchè avere partecipato alle riunioni preliminari del pomeriggio, avere atteso l’arrivo dei killers provenienti da (OMISSIS) e facenti parte del clan Ap. ed avere presenziato e partecipato alla distribuzione dei compiti, è sintomatico di apporto concreto e fattivo all’esecuzione del gravissimo delitto. Tale ricostruzione esclude pertanto che l’apporto fornito dal P. al clan, sia stato limitato esclusivamente al campo dello spaccio di sostanza stupefacente così come dedotto in ricorso, poichè la partecipazione al gruppo criminale comportava come esattamente ricostruito dai giudici di merito il coinvolgimento nelle strategie criminali più importanti e quindi anche, nella deliberazione di portare a termine quella strage che doveva comportare il definitivo abbattimento del gruppo A.. Del resto, sotto il profilo contestato della ricerca dei riscontri, va pure ricordato che lo stesso imputato ha ammesso di avere fatto parte del clan S., che per tutti i dichiaranti è autore della strage, senza che mai sia emersa una forma di qualsiasi dissociazione dello stesso dal gruppo durante il periodo temporale in cui veniva portato a termine il delitto ed accertato quindi che il reato fine è stato progettato dall’intera organizzazione con la piena consapevolezza da parte dei singoli associati delle manifestazioni del progetto delittuoso e delle connesse modalità esecutive, è certa anche la responsabilità concorsuale nei fatti senza che in alcun modo possa ritenersi fittizia la collegialità delle decisioni poichè il ruolo di vertice svolto da S.C. al tempo dei fatti non escludeva la partecipazione degli altri accoliti alle deliberazioni criminali soprattutto se riguardanti fatti strategici per il gruppo come la strage del (OMISSIS).
Nè può ritenersi che vi siano effettive e rilevanti contraddizioni tra le dichiarazioni accusatorie, pur lamentate in ricorso con il quarto motivo, posto che il ricorrente viene indicato tra i partecipanti alla fase deliberativa e poi presente all’interno della scuola nella fase di concreta organizzazione dell’agguato e quando arrivarono i killers sicchè il quadro probatorio risultante dalle plurime chiamate può ritenersi privo di significative smagliature come correttamente evidenziato dai giudizi di merito. La contraddizione significativa tra più chiamate di correità può individuarsi solo in presenza di dichiarazioni difformi circa il ruolo svolto dall’imputato nella consumazione del fatto, la sua presenza o meno sul luogo del delitto, la partecipazione alla fase deliberativa dello stesso e non con riferimento ad aspetti marginali della ricostruzione tanto più se riguardante fatti risalenti nel tempo e che vengono ricostruiti dopo venti anni dal loro accadimento.
Alla luce delle predette considerazioni, pertanto, anche il ricorso proposto nell’interesse del P. deve essere respinto.
3.10 A fronte delle argomentazioni aventi ad oggetto la posizione di E.P., esposte alle pagine 77 e seguenti della pronuncia di appello, il predetto ricorrente ha lamentato, con il secondo motivo di ricorso, contraddittorietà, divergenza ed inconciliabilità delle chiamate valorizzate deducendo che secondo lo stesso racconto dei collaboranti il ricorrente non aveva partecipato alla fase ideativa e deliberativa (peraltro priva di un momento specifico), nè a quella organizzativa essendo sopraggiunto per caso al (OMISSIS) il giorno dei fatti, dopo l’arrivo dei killers dal quartiere (OMISSIS), occasione in cui risultava anche avere tentato di dissuadere S.C. dall’intento sottolineando le condizioni psichiche dei predetti killers in preda ai postumi da assunzione di stupefacenti. Orbene rileva questa Corte che anche nel caso del predetto ricorrente i giudici di merito, con valutazione del tutto conforme e priva di illogicità, hanno correttamente valutato il materiale probatorio assunto che indicava univocamente il suo coinvolgimento sia nelle attività della famiglia S., in quel periodo temporale freneticamente attiva a realizzare il progetto di predominio all’interno del quartiere (OMISSIS) ben noto a tutti i componenti e nel quale erano tutti coinvolti, che nella preparazione ed esecuzione della strage. Rilevano quanto ad E.P. la chiamata di correità di S.C. del (OMISSIS) esposta alle pagine 79- 80 della sentenza di appello nella parte in cui viene espressamente riportata; riferiva detto collaborante quando sono uscito (dal carcere n. d.r.) era un progetto che avevo io, poi sono uscito ed ho parlato con i miei fratelli, con i miei cugini, inizialmente era un gruppo familiare, ero io che ero il capo dell’organizzazione, poi G., P., L., E. e poi E.G. e E.P.. Inoltre lo stesso S.C. riferiva ancora che il ricorrente era presente all’arrivo dei killers il giorno della esecuzione della strage, quando era ben noto a tutti i componenti del clan che si sarebbe proceduto all’eliminazione degli avversari riuniti nel bar (OMISSIS) del B.. Orbene, dette precise indicazioni accusatorie trovano conforto nelle ulteriori accuse provenienti dalle dichiarazioni di S.P. (pagina 81 sentenza di appello e 72 di primo grado) che indica l’ E. tra coloro che presero la decisione di procedere alla massiccia eliminazione degli avversari ed ancora di S.G. classe (OMISSIS) (vedi pag. 81 appello e pag. 67 primo grado), S.G. del (OMISSIS) (pag. 63 primo grado) che confermano il ruolo deliberativo ed operativo dell’imputato. E così, in particolare, S.P. riferisce secondo la pronuncia di primo grado che: la deliberazione di questi incontri fu di eliminare tutti gli uomini di A..
La deliberazione, sul lato della famiglia S. fu assunta da tutti congiuntamente i fratelli C., G., P. e V.; i cugini E.A., G., C., P. ed E.G., nonchè P.L..
A fronte di tale gruppo di indicazioni si aggiungono ancora le accuse di S.L. che lo individua tra i componenti del clan e riferisce che la decisione della strage venne presa da tutti (vedi sentenza primo grado pag. 80: la decisione di attuare la guerra ad A., per quanto aveva potuto vedere fino al momento del suo arresto, era stata condivisa da tutti ) e di S.V. (pag.
82 primo grado) che lo indica quel giorno presente all’interno della scuola riferendo che ebbe quel giorno a recarsi: nella scuola utilizzata come punto di riunione, ove trovò che il delitto era già in piena fase di organizzazione. All’interno della scuola erano in quel momento presenti, oltre ai fratelli C. e P., P.L., Ap.Gi., A.V. ed E. P..
Si tratta di un compendio probatorio sostanzialmente privo delle lamentate contraddizioni, correttamente valutato dai giudici di merito a fronte del quale le censure appaiono reiterare aspetti già adeguatamente scandagliati. E.P. è componente storico di quel gruppo criminale della famiglia S. pienamente attivo nel quartiere (OMISSIS), partecipa alla fase deliberativa nel contesto della quale viene stretta un’alleanza strategica con la famiglia Ap. di (OMISSIS), condivide e coopera alla decisione di procedere alla massiccia eliminazione degli avversari riuniti sotto il comando di A., è presente e detta i propri consigli a S.C. il giorno dell’esecuzione della strage.
Quanto alla doglianza (4 motivo di ricorso) secondo cui si sarebbe omesso di dare conto delle specifiche dichiarazioni del collaboratore E.G. aventi valore scardinante l’impianto accusatorio, poichè questi aveva ricostruito i fatti stigmatizzando la sostanziale fittizietà della condivisione delle scelte criminali riferibili invece al solo S.C., va ricordato come le dichiarazioni di tale collaboratore siano riportate per esteso alle pagine 85 e seguenti della sentenza di primo grado ed alle stesse non possono attribuirsi il declamato valore scardinante. E. G., fratello di P., ha esattamente ricostruito il movente della strage in maniera del tutto conforme a quanto dichiarato dagli altri collaboratori affermando anche che si attese la scarcerazione del S.C. benchè sussistessero già ragioni di conflitto con gli uomini di A.; ha poi confermato che proprio S.C. durante la detenzione aveva stretto un’alleanza con gli esponenti del clan Ap., e che all’esito della scarcerazione del capo si svolsero una serie di riunioni nelle quali venne deliberata l’eliminazione massiccia degli avversari delle famiglie N., N. e A. che nel frattempo avevano loro eliminato D.V.. E.G. ha specificamente affermato che di tali riunioni, ed evidentemente anche del loro contenuto, venivano informati tutti i componenti del clan compreso suo fratello P. (vedi sentenza primo grado pag. 87).
Si tratta quindi di una ricostruzione che non collide con quanto conformemente dichiarato dai collaboratori del nucleo familiare dei S. e che appare anzi affermare pienamente il coinvolgimento anche di E.P. nell’assunzione delle deliberazioni criminali.
Con riguardo poi alla circostanza della condotta concretamente tenuta dal ricorrente all’arrivo dei killers, quando ne rimproverava lo stato di alterazione alla presenza di S.C., va ritenuto che le indicazioni dettate al predetto S.C. di fare desistere i barresi dell’azione in quel momento, non riguardavano il compimento della strage quanto lamentavano le cattive condizioni di lucidità dei killers e, pertanto, non miravano ad interrompere l’azione quanto ad assicurarne una migliore esecuzione. Secondo le indicazioni in precedenza riferite, E.P. oltre a fare stabilmente parte del clan a quel tempo ed avere assunto anch’egli la decisione di procedere alla massiccia eliminazione degli avversari, attese l’arrivo dei killers da (OMISSIS) e partecipò alla riunione all’interno della scuola; in quel frangente ebbe modo di constatare lo stato di cattiva lucidità degli esecutori materiali e segnalò il fatto al S.C. ricevendo però rassicurazioni dallo stesso.
Tale condotta, non può certamente qualificarsi in termini di dissociazione poichè l’intervento del ricorrente non pare proprio diretto a scongiurare la strage quanto ad assicurare la corretta eliminazione degli avversari con la conseguenza di dovere ritenere che anche in questa fase l’ E. non fece mancare il proprio apporto al progetto criminale. Pertanto, non c’è alcuno spazio per ritenere che la sua presenza sui luoghi il pomeriggio della strage possa qualificarsi in termini di connivenza non punibile anche in considerazione della partecipazione alla fase deliberativa sicchè anche il quarto motivo di ricorso, ricollegato al secondo, pare infondato. E si osserva ancora che le dichiarazioni di E. G., di non avere visto il fratello quel pomeriggio, non possono ritenersi decisive poichè lo stesso per sua ammissione riferisce di avere sostato per poco tempo dinanzi la scuola (OMISSIS) il pomeriggio della strage e pertanto non è decisivo che in quei pochi minuti non abbia visto il fratello la cui presenza viene da tutti gli altri ricordata proprio per l’avere lamentato le condizioni psichiche di quei killers che da lì a poco avrebbero portato a termine una strage di innocenti.
Anche le doglianze subordinate paiono correttamente escluse dalla Corte con valutazioni che sono correttamente richiamate quanto alle posizioni comuni specificamente indicate nella parte motiva contenuta a pagina 81 della sentenza di appello; generica è poi la doglianza riferita con il settimo motivo ed avente ad oggetto l’omessa valutazione della memoria depositata in data 27 febbraio 2013 posto che non viene indicata la decisiva rilevanza di tale memoria. La circostanza che E.P. si sia allontanato dal clan S. a partire dal 1995 appare evidentemente priva di rilievo posto che la strage avveniva ben sei anni prima sicchè la memoria non deduce elementi significativi e può ritenersi implicitamente presa in considerazione dalle sentenze di merito che ricostruiscono il percorso di partecipazione alla fase deliberativa ed esecutiva del delitto anche da parte del ricorrente.
Infine, quanto alla questione di legittimità costituzionale degli artt. 210 e 503 c.p.p. (oltre che degli artt. 18, 194, 195, 499) in relazione agli artt. 3, 24 e 111 Cost., nella parte in cui si consente ai dichiaranti contra alios di partecipare al medesimo dibattimento insieme agli imputati destinatari delle dichiarazioni accusatorie compromettendo la genuinità nella formazione della prova, sollevata con l’ultimo motivo di ricorso, si osserva che la stessa appare manifestamente infondata; fondamentali esigenze di trattazione unitaria dei procedimenti, di non dispersione dei mezzi di prova, di concentrazione processuale, di impedire il contrasto di giudicati, impongono la trattazione unitaria dei procedimenti relativi al medesimo fatto indipendentemente dalla qualità dei correi, essendo del tutto irrilevante che taluno degli imputati abbia deciso di collaborare con la giustizia. La trattazione unitaria o separata dei giudizi relativi al medesimo fatto non può dipendere dallo status dell’imputato essendo questa condizione irrilevante ai fini della riunione o separazione e non potendo peraltro distinguersi le posizioni processuali in ragione di scelte che appaiono del tutto estranee ai criteri di connessione stabiliti su dati oggettivi e predeterminati. Peraltro è il caso di segnalare che la genuinità della prova è assicurata dalla acquisizione separata delle fonti dichiarative nella fase delle indagini, e dal regime delle contestazioni dibattimentali, che permetterebbe comunque di fare emergere, ove sussistenti, ipotesi di chiara difformità delle molteplici dichiarazioni accusatorie; tale specifica disciplina rende sostanzialmente irrilevante il dato esposto dalla difesa e da essa ritenuto decisivo, costituito della presenza dei coimputati dichiaranti all’escussione degli altri soggetti nella medesima posizione collaborativa. Il giudice di appello ha già esposto valide argomentazioni al proposito a pagina 33 e seguenti della sentenza gravata da ricorso, rilevando come la connessione ex art. 12 c.p.p. opera come criterio autonomo ed originario di attribuzione della competenza. La dedotta questione di illegittimità costituzionale, oggetto dell’ottavo motivo di ricorso dell’ E.P., è pertanto manifestamente infondata.
3.11 Anche il ricorso proposto nell’interesse dell’imputato Ap. G., condannato alla pena dell’ergastolo all’esito dei giudizi di primo grado e di appello, non pare fondato e deve essere respinto;
le doglianze esposte dal ricorrente attengono sostanzialmente alla contestata attendibilità intrinseca ed estrinseca delle chiamate di correità e di reità valutate a carico del medesimo quali elementi posti a fondamento dell’affermazione di responsabilità per il gravissimo delitto di cui all’art. 422 c.p. pluriaggravato. In particolare, si è sostenuto con il proposto ricorso, che non si sarebbe fatta adeguata applicazione delle regole in tema di valutazione della prova ex art. 192 c.p.p., comma 3 poichè le dichiarazioni dei collaboratori evidenziavano notevoli contraddizioni quanto a genesi della scelta omicidiaria, numero e partecipanti alle riunioni, individuazione dei killers, degli altri soggetti incaricati di altri compiti, tipo delle armi e delle auto utilizzate per l’agguato. Tale motivo è stato già esaminato nella parte introduttiva della presente motivazione con argomentazione dettata con riguardo a tutte le doglianze esposte con i differenti ricorsi;
si è evidenziato come dall’analisi delle dichiarazioni dei collaboratori sia emersa una sostanziale ed effettiva concordanza in ordine alle ragioni che portarono alla scelta stragista, da tutti identificate nella volontà da parte dei S. di acquisire il comando delle attività criminali del quartiere (OMISSIS) e nell’interesse degli Ap. di garantirsi l’appoggio degli stessi S. per la realizzazione di un analogo disegno all’interno del quartiere di (OMISSIS). Quanto, poi, alla identificazione precisa dei partecipanti alle riunioni, anche sotto tale profilo non si ravvisano elementi di contraddizione radicale e reale tra le differenti dichiarazioni, essendo stato chiarito ripetutamente che Ap. G., C. e G., unitamente ad A.V., ebbero a recarsi ripetutamente nel c.d. quartier generale della famiglia S. ove veniva convenuta la comune strategia criminale nel cui contesto maturava la decisione di portare a termine la radicale eliminazione degli uomini del gruppo A. e di operare tale azione nel popolato bar (OMISSIS). Anche in ordine all’identificazione dei killers, a quanto avvenuto il pomeriggio dell’11 novembre, alla scelta delle armi, due fucili a canne mozze e più pistole, le lamentate contraddizioni od imprecisioni non si ravvisano ed ove sussistenti paiono davvero secondarie e non rilevanti. Peraltro si è già evidenziato come le dichiarazioni dei S. hanno trovato conferma in plurime accuse autonome provenienti cioè da soggetti facenti parte di altri gruppi familiari, con differenti percorsi collaborativi come C., N., M.. Tali considerazioni disarticolano anche la doglianza proposta con riguardo al dedotto forte sentimento di astio che tutti i componenti della famiglia camorristica S. nutrivano nei riguardi degli Ap. poichè, se pure dovesse ritenersi, che le accuse provenienti dai S. possano trovare fondamento in una strategia vendicativa nei confronti di chi come gli Ap., e G. in particolare, potesse essere ritenuto responsabile dell’eliminazione dell’ Am. o comunque dei successivi conflitti tra le due famiglie, tale ricostruzione trova precisa smentita nella coincidenza delle accuse provenienti da chi come N. e M. non è mai appartenuto a quel gruppo e che pure hanno riferito della responsabilità di Ap.Gi., C. e G. per la strage (OMISSIS). Il tema, poi, ha trovato numerose conferme che sono già state in precedenza evidenziate, tra le quali può citarsi persino la deposizione del generale T. il quale ha confermato che già nelle prime indagini il movente era stato esattamente ricostruito negli stessi termini poi riferiti a distanza di molti anni dai collaboratori. Peraltro appare veramente difficile ricostruire i fatti additando di generale inattendibilità le dichiarazioni dei S. nei confronti degli Ap. solo a cagione dei contrasti avuti per strategie criminali differenti e della incrinazione dei rapporti ben successiva il momento della strage; la scelta collaborativa comporta infatti una cesura con le strategie criminali sicchè sarebbe errato riportare le stesse logiche di contrapposizione alla fase dell’interruzione di ogni legame con la criminalità. E che tale cesura vi sia stata, è dimostrata dal fatto che i collaboratori del gruppo S. non hanno avuto remore ad accusare prossimi congiunti alcuni dei quali condannati anch’essi all’ergastolo e ciò denota chiaramente come scopo della scelta attuata non sia il dedotto desiderio di rivalsa nei confronti dei nemici Ap., ma quello di interrompere ogni legame con il proprio passato criminale.
Quanto alla dedotta assenza di prova della responsabilità oltre ogni ragionevole dubbio, la motivazione della pronuncia di condanna di Ap.Gi., risulta contenuta a pagina 63 e seguenti della sentenza di appello; Ap.Gi. risulta avere partecipato alla fase deliberativa della strage in quanto presente alle riunioni con i S. in occasione delle quali veniva stretta l’alleanza tra le famiglie secondo le dichiarazioni del capo S.C. del (OMISSIS) (riportate nella sentenza di primo grado di assise nelle pagine 48- 49); secondo quanto riferito da detto collaboratore, che allora agiva in veste di capo di quel sanguinario clan: in occasione, quindi, dell’incontro avuto con Ap.Gi. e D.L.B., si stabilì l’eliminazione di A., A.V., dei fratelli V., di M.G. e di tutti quelli che si riconoscevano nella guida di (OMISSIS) L’idea fu da subito di eliminarli tutti, il posto fu individuato nel bar (OMISSIS), ove erano soliti radunarsi, una volta scelto l’obiettivo operativo si decise di affidarne l’esecuzione ai barresi, per evitare che gli esecutori venissero riconosciuti. Quindi si organizzarono diversi incontri a (OMISSIS) cui parteciparono Ap.Gi., A. C., Ap.Ge. e A.V., secondo il piano stabilito il commando doveva essere formato da sei persone divise su due autovetture. Si tratta di una accurata ricostruzione dei fatti che individua con assoluta precisione e specificità il ruolo avuto da Ap.Gi., oltre che dai fratelli C. e G. e dall’ A., nella fase deliberativa della strage, e che ben lungi dall’apparire imprecisa come lamentato con il ricorso si palesa assolutamente chiara anche nella descrizione del movente criminale della strage. Secondo il racconto di S.C., inoltre, l’ Ap. G. partecipa anche alla fase esecutiva (p. 49 sentenza citata), essendo sopraggiunto con il gruppo di killers il pomeriggio della strage all’incontro con i S. che si svolgeva nella scuola del quartiere (OMISSIS) divenuta sede operativa del gruppo; tali precise e specifiche affermazioni trovano conferma nelle dichiarazioni di S.G. del (OMISSIS) che lo indica tra i componenti del commando (sentenza di assise primo grado p. 67) riferendo: da (OMISSIS) arrivarono circa una decina di persone tra cui A.V., Ap.Gi., Ap.Ge., A. C.. Questo collaboratore, inoltre, riferisce di averlo incontrato anche nella fase in cui venne concluso l’accordo tra i due clan (p. 66 cit.); rilevano ancora le precise accuse di S.G. del (OMISSIS) che lo indica tra i componenti del commando (vedi sentenza primo grado p. 58: dei barresi giunti, rimasero li solo quelli che dovevano comporre il gruppo di fuoco e cioè Ap.Gi., A.V.), di S.P. che lo indica presente agli incontri organizzativi e deliberativi (sentenza cit. p. 72) ed anche componente del gruppo di killers (idem 72), di S.L. che lo indica tra i partecipanti agli incontri (idem 79), di S. V. che lo indica tra i partecipi ad una riunione deliberativa alla quale aveva avuto anch’egli modo di assistere (sentenza di assise primo grado p. 82) nonchè componente del gruppo di fuoco (idem 82-83). Inoltre, ed a definitiva conferma della presenza di un quadro di molteplici accuse tutte convergenti pur provenendo da fonti autonome e da differenti percorsi collaborativi correttamente valutate dai giudici di merito, lo indicano come componente del commando anche E.G. (vedi p. 87 sentenza primo grado), il quale riferiva di averlo notato al suo arrivo nella scuola quando vide le armi già predisposte sulla tavola e N.M. (vedi sentenza di assise p. 98) che oltre ad affermarne la responsabilità per l’eseguita strage lo indica come uno dei vertici del clan Ap. con il quale era in conflitto avendone anche progettato l’eliminazione in quegli stessi giorni del novembre 1989. Ed ancora il M., componente proprio della famiglia camorristica degli Ap. prima di iniziare la collaborazione, (vedi pag. 100 sentenza primo grado) lo indica come partecipe del gravissimo delitto individuando specificamente gli esponenti del clan che presero parte all’esecuzione della strage. in Ap.Gi., Ap.Ge., Ap.Ci., A.V., P.P. ed altri soggetti. Analogamente C.R. lo accusa di avere stretto in quel frangente un’alleanza con i S. finalizzata all’eliminazione degli avversari (vedi sentenza di primo grado p. 93). Come già evidenziato, correttamente i giudici di merito valutavano il suddetto materiale probatorio quale prova oltre ogni ragionevole dubbio del pieno coinvolgimento dell’imputato nei fatti, senza alcun travisamento della prova od illogicità della motivazione ed essendo imposta l’affermazione di responsabilità dalla gravità e concordanza delle accuse che le sentenze di primo e secondo grado giustamente sottolineano. Ap.Gi., così come Ap.Ci.
e G., sono accusati anche dal M., dal N. e dal C., oltre che da E.G., e cioè da collaboratori estranei al nucleo familiare stretto dei S., e non potendo ritenersi che tutti detti soggetti siano animati da astio e rancore nei suoi confronti, deve affermarsi correttamente valutata la convergenza del molteplice.
Quanto all’ulteriore doglianza con la quale si è chiesta che la qualificazione giuridica dei fatti fosse ricondotta all’ipotesi dell’omicidio plurimo in luogo della riconosciuta ipotesi di strage, si rinvia alle osservazioni svolte nella parte generale della motivazione in diritto nella quale si è stigmatizzato come l’obiettivo voluto (eliminazione di tutti gli avversari indiscriminatamente), le armi utilizzate, il luogo e l’orario prescelto per la strage, il numero dei killers, evidenziano come l’evento rappresentato, voluto e realizzato dai correi fu proprio quello del delitto previsto e puniti dall’art. 422 c.p..
3.12 Le doglianze proposte dai difensori di Ap.Ci. contengono un nucleo comune a quelle proposte da altre difese, e riguardanti la contestata attendibilità intrinseca ed estrinseca dei collaboratori, ed un nucleo autonomo riferito alla assenza di prova certa circa la sua partecipazione alla strage con un ruolo ben specifico. Quanto alle prime doglianze, con le quali si prospetta violazione di legge con riguardo alla disciplina dettata dall’art. 192 c.p.p., comma 3 ed illogicità e contraddittorietà delle motivazioni delle pronunce di condanna, va rilevato come i giudici di primo e secondo grado non siano incorsi in alcun travisamento della prova che risultano avere correttamente esposto nelle motivazioni delle sentenze impugnate; la specifica posizione processuale di Ap.Ci. è trattata a pagina 56 della sentenza di appello. Dall’analisi della suddetta parte motiva, che avendo confermato l’affermazione di responsabilità dell’imputato forma un unico corpo argomentativo con quella di primo grado, risulta che il ricorrente secondo plurime e concordi dichiarazioni accusatorie valutate dai giudici di merito, partecipa alla fase deliberativa in quanto presente nelle riunioni con i S. in occasione delle quali veniva stretta l’alleanza tra le famiglie secondo le dichiarazioni di S.C. del (OMISSIS) (sentenza di primo grado assise pp. 48-49 già esposta a proposito della posizione di Ap.Gi.); tali affermazioni trovano specifica conferma nelle affermazioni di S.G. del (OMISSIS) che lo indica presente nella fase in cui venne concluso l’accordo tra i due clan (p. 67 primo grado), S.G. del (OMISSIS) che lo indica tra uno dei soggetti incaricati del recupero dei killers (p. 58 cit.) già presente alla fase deliberativa (idem 58), S.P. che lo indica sia tra i partecipanti agli incontri in cui venne deliberata l’eliminazione degli uomini del clan avverso (idem p. 72) che tra uno degli incaricati del recupero dei killers (p. 73 idem).
Orbene, a fronte di tali molteplici e convergenti accuse, le doglianze difensive si sono basate essenzialmente sulla contestazione delle dichiarazioni dei collaboratori riguardanti la partecipazione dell’ Ap.Ci. alla fase del recupero dei killers perchè le sentenze di merito sarebbe illogiche e contraddittorie per non avere valutato che la fonte diretta di tale frazione di condotta, e cioè S.V., il quale operava personalmente in tale fase ed in quei luoghi unitamente ai coimputati Sc. e Ca., non ha indicato nè Ap.Ci. nè G. tra i presenti all’arrivo dei killers dopo l’esecuzione della strage nel luogo convenuto. Si è così sostenuto, con argomentazione comune alla posizione del ricorrente Ap.Ge., che le pronunce di merito avrebbero fatto cattivo uso delle regole in tema di valutazione delle chiamate di correità poichè nel caso specifico la fonte diretta, e cioè S.V., smentirebbe la ricostruzione dei fratelli che dallo stesso avrebbero appreso le modalità di quegli specifici fatti.
Le doglianze proposte paiono però non fondate soccorrendo al proposito le argomentazioni esposte dai giudici di merito ed in particolare dalla pronuncia di primo grado alle pagine 32-33 della motivazione, nella parte in cui viene analiticamente descritta la c.d. fase del recupero dei killers e delle armi; la Corte di Assise, ripercorrendo le dichiarazioni di S.V. ha riferito che questi ebbe a recarsi unitamente a Sc. e Ca. nel luogo prefissato per l’incontro con i killers dopo l’esecuzione della strage a bordo di una Fiat 126, che i killers una volta giunti, a bordo di una sola vettura perchè l’altra non era partita, consegnarono le armi ai predetti Sc. e Ca., che dal posto si allontanò con il cugino C. e gli altri due. Lo stesso S. V. ha poi precisato, secondo la motivazione di primo grado, con riferimento idoneo a disarticolare le specifiche doglianze dei ricorrenti Ap.Ci. e G., che quanto alla presenza dei barresi sul posto con la stessa funzione di appoggio, a domanda della Corte, ha chiarito che al recupero dei killers barresi avevano provveduto gli alleati autonomamente con una propria vettura..l’autovettura predisposta dai barresi era già li sul posto e non ha indicato la presenza di alcuno sul posto i componenti del commando di provenienza barrese si erano allontanati con l’autovettura predisposta sul luogo stabilito (vedi pagina 33 sentenza di primo grado). Ne consegue ritenere che non si ravvisa alcuna contraddizione insanabile poichè il ruolo di Ap.Ci. e G. fu evidentemente quello di predisporre un’auto a bordo della quale i killers provenienti da (OMISSIS) si allontanavano dal luogo della strage per fare rientro dal luogo di partenza e non anche quello di attendere personalmente il loro arrivo per fornire assistenza come invece fatto a vantaggio di S.C. detto il (OMISSIS) da parte di S.V., Sc. e Ca.. Sul punto, pertanto, non si ravvisa contraddittorietà di motivazione poichè i riferimenti dei testi de relato riguardano non un incontro personale di S.V. con gli Ap. ( G. e C.), quanto la partecipazione di questi due a quella fase che potè essere assicurata anche tramite la predisposizione dell’auto a bordo della quale fuggire; tale soluzione prescelta, contemporaneamente dava la possibilità ai predetti Ap. di precostituirsi un alibi ed evitare di essere coinvolti direttamente, circostanza questa confermata dalla condotta di Ap.Ge. che venne sostituito nel ruolo di conducente di una delle auto dei killers e componente del commando.
Analogamente deve ritenersi quanto al dedotto contrasto circa la partecipazione di Ap.Ci. alla fase deliberativa; appare infatti evidente che non vale sul punto evidenziare con contenuto decisivo le dichiarazioni di chi come S.V. aveva in quel frangente temporale un ruolo ancora secondario a livello deliberativo- criminale stante la sua giovane età e per tale considerazione ebbe modo di partecipare solo saltuariamente alla fase in cui venne stretta l’alleanza sicchè, è ben possibile che in quella unica o in quelle sparute occasioni della sua saltuaria partecipazione, non ebbe modo di vedere presente Ap.Ci..
Non si ravvisa pertanto alcuna contraddizione insanabile ed i giudici di merito appaiono avere fatto corretto uso dei principi in tema di valutazione delle chiamate; peraltro, va ancora ricordato, che il coinvolgimento di Ap.Ci. è pacifico nella fase deliberativa della strage sotto il profilo del concorso alla decisione di procedere alla eliminazione di tutti gli avversari sul campo. Valgono sul punto le argomentazioni già precedentemente svolte alle quali si aggiungono le chiamate di correità e reità formulate da altri collaboratori ed in primo luogo dal M. (vedi pag. 100), che lo indica chiaramente tra i partecipi alla strage ed anche da C. R. il quale riferisce che durante la faida scoppiata a seguito dell’eliminazione del D. e culminata proprio nella strage del (OMISSIS) anche Ap.Ci. e G. erano alleati dei S..
Appare pertanto evidente che le accuse a carico dell’imputato provengono anche da collaboratori estranei al nucleo S. sicchè non può ritenersi che tutti detti soggetti siano animati da astio e rancore nei suoi confronti e deve affermarsi correttamente valutata la convergenza del molteplice.
La presenza di molteplici accuse provenienti da soggetti differenti, con autonomi percorsi collaborativi, elide tutti i motivi con i quali si è dedotta contraddittorietà della motivazione e violazione di legge con riguardo alla attendibilità intrinseca, tema già scandagliato nella parte introduttiva della presente motivazione e per il quale valgono anche le specifiche argomentazioni svolte con riferimento ad Ap.Gi..
Quanto alle ulteriori doglianze con le quali si è lamentato la violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. b) ed e) con riguardo alla mancata valutazione nella determinazione della pena del minimo contributo al fatto offerto dal ricorrente, della realizzazione di un fatto diverso da quello in effetti voluto dallo stesso, della non ricorrenza delle aggravanti del numero delle persone e comunque della mancata individualizzazione della pena in concreto inflitta, valgono in primo luogo le osservazioni in precedenza svolte con riferimenti di carattere generale valenti per tutte le posizioni processuali.
Certamente corretta appare la decisione di merito nella parte in cui escludeva qualsiasi secondario rilievo del ruolo di Ap.Ci., risultato presente sia alla fase deliberativa che a quella esecutiva, sicchè mai potrebbe ritenersi il minimo contributo al fatto, peraltro escluso dal numero dei partecipi e quindi dalla particolare predisposizione di un accurato piano criminale. Ampie e prive di contraddizioni si ravvisano poi le argomentazioni in punto di circostanze aggravanti esattamente riconosciute proprio in ragione delle particolari modalità di consumazione dei fatti; quanto alla determinazione della pena, la ripetuta presenza dell’imputato alle fasi determinanti del delitto appare adeguatamente presa in considerazione dai giudici di merito che hanno ripetutamente e concordemente riferito della estrema gravità del delitto portato a termine, senza che rilievo possa avere l’età (18 anni) dell’imputato al punto da differenziarne la posizione rispetto agli altri correi.
3.13 La difesa di Ap.Ge., con i motivi principali e quelli aggiunti, ha innanzi tutto contestato la mancata precisa individuazione da parte dei giudici di merito di riunioni deliberative cui aveva partecipato l’imputato, fornendo un proprio concreto contributo alla realizzazione del piano criminale nonchè la mancata qualificazione della condotta nei termini della desistenza volontaria per avere lo stesso volontariamente rinunciato al compito di autista di una delle auto dei killers. Le doglianze esposte con i predetti motivi sono infondate, avendo i giudici di merito correttamente fatto governo del materiale probatorio acquisito nel corso dell’istruttoria di primo grado adeguatamente utilizzato;
nell’analizzare la posizione del predetto ricorrente viene evidenziato dalle Corti di assise di primo e secondo grado (pag. 59 seguenti sentenza di appello), come anche Ap.Ge. abbia partecipato alla fase deliberativa in quanto presente alle riunioni svoltesi con i componenti del clan S. in occasione delle quali veniva stretta l’alleanza tra le famiglie unitamente a Ap. G. e C.; tale dato si ricava dalle dichiarazioni di S. C. del (OMISSIS) (riportate alle già citate pagine 48-49 della pronuncia di primo grado), il quale nel riferire del piano stragista afferma espressamente che: L’idea fu da subito di eliminarli tutti, il posto fu individuato nel bar (OMISSIS) ove erano soliti radunarsi, una volta scelto l’obiettivo operativo si decise di affidarne l’esecuzione ai barresi, per evitare che gli esecutori venissero riconosciuti. Quindi si organizzarono diversi incontri a (OMISSIS) cui parteciparono Ap.Gi., Ap.Ci., Ap.Ge. e A.V.. Secondo il piano stabilito il commando doveva essere formato da sei persone divise su due autovetture. Inoltre, S.C., aggiunge che detto imputato aveva anche partecipato alla fase esecutiva (sent. cit. p. 49) quando all’ultimo momento decideva di non comporre il commando dei killers ma di partecipare alla fase del c.d. recupero delle armi e dei correi. La principale chiamata proveniente dal vertice pro tempore di quell’efferato gruppo camorristico che con l’azione criminosa intendeva assumere il vertice delle attività criminali di (OMISSIS), trova conferme ed autonome accuse nelle affermazioni di S.G. del (OMISSIS) che lo indica tra i componenti del commando (vedi sentenza primo grado assise p. 67) e riferisce di averlo incontrato anche nella fase in cui venne concluso l’accordo tra i due clan (idem 67), di S.G. del (OMISSIS) che lo inserisce tra i referenti del gruppo Ap. che partecipava ad incontri organizzativi e tra i componenti del commando (idem p. 58), di S.P. che lo indica presente agli incontri deliberativi (sentenza di primo grado assise p. 72) ed anche partecipante alla fase del recupero (idem 73), di S.L. che lo indica tra i partecipanti agli incontri organizzativi (sentenza di assise p. 79).
Inoltre lo indicano come componente del gruppo Ap. che concluse l’alleanza con i S., C.R. ed anche il M. (vedi pag. 100 sentenza di primo grado), che lo indica tra gli autori della strage affermando espressamente che gli esponenti del clan che presero parte all’esecuzione della strage erano Ap.Gi., Ap.Ge., Ap.Ci., A.V., P. P. ed altri soggetti non imputati. Tali essendo le risultanze può dirsi acclarato da parte dei giudici di merito, con giudizio conforme ed esattamente ricavato dalle emergenze istruttorie costituite dalle propalazioni di molteplici collaboratori anche provenienti da esperienze ed ambienti differenti, che Ap. G. certamente prese parte alle riunioni nelle quali veniva deliberato l’attacco indiscriminato a tutti i componenti del clan A..
Fatta questa necessaria precisazione che elide il motivo con il quale si lamenta la mancata individuazione delle riunioni deliberative, posto che il racconto dei collaboranti sul punto è concorde e privo di smentite, va poi ricostruito quanto posto in essere dal predetto ricorrente il pomeriggio dell’11 novembre 1989. Secondo le concordi ricostruzioni contenute nelle pronunce di merito, Ap.Ge., dopo la convocazione ricevuta da S.C. detto il (OMISSIS), quel pomeriggio, si recò presso il (OMISSIS) nei locali della scuola abbandonata unitamente agli altri killers barresi trasportando anche alcune delle armi poi utilizzate per la strage;
qui giunto, e dopo avere incontrato proprio i S. insieme ai quali si stabiliva di passare immediatamente all’azione e di portare l’attacco al bar (OMISSIS) a quell’ora frequentato da numerosi pacifici soggetti del tutto estranei a quelle logiche di feroce contrasto malavitoso, il ricorrente insisteva per essere sostituito nel ruolo di autista di una delle vetture e la sua opposizione faceva si che questo ruolo venisse poi svolto da altro imputato, S. C. il c.d. (OMISSIS), classe (OMISSIS), il quale poi si poneva alla guida di una delle macchine a bordo delle quali viaggiavano i killers camuffato da un passamontagna. Tuttavia, ben lungi dal desistere dall’azione, alla quale peraltro aveva già apportato un suo più che rilevante contributo sia nella fase preparatoria e deliberativa dell’alleanza con i S. che in quella esecutiva giungendo insieme agli altri killers a bordo dell’auto in possesso delle armi presso il rione (OMISSIS), Ap.Ge., insieme a Ap.Ci., decideva di occuparsi della fase del c.d. recupero e cioè di fornire un ulteriore contributo alla fase di materiale compimento della strage permettendo la salvezza dei killers e la fuga degli stessi a bordo di un’auto pulita.
Tale essendo stata la sua condotta, così come riferita concordemente dalle dichiarazioni riportate nelle pronunce di merito in precedenza richiamate, le doglianze con le quali si è sostenuta la tesi della desistenza appaiono davvero totalmente infondate e sono già state respinte con adeguata motivazione dalla pronuncia di appello (vedi pagina 60-61); non soltanto Ap.Ge. non ha posto in essere alcuna desistenza mutando il proprio ruolo nella fase esecutiva ma, anzi, ha continuato a permettere il perfezionamento del gravissimo delitto assicurando il proprio contributo ai killers. Egli quindi partecipa sia alla fase ideativa del crimine che a quella esecutiva ed a nulla vale la risoluzione di non prendere parte quale componente del commando poichè detta condotta in alcun modo servì ad interrompere l’azione criminosa ovvero ad elidere il proprio personale contributo alla stessa assicurato.
Quanto ai motivi con i quali si è lamentato la evidenza della prova della sua assenza dal luogo del recupero, valgono le medesime osservazioni già svolte con riferimento alla posizione di Ap. C.; alla presenza di S.C. detto il (OMISSIS), A. G. e C. si assumono il ruolo di intervenire per riportare i killers di (OMISSIS) nel loro quartiere ed alla partenza del commando i vari gruppi si dividono. Quando S.V., unitamente a Sc.Ro. e Ca., si reca sul luogo del recupero, dopo che questi ultimi due imputati avevano avuto modo di recarsi a sottoscrivere il registro delle firme della locale stazione dei C.C. precostituendosi anche un alibi, non trova nè Ap.Ge. nè C. ma l’autovettura pulita che questi avevano predisposto per la fuga dei killers dal luogo del delitto poi puntualmente utilizzata per allontanarsi dal quartiere (OMISSIS). Tali risultanze sono state conformemente analizzate e correttamente valutate dai giudici di merito nei due gradi di giudizio conclusi con conformi decisioni di condanna. La dedotta assenza dal luogo del recupero di killers a sostegno della tesi difensiva è pertanto un elemento assolutamente non decisivo e che viene travisato nei motivi di ricorso; Ap. C. e G., secondo le dichiarazioni rese da S.V. riportate a pagina 33 della sentenza di assise, non erano sul posto perchè avevano già lasciato la vettura che doveva essere utilizzata dai correi ed, evidentemente, avevano fatto rientro nel rione ove risiedevano anche al fine di precostituirsi un alibi.
Quanto ai motivi con i quali si è dedotta violazione dell’art. 606, lett. b) ed e) per contraddittorietà ed illogicità della motivazione in ordine alla individuazione dei riscontri esterni individualizzanti alle chiamate di correità ed al mancato rilievo delle contraddizioni delle dichiarazioni dei collaboranti, valgono oltre le predette considerazioni quelle già svolte nella parte introduttiva della motivazione; le regole normative e giurisprudenziali in tema di valutazione delle chiamate di reità e correità dettate dall’art. 192 c.p.p. valevoli per le accuse provenienti da coimputati od imputati di procedimento connesso, non sono soltanto state riportate astrattamente dalle corti di merito ma anche correttamente applicate al caso in esame in cui Ap. G. viene concordemente accusato da una serie di collaboratori, alcuni dei quali del tutto estranei al nucleo della famiglia S..
Correttamente, pertanto, si evidenziava come non sia possibile attribuire tutte dette accuse a compresenti ed autonome ragioni di astio che avrebbero motivato tutti i collaboratori. Le dichiarazioni pertanto sono state correttamente analizzate prima e valutate poi e non si ravvisano le lamentate contraddizioni poichè i giudici di merito hanno fornito adeguata spiegazione delle ragioni delle lievi difformità; così, come ad esempio, non pare avere natura contraddittoria la dichiarazione del M. che invece conferma, attribuendo ad Ap.Ge. un ruolo di copertura (vedi pagina 100 sentenza primo grado), che lo stesso ebbe ad operare all’esterno del gruppo dei killers che materialmente portarono a termine l’eccidio.
La doglianza esposta con il quinto motivo, con il quale si è lamentato violazione dell’art. 606, lett. b) ed e) per omessa valutazione delle dichiarazioni dei testi della difesa è anch’essa infondata; il ricorrente al proposito ha evidenziato il contenuto dell’alibi fornito dalla deposizione del teste T. che sarebbe stato semplicisticamente liquidato dalla Corte di merito con riferimento alla possibile compatibilità degli orari. Orbene rileva questa Corte di legittimità che nessun errore appare contenere la pronuncia di secondo grado; infatti, la stessa, a pagina 62, contiene analitica esposizione delle dichiarazioni dei testi della difesa per trarne la logica conclusione che avendo detti testimoni fatto riferimento alla presenza dell’imputato in un circolo quando giungeva la notizia dell’agguato, dalla esecuzione dell’agguato al momento in cui la notizia dello stesso è giunta al circolo è intercorso un lasso di tempo apprezzabile che ha fornito ad Ap.Ge. la possibilità di raggiungere il Circolo e costituirsi un alibi.
Valutazione specifica e del tutto corretta che si sposa perfettamente con le già accertate modalità di partecipazione di Ap.Ci. e G. alla fase del recupero quando, piuttosto che attendere l’arrivo dei killers, predisponevano l’auto e si allontanavo prima dell’arrivo degli stessi proprio al fine di recarsi in quei luoghi ove i testimoni poi avrebbero potuto vederli.
Le doglianze con le quali si è chiesto il riconoscimento delle circostanze di cui agli artt. 114 e 116 c.p., basate su una ricostruzione difensiva secondo cui la scelta di portare a termine la strage doveva essere attribuita all’esclusiva volontà di S. C. e rappresentava un’evoluzione imprevedibile degli avvenimenti, sono già state oggetto di analisi e rigetto nella parte introduttiva motiva di questa decisione oltre che nelle analisi delle correlate posizioni processuali alle quali si rinvia. Basta osservare che anche Ap.Ge. partecipa alla fase in cui si deliberò la massiccia eliminazione degli avversari e che in alcun modo il suo contributo può ritenersi secondario vista la rilevanza criminale dello stesso nel suo gruppo familiare-camorristico, senza che si dimentichi la non operatività dell’attenuante di cui all’art. 114 c.p. in presenza della contestata aggravante; difatti ai sensi dell’art. 114 cit., comma 2, la predetta attenuante del contributo di minima importanza non si applica nei casi in cui ad agire, come nel caso in esame, siano state più di cinque persone.
Corretta appare poi la decisione di riconoscere la circostanza aggravante di cui all’art. 61 c.p., n. 1, avverso la quale insorge la difesa lamentando che la futilità dei motivi sarebbe stata valutata sulla base di un comportamento medio senza riferimento al particolare momento e contesto sociale di verificazione del fatto. La doglianza è infondata poichè è certamente abietto il motivo per il quale si porta a termine una strage, in parte di persone innocenti, al fine di imporre il dominio criminale in un quartiere popolare; se è infatti abietto il motivo turpe o ignobile che manifesti la perversità dell’agente, la realizzazione di un progetto di massiccia eliminazione degli avversari, a costo di sopprimere soggetti innocenti, posta in essere al fine di scompaginare le famiglia criminale avversa, rientra certamente nel parametro normativo di cui all’art. 61 c.p., n. 1. Il contesto sociale di verificazione del fatto certamente non può giustificare in alcun modo l’operato degli agenti ovvero far rivedere il giudizio sul punto operato dai giudici di merito.
Con riguardo poi ai motivi aggiunti depositati sempre nell’interesse di Ap.Ge., con i quali si deduceva violazione di legge ex art. 606 c.p.p., lett. e) per mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione e violazione di legge ex art. 606 c.p.p., lett. b) ed e) per travisamento della prova, si osserva che trattasi di motivi reiterativi di questioni già proposte ed analizzate con riguardo ai motivi principali e peraltro logicamente confutati dalle corti di merito con giudizio conforme. Non appare proprio che i giudici di merito abbiano fatto riferimento a formule di stile per superare le dedotte contraddizioni dei collaboratori che, con riguardo alla posizione di Ap.Ge., non assumono in alcun modo valore decisivo oltre a non apparire in alcun modo neppure evidenziabili. Il ruolo dell’imputato nella fase del recupero dei killers è già stato sviscerato e le doglianze aggiunte nulla aggiungono in concreto alle iniziali prospettazioni già analizzate, mentre, la dedotta supremazia di S.C. nell’assumere la decisione, non ha quel valore che gli attribuiscono i ricorrenti;
attribuire a tale soggetto l’esclusiva responsabilità della fase deliberativa della strage, il che non equivarrebbe ad escludere neppure la responsabilità di chi come Ap.Ge. interveniva anche in seguito durante l’esecuzione, significherebbe ribaltare i principi in tema di concorso di persone nel reato fondati sulla equivalenza dei singoli contributi causali posto che l’ipotesi di cui all’art. 110 c.p. non esige imprescindibilmente che tutti i concorrenti esplichino attività identiche o analoghe o insostituibili rispetto all’avveramento del fatto, essendo sufficiente che i diversi apporti si configurino in termini di funzionalità, utilità o maggiore sicurezza rispetto al risultato finale. L’applicazione dei suddetti principi deve certamente fare escludere che soggetti i quali risultano avere partecipato a plurime riunioni nelle quali veniva deliberata una strategia puramente stragista, pur se sotto la direzione di un capo come S.C., possano poi assumere di non avere prestato alcun contributo ai fatti.
3.14 Il ricorrente Ca.Ga. lamenta come dalle dichiarazioni di S.C. e S.G. (OMISSIS), non sarebbe emerso con chiarezza il ruolo concretamente svolto mentre l’unica fonte di accusa precisa, proveniente dalle dichiarazioni di S.V., che lo inseriva nel gruppo incaricato dell’occultamento delle armi, proveniva da soggetto animato da forte astio nei riguardi dello stesso Ca. come risultante dalla manifestata volontà di sopprimerlo. Inoltre, deduce come la partecipazione alla strage sarebbe comunque incompatibile con l’accertata osservanza dell’obbligo di firma alle ore 18.11 da parte del Ca.. Le doglianze sono infondate e devono pertanto essere respinte. Basta osservare, quanto alla dedotta inattendibilità intrinseca di S. V., che altro collaboratore, C.R. (vedi pag. 95 sentenza di assise primo grado) apprende la notizia sulla partecipazione del Ca. alla strage da S.V. in tempi anteriori la collaborazione di questi e durante il periodo di partecipazione comune alla famiglia camorristica. Il S., in quel frangente, non avrebbe potuto avere alcun interesse ad accusare falsamente il Ca. e tanto meno se intendeva eliminarlo poteva nuocere allo stesso muovendo una falsa accusa nei suoi riguardi ad altro accolito come C.; ciò dimostra che successivamente alla collaborazione quanto riferito da S.V. è circostanza di fatto dallo stesso appresa direttamente e spontaneamente riferita dal collaboratore. Ca., quindi, venendo accusato anche e del tutto autonomamente da altro collaboratore del tutto estraneo al nucleo S. come il C. non può efficacemente dedurre l’inattendibilità della fonte principale.
Quanto alle altre prove della sua partecipazione ai fatti, indicate a pagina 64 della motivazione della sentenza di appello, la dichiarazione principale di S.V. sul ruolo che Ca.
e Sc. ebbero nel recupero ed occultamento delle armi trova, non smentite come riferito in ricorso, bensì ulteriori conferme in quanto dichiarato da S.G. (OMISSIS) e S.P., poichè entrambi riferiscono di una sua attività nel recupero armi.
Il primo afferma che: a partecipare al recupero per il loro clan erano stati i suoi cugini V., Sc.Ro. e C. G.. Con loro avevano operato Ap.Ge. e C.; S. P. rende una analoga dichiarazione riferendo appunto che ad effettuare il recupero furono il fratello V., Sc. R. e Ca.Ga..
Inoltre, a carico del suddetto imputato, il quadro probatorio valutato conformemente dai giudici di merito senza illogicità o contraddizione alcuna, conta anche su quelle accuse che lo individuano presente già alla fase della riunione dinanzi la scuola prima dell’agguato, quando venivano distribuiti i compiti dopo l’arrivo dei killers da (OMISSIS), come riferito anche da S. G. classe (OMISSIS) la cui dichiarazione viene riportata dalla sentenza di primo grado nella parte in cui si afferma che costui tra le persone presenti alla fase organizzativa nella scuola ha indicato anche S.A., P.L. e Ca.Ga.; analoga accusa muove S.C. detto il (OMISSIS) (vedi pagina 49 sentenza assise primo grado) affermando che erano presenti anche Sc. R. e Ca.Ga..
Si è pertanto in presenza di un quadro del tutto convergente privo delle lamentate contraddizioni che individua nel Ca. uno dei componenti della banda criminale che decideva prima di procedere ad una massiccia eliminazione degli avversari e passava poi all’azione proprio il pomeriggio dei fatti con il concreto e fattivo contributo del ricorrente.
Con riguardo alla lamentata impossibilità di essere presente alla fase del c.d. recupero perchè impegnato a firmare il registro della caserma dei C.C., oggetto di autonomo motivo di ricorso, la circostanza pare adeguatamente scandagliata da entrambi i giudici di merito; la sentenza della corte di assise di primo grado (vedi p. 114) e la motivazione di appello (vedi p. 65) hanno dato atto con giudizio conforme e privo di illogicità che non vi è incompatibilità alcuna, posto che l’obbligo di firma risulta adempiuto alle ore 18.11 mentre l’ora della strage è fissata alle 18.40; inoltre i killers arrivarono dopo il completamento delle operazioni e la fuga dal bar (OMISSIS) sicchè il giudizio di fatto basato anche sulla vicinanza tra la caserma ed il luogo del recupero non può essere sindacato in questa fase di legittimità proprio perchè privo di aporie e contraddizioni.
Con ulteriore motivo la difesa ricorrente ha dedotto l’errata qualificazione giuridica dei fatti dovendo la condotta del Ca.
ricondursi all’ipotesi di cui all’art. 378 c.p.. Anche tale doglianza appare non fondata ed adeguatamente respinta nella sentenza di secondo grado con le valutazioni espresse a pagina 69; si osserva infatti che il coinvolgimento del Ca. nelle attività della famiglia camorristica dei S., già precedenti l’esecuzione della strage e la sua presenza sul luogo costituente la base operativa del clan criminale prima della partenza del commando, devono fare ritenere concretamente e volontariamente prestato un contributo al delitto di cui all’art. 422 c.p.. Non è integrabile l’ipotesi del favoreggiamento perchè il Ca. e lo Sc. presenziano alle operazioni già da prima la partenza dei killers per la perpetrazione dell’agguato e intervengono dopo con un ruolo specifico e previamente programmato, nella fase di distribuzione dei compiti; vi è quindi concorso nel delitto presupposto e non aiuto prestato successivamente alla fase esecutiva del gravissimo episodio.
Quanto alle richieste subordinate, il rigetto delle circostanze attenuanti generiche è adeguatamente motivato con argomentazioni non sindacabili nella presente fase di legittimità (vedi p. 69 sentenza di appello), facendo riferimento alla negativa personalità dell’imputato desumibile da plurime condanne per fatti commessi anche in epoca prossima la consumazione della strage.
3.15 I motivi di ricorso proposti dall’imputato Sc.Ro., anch’egli condannato alla pena dell’ergastolo con decisione conforme dei giudici di primo e secondo grado, ricalcano in parte alcune questioni già affrontate nella motivazione riguardante il Ca.
e tale dato ha una sua logicità perchè entrambi sono accusati di avere partecipato alla famiglia camorristica S. ed in tale vece, prima, presenziato all’arrivo dei killers da (OMISSIS) il pomeriggio dell’11 novembre 1989, poi, partecipato ancora alla distribuzione dei compiti ed infine eseguito la fase del c.d. recupero delle armi e dei killers recandosi unitamente a S.V. al luogo prefissato per l’appuntamento dove prelevavano S.C. e provvedevano a nascondere le armi.
Il ricorrente lamenta che l’indicazione accusatoria principale proveniente da S.V., soggetto animato da forte astio, sarebbe contraddetta da S.G. (OMISSIS) e S.C. circa il ruolo dello Sc. e l’avvenuta ricezione delle armi dopo il compimento della strage. Ancora, al proposito, evidenzia le incertezze di S.V. circa il luogo di occultamento delle armi che avrebbero potute essere fugate solo da adeguata ispezione dei luoghi; inoltre deduce un contrasto tra l’asserita partecipazione al fatto ed il rispetto dell’obbligo di firma.
Si tratta di argomenti già in buona parte approfonditamente analizzati e respinti con riguardo alla posizione Ca.; innanzi tutto non vi è modo di dubitare della veridicità delle dichiarazioni di S.V. poichè le stesse oltre ad essere confermate anche da altri collaboratori di quel clan familiare sono state confermate da chi come C.R. aveva appreso della partecipazione dello Sc. ai fatti in una fase temporale ben antecedente l’inizio della collaborazione; sul punto si rinvia alla motivazione della sentenza di primo grado a pagina 94 ove viene appunto riferito che C. apprendeva della responsabilità di Sc. in anni ben antecedenti l’inizio della collaborazione con la giustizia di S.V. e quando lo stesso non poteva certo pensare di attuare una vendetta riferendo circostanze non veritiere, rappresentando invece ad un altro associato della sua famiglia che la particolare posizione di Ca. e Sc. in quel momento ritenuto non fedele alla famiglia S., era dovuta al fatto che gli stessi erano a conoscenza del grave fatto delittuoso del 1989 e dei suoi autori. La doglianza è poi sganciata da ogni ricostruzione temporale poichè appare del tutto inverosimile ritenere che S. V. abbia covato un proposito vendicativo per così tanto tempo senza metterlo in atto ed abbia poi accusato falsamente dei soggetti a distanza di oltre 20 anni dai fatti. E così quando il C. afferma che gli era stato riferito direttamente da S.V. che, nell’occasione, Ca. e Sc.Ro. avevano svolto il ruolo di occultamento delle armi dopo il compimento della strage (sentenza primo grado p. 94), fa riferimento ad una notizia appresa in un momento temporale nel quale nessun interesse aveva S. V. a riferire circostanze non vere ad un coassociato circa la condotta posta in essere da Sc. diversi anni prima.
Quanto alla lamentata assenza di motivazione sul profilo specifico riguardante la valutazione di attendibilità intrinseca di S. V., in relazione ai contrasti personali insorti tra questi e lo Sc. al proposito della consegna di una partita di sostanza stupefacente di due chili di cocaina (punto 2.2 del ricorso), ritiene questa Corte dovere richiamare l’orientamento secondo cui in sede di legittimità, non è censurabile una sentenza per il suo silenzio su una specifica deduzione prospettata con il gravame, quando risulti che la stessa sia stata disattesa dalla motivazione della sentenza complessivamente considerata (Sez. 1, Sentenza n. 27825 del 22 maggio 2013, Rv. 256340); e nel caso in esame la Corte di assise di Napoli procede a pagina 49 della impugnata sentenza ad un’analisi delle questioni riguardanti la credibilità intrinseca dei dichiaranti, ed anche del S.V., svolgendo argomentazioni che implicitamente disattendono quelle deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata. Difatti il giudice di appello sottolinea come l’ipotesi delle dichiarazioni motivate da rancore nei confronti degli Ap. sia da sgombrare ove si consideri che i componenti del clan passati tra le fila dei collaboratori, e quindi anche S. V., hanno ammesso la propria responsabilità pur non avendo personalmente partecipato all’azione di fuoco, hanno coinvolto congiunti in età giovanile ovvero anche chi era detenuto al momento di perpetrazione della strage, hanno ammesso responsabilità per fatti gravissimi pur non essendo mai stati condannati per omicidio.
Si tratta di argomentazioni che seppure dettate con specifico riferimento alle doglianze mosse da imputati riconducibili al gruppo Ap., i quali avevano progettato l’eliminazione di S. V., valgono, a maggior ragione, per chi come lo Sc. aveva avuto quale ragione di conflitto una questione in materia di sostanze stupefacenti sicchè la motivazione può ritenersi essere stata comunque implicitamente adottata nel senso di respingere le specifiche ragioni di gravame. Se S.V. viene ritenuto credibile con riferimento alle accuse mosse nei confronti di chi come gli Ap.- A. aveva pure progettato di eliminarlo durante la fase della collaborazione criminale tra le famiglie camorristiche, non vi è ragione di escludere detta credibilità anche per coloro i quali possano avere avuto altre ragioni di contrasto come lo Sc. motivate da relazioni criminali ormai abbandonate e recise con la scelta di collaborare.
Si è già dedotto come non vi è poi incompatibilità tra l’osservanza dell’obbligo di firma e la partecipazione alla fase del recupero, trattandosi di circostanza adeguatamente spiegata dai giudici di merito con valutazione conforme e di fatto basata sulla differenza oraria tra la presenza in caserma e l’ora della strage fissata alle 18.40 che avrebbe permesso di spostarsi tra due luoghi contigui o comunque limitrofi. Quanto alle doglianze proposte con riferimento ad attendibilità ed individuazione dei riscontri, i giudici di merito hanno evidenziato come la chiamata di correità principale, costituita certamente dalla ricostruzione dei fatti operata da S.V., non sia in contraddizione nè con le dichiarazioni di S.P. che lo indica sempre come soggetto che partecipa alla fase del recupero immediatamente successiva l’esecuzione strage (vedi pagina 74 sentenza di primo grado assise) nè con quelle di S.G. del (OMISSIS) (vedi 67-68 assise primo grado) e di S.G. (OMISSIS) che lo indicano come addetto al recupero armi (sentenza di assise pagina 64). Inoltre, S. C. detto il (OMISSIS), lo indica anch’egli presente il pomeriggio (pagina 49 assise primo grado) insieme al Ca. già ad attendere l’arrivo dei barresi dinanzi la scuola e tale affermazione per il particolare ruolo criminale allora svolto da detto soggetto ha certamente valore assai rilevante poichè definisce le attività dello Sc. in termini di chiara cooperazione alla fase organizzativa ed esecutiva della strage. Dall’analisi congiunta di tale dichiarazioni, i giudici di merito ricavavano l’assenza di contraddizioni in quanto tutti i collaboratori lo indicano operare in stretta cooperazione con lo stesso coimputato Ca. ed intervenire subito dopo la strage al fine di assicurare l’impunità dei killers. Il fatto poi che taluno lo abbia indicato addetto al recupero dei killers altri a quello delle armi, consegnate dagli stessi, non evidenzia una contraddizione rilevante che pare giustamente omessa dai giudici di merito poichè si tratta delle ricostruzione degli stessi momenti immediatamente successivi l’esecuzione del delitto.
Con ulteriori doglianze sono state proposte questioni riguardanti l’attendibilità intrinseca ed estrinseca dei collaboratori che hanno già trovato risposta nella parte introduttiva della presente motivazione e che non trovano fondamento posto che i giudici di merito appaiono avere operato un corretto uso dei criteri normativi e giurisprudenziali procedendo alla valutazione della credibilità di ogni dichiarante e poi alla individuazione dei riscontri esterni, ricercati per ciascuna posizione processuale ed anche per lo Sc. accusato oltre che dai S. anche da altri soggetti estranei a detto nucleo familiare e rispetto ai quali non è nè concretamente provata nè possibile prospettare che astio od altra ragione possano avere motivato riferimenti menzogneri. Ricapitolando, le affermazioni di S.V. sul ruolo che Ca. e Sc. ebbero nel recupero ed occultamento delle armi, trova una prima conferma nelle affermazioni del C. ed ulteriori riscontri nelle dichiarazioni di S.G. classe (OMISSIS) secondo cui a partecipare al recupero per il loro clan erano stati suo cugini V., Sc.Ro. e Ca.Ga.. Con loro avevano operato Ap.Ge. e C. e di S.P. a detta del quale ad effettuare il recupero furono il fratello V., Sc.Ro. e Ca.Ga.. Il compendio probatorio, peraltro confermato dalla acclarata e riconosciuta partecipazione di Sc. a quel clan criminale, è costituito da molteplici e convergenti dichiarazioni adeguatamente e correttamente valutate.
Infine si è lamentata violazione dell’art. 606, lett. b) ed e) sotto il profilo dell’omessa motivazione in punto di mancata concessione delle attenuanti generiche; la motivazione appare adeguatamente esposta a pagina 70 della gravata sentenza di appello ove si da atto che con la sua partecipazione ed il personale contributo l’imputato ha reso possibile l’esecuzione di un gravissimo delitto di sangue operato nell’interesse di una famiglia camorristica cui pure apparteneva. Non sussiste pertanto alcuna violazione di legge ovvero difetto di motivazione sul punto avendo il giudice del merito fatto adeguatamente riferimento a criteri oggettivi riguardanti la particolare gravità del fatto.
3.16 Tali valutazioni devono portare peraltro alla reiezione di tutte quelle istanze subordinate con le quali i ricorrenti hanno dedotto difetto di motivazione in punto di attenuanti in genere e di circostanze ex art. 62 bis c.p., in particolare. L’avere contribuito ciascuno di loro a portare a termine un’efferata strage all’esito della quale venivano eliminate anche diverse persone innocenti, già programmata con effetto devastante e tale da dovere scompaginare le cosche avverse, esclude ogni difetto di motivazione delle sentenze di primo e secondo grado sul punto poichè la particolare gravità dei fatti, che concordemente i giudici di merito sottolineano, è già significativa di una elevatissima pericolosità a fronte della quale corretta appare l’esclusione delle invocate attenuanti.
Alla luce delle suesposte considerazioni i ricorsi proposti negli interessi degli imputati giudicati colpevoli all’esito dei giudizi di primo e secondo grado devono essere respinti e gli stessi condannati al pagamento delle spese processuali.
Inoltre, tutti gli imputati, vanno condannati in solido alla refusione delle spese sostenute in questo grado dalle parti civili D.N.M. e D.N.A. che si liquidano in Euro 3850 oltre spese forfettarie, cpa e iva e dalle parti civili G. N., G.M., D.C.P., D.C. C. e D.C.M. che si liquidano in Euro 4200 oltre spese forfettarie, cpa e iva.
P.Q.M.
In accoglimento del ricorso del Procuratore Generale annulla la sentenza impugnata nei confronti di S.G. nato il (OMISSIS), S.G. nato il (OMISSIS), E.G., S. L., S.P. e S.V. con rinvio ad altra sezione della Corte di Assise di Appello di Napoli;
rigetta gli altri ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali nonchè in solido alla refusione delle spese sostenute in questo grado dalle parti civili D.N.M. e D. N.A. che liquida in Euro 3850 oltre spese forfettarie, cpa e iva e dalle parti civili G.N., G.M., D.C.P., D.C.C. e D.C.M. che liquida in Euro 4200 oltre spese forfettarie, cpa e iva.
Così deciso in Roma, il 11 febbraio 2016.
Depositato in Cancelleria il 12 aprile 2016.