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La Corte di Cassazione sulla inconciliabilità fra reato continuato e causa di non punibilità ex art. 131 bis c.p.

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Palais de Justice Rome Cour suprême de cassation

La Corte di Cassazione sulla inconciliabilità fra reato continuato e causa di non punibilità ex art. 131 bis c.p.

Con sentenza del 14/02/2017 n. 6870 la III Sezione della Corte di Cassazione è intervenuta sul ricorso proposto dal gestore di un’officina meccanica, condannato alla pena, condizionalmente sospesa, di euro 2.000,00 di ammenda, per avere commesso il reato di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 1.

In particolare, l’uomo, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, aveva svolto attività illegale di gestione di rifiuti speciali pericolosi e non pericolosi, costituiti da parti di autoveicoli danneggiati oggetto di sostituzione. Avverso la sentenza di condanna lo stesso proponeva ricorso per cassazione lamentando violazione di legge e vizio di motivazione, sia per l’omessa qualificazione del fatto contestatogli fra quelli di particolare tenuità ai sensi dell’art. 131 bis c.p., sia per la determinazione della sanzione concretamente irrogata.

I giudici di legittimità sono stati preliminarmente investiti del quesito relativo al se, non avendo la parte che vi aveva interesse dedotto alcunchè in ordine alla possibile qualificazione del fatto contestato nei termini della particolare tenuità, nel corso della precedente fase di merito del giudizio, fosse consentito alla stessa di dolersi del fatto che il giudice del merito non si fosse autonomamente interrogato in relazione alla qualificabilità o meno del fatto contestato entro i confini della particolare tenuità, disponendo d’ufficio il proscioglimento del prevenuto ai sensi dell’art. 131 bis c.p.

Sul punto, confermando i più recenti orientamenti delle Sezioni Unite (rif. SS.UU. n.46653/2015), hanno evidenziato che, qualora non sia stato possibile proporlo in grado di appello, in quanto introdotto da disposizione all’epoca non ancora vigente, “il tema afferente all’applicabilità dell’istituto della non punibilità per particolare tenuità del fatto può essere dedotto in sede di legittimità ed ivi può essere altresì rilevato ex officio ai sensi dell’art. 609, co. 2, cod. proc. pen., pur in caso di ricorso inammissibile”.

La natura sostanziale della disposizione introdotta e l’evidente disciplina più favorevole per l’imputato che essa reca, infatti, non solo ne comportano l’estensione a tutte le fattispecie, sia pure verificatesi in epoca antecedente al novum legislativo, salvo i limiti di cui all’art. 2, co. 4, cod. pen., ma ne impongono, trattandosi di disposizione che incide direttamente sulla punibilità della condotta e, pertanto, su diritti in ipotesi indisponibili del soggetto quale quello inerente alla sua libertà personale, la valutazione ex officio da parte del giudicante, in qualsiasi fase e stato del giudizio, salva la eventuale formazione del giudicato, anche implicito, idoneo ad escludere la qualificazione del fatto in termini di particolare tenuità.

Tuttavia, la Corte ribadisce che “se la questione non è stata esaminata in sede di primo grado e, dunque, non ha formato oggetto di gravame, la medesima non potrà essere sollevata ex novo sotto il profilo della omessa motivazione o, comunque, come violazione di legge ai sensi dell’art. 606, lett. b), cod. proc. pen., trattandosi di questione ormai divenuta, per effetto della acquiescenza sul punto dell’appellante alla decisione del giudice di primo grado, irrevocabile anche ai sensi e per gli effetti dell’art. 2, co. 4, cod. pen.”

In una fattispecie come quella in esame, inoltre, l’obbligo motivazionale gravante sul giudice deve ritenersi assolto, non solo quando questi apertamente escluda la sussistenza della causa di non punibilità de qua, ma anche quando siffatta esclusione sia desumibile dal complessivo iter motivazionale seguito.

Ebbene, proprio in considerazione del complessivo contesto della decisione assunta dal giudice di merito, la Corte ricorda che affinché il fatto lesivo del bene giuridicamente protetto dalla norma incriminatrice possa essere qualificato come di lieve entità devono sussistere le condizioni negative tassativamente indicate dall’art. 131 bis c.p. Tra di esse viene in rilievo, in particolare, quella della non abitualità della condotta, chiarendo che il comportamento è abituale quando è relativo a reati aventi ad oggetto condotte reiterate e, cioè, laddove si sia al cospetto di una ripetizione di reati connotati dalla medesima condotta.

Alla luce del dato normativo esposto deve concludersi per l’inconciliabilità della causa di non punibilità di cui al citato art. 131bis c.p. con il reato continuato omogeneo, atteso che quest’ultimo è costituito proprio dalla reiterazione della medesima condotta penalmente illecita finalizzata al perfezionamento di un unitario disegno criminoso.

Per tutto quanto esposto, la Corte ha ritenuto priva di vizi di motivazione la sentenza emessa dal giudice di merito, che non avrebbe omesso di verificare se il fatto contestato al ricorrente potesse essere inquadrato nell’ambito delle ipotesi di particolare tenuità, giacché, trattandosi di reato contestato come illecito continuato, esso deve ritenersi ontologicamente esulante dalla fattispecie di cui all’art. 131bis c.p., senza che sia necessaria una motivazione sul punto.