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Quando la truffa aggravata sfocia nella malversazione, brevi riflessioni in tema di concorso di reati.

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Palais de Justice Rome Cour suprême de cassation

Quando la truffa aggravata sfocia nella malversazione, brevi riflessioni in tema di concorso di reati. (Cassazione Penale, Sezioni Unite, 28 aprile 2017, n. 20664)

Con la sentenza in epigrafe le SS.UU. penali hanno definitivamente chiarito che il reato di malversazione in danno dello Stato (art. 316 bis c.p.) concorre con quello di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche (art. 640 bis c.p.).

La pronuncia delle SS.UU. origina da una vicenda giudiziaria avente ad oggetto la condotta di sottrazione dei beni strumentali acquistati con finanziamenti agevolati ed il correlativo mancato pagamento delle rate residue allo scioglimento della società; tale condotta dai giudici di prime cure è stata ritenuta integrante la fattispecie di cui all’art.316 bis c.p. e la sentenza è stata confermata in appello.

I difensori delle imputate ricorrevano per Cassazione, deducendo – tra gli altri – la violazione della legge penale e il vizio della motivazione in relazione alla mancata applicazione dell’art. 640 bis c.p., asserendo che il reato di cui all’art. 316 bis c.p. ha natura sussidiaria rispetto a quello di truffa aggravata ex art. 640 bis c.p., essendo i due comportamenti espressione di identica offesa al bene giuridico tutelato.

I giudici di legittimità, nell’esaminare la questione hanno a giusta ragione riassunto i due contrapposti orientamenti giurisprudenziali sul rapporto tra i due reati.

Orbene, per la prima ricostruzione, si escluderebbe un rapporto di specialità tra i due reati e si ritiene ammissibile il concorso delle fattispecie in virtù della mancanza di identità degli interessi protetti; l’eventuale concomitanza dei due comportamenti, l’uno preso in considerazione dalla truffa, antecedente al conseguimento dei fondi pubblici e riguardante la fase percettiva della provenienza economica, in cui la previsione del reato è funzionale alla tutela del patrimonio pubblico, l’altro, punito ex art. 316 bis c.p., successivo a tale momento e riguardante la fase esecutiva del progetto finanziato, limitata a tutelare l’interesse pubblico che l’erogazione intende perseguire. Pertanto, alla luce di tale ricostruzione, non vi sarebbe alcun rapporto di specialità tra le due fattispecie, ma anzi una vera e propria ipotesi di concorso di reati.

Secondo l’opposta interpretazione, invece, non avrebbe alcun rilievo la diversa collocazione temporale della consumazione dei due reati, posto che il problema sorge proprio quando la diversa destinazione dei beni viene impressa allorchè l’erogazione venga conseguita con artifizi e raggiri, prospettandosi in tal caso una ipotesi di concorso apparente di norme. Alla luce di quest’ultima considerazione, non sarebbe corretto sanzionare due comportamenti offensivi dello stesso bene, essendo il diverso impiego del finanziamento una normale conseguenza del conseguimento dell’erogazione a seguito di artifici e raggiri.

Per entrambe le interpretazioni suesposte non vi sarebbe alcun rapporto di specialità tra le fattispecie ex artt. 316 bis c.p. e 640 bis c.p.

La Suprema Corte prende atto dell’ampio e risalente dibattito in dottrina tendente ad ampliare il concorso apparente di norme alle figure dell’assorbimento, della consunzione e dell’ante-fatto o post-fatto non punibili, ma ribadisce che tali classificazioni sono prive di sicure basi ricostruttive poiché individuano elementi incerti quale dato di discrimine (si pensi all’identità del bene giuridico tutelato dalle norma in comparazione) e per questo suscettibili di opposte e divergenti interpretazioni degli interpreti. Il ricorso ai suddetti principi elaborati dalla dottrina è stato sempre escluso dalla giurisprudenza di legittimità in quanto scevro di riferimenti normativi fondanti un collegamento di tale ricostruzione con la voluntas legis. Pertanto la Corte di Cassazione si è sempre mostrata fortemente ancorata al criterio di specialità, individuato quale unico principio legalmente previsto in tema di concorso apparente, con ampliamento della sua applicazione alle ipotesi di illeciti amministrativi secondo la previsione dell’art.9 della l. n.689/1981, che ha disposto la comparazione delle fattispecie astratte, a prescindere dalla qualificazione, penale o amministrativa, degli illeciti posti a raffronto.

Alla luce di quanto detto, la Suprema Corte precisa che il criterio di specialità, sia pur nelle più ampie declinazioni della specialità bilaterale, non concerne le fattispecie in esame, avendo esse una genesi e uno sviluppo autonomo, in virtù del fatto che il principio di cui all’art. 15 c.p. può ravvisarsi solo ed esclusivamente nel caso in cui vi sia un identico contesto di fatto ed una delle norme contenga necessariamente gli elementi dell’altra.

In ordine ai reati di cui agli artt. 640 bis e 316 bis c.p., le SS.UU. operano anche un raffronto tra le fattispecie descritte nelle succitate norme al fine di ribadire la configurabilità di un concorso di reati e confutare quelle voci minoritarie per le quali vi sarebbe un rapporto di specialità tra esse.

Sul punto si evidenzia che gli artifici e i raggiri non rappresentano l’unico modalità percettiva dei finanziamenti e delle erogazioni di cui all’art.316 bis c.p.; specularmente si può certamente affermare che la percezione illegittima delle somme erogate non necessariamente sfocia in un utilizzo diverso rispetto a quello per cui sono state erogate. A sostegno di quanto detto va rimarcata anche la diversa genesi storica e sistematica delle due previsioni incriminatrici; invero si tratta di norme entrate in vigore in periodi di tempo vicini ma pur sempre contenute in due disposizioni di legge autonome. Basti pensare che l’art. 640 bis c.p. è stato introdotto dalla legge n.55/1990, dal titolo “nuove disposizioni per la prevenzione della delinquenza di tipo mafioso e di altre gravi forme di pericolosità sociale”; la norma è volta infatti a prevenire l’infiltrazione criminale in contesti di erogazioni pubbliche, al fine di tutelare non solo la destinazione pubblica cui sono destinate le somme, ma anche la corretta individuazione del beneficiario delle stesse. Quanto detto è suffragato anche dalla mancanza di clausole di riserva che depone nel senso di una voluta e definita autonomia tra le due figure di reato.

In ordine alla condotta descritta dalle due figure di reato, va precisato che l’art. 640 bis c.p. considera sia il momento degli artifici e dei raggiri, sia quello del vantaggio e dello speculare danno che si produce; a tal proposito la corte evidenzia che per la P.A. è del tutto indifferente che la dazione economica sia devoluta ad un soggetto piuttosto che a un altro, essendo l’erogazione connessa ad una destinazione pubblica del denaro, seppur mediatamente. Lo stesso può dirsi anche per il danno che viene a prodursi, danno che non può essere circoscritto alla sola perdita economica in senso stretto, dovendosi avere riguardo al patrimonio in senso dinamico, comprendente la funzione sociale dell’intervento ed i principi di buona amministrazione.

L’assenza di un nesso di interdipendenza tra le due figure di reato in esame si desume anche dal tenore dell’art. 316 bis c.p., per il quale è del tutto indifferente l’origine del credito; del resto la disposizione è applicabile sia nel caso in cui l’erogazione sia stata ottenuta lecitamente, sia nel caso in cui questa sia il frutto di artifici e raggiri.

Quanto detto induce quindi a ritenere che le due figure di reato debbano essere concepite come condotte che operano in due contesti temporali e fattuali diversi e che non per forza debbano essere legati biunivocamente: la condotta truffaldina volta all’ottenimento delle somme si pone infatti a monte di un eventuale uso distorto delle stesse (che invece rappresenterebbe la fase a valle). Le due fasi appena descritte possono quindi verificarsi congiuntamente, o può accadere che si verifichi soltanto una di esse.

Infine la Suprema Corte evidenzia che i reati di truffa aggravata ex art. 640 bis c.p. e di malversazione a danno dello Stato ex art. 316 bis c.p. si consumano fisiologicamente in tempi diversi: il primo nel momento percettivo e il secondo nell’attività esecutiva; questo elemento non può che essere considerato che un elemento a sostegno dell’autonomia tra le fattispecie anzi descritte, rilievo che preclude qualsiasi configurabilità di un concorso apparente tra le norme.

I rilievi sopra svolti, malgrado solo brevemente ripresi in questa sede, hanno indotto le SS.UU. a concludere che tra le due fattispecie non vi è alcun rapporto di specialità e che invece ben possono configurarsi ipotesi di concorso tra i due reati di cui sopra, eventualmente avvinti dal vincolo della continuazione.

 

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Francesco Tortora
Classe 1991, laureato cum laude in giurisprudenza all'università Federico II di Napoli, specializzato in professioni legali presso l'università G.Marconi di Roma, perfezionato in diritto amministrativo e finanza degli enti locali presso l'università Federico II di Napoli, tirocinante ex art. 73 presso la Procura della Repubblica, praticante avvocato. Tesi di laurea in diritto amministrativo dal titolo "Pubblico e privato nei contratti pubblici: gli strumenti di collaborazione", rel Prof. Fiorenzo Liguori Tesi di specializzazione in professioni legali dal titolo "Riflessioni in tema di diritto di accesso con riferimebto al rapporto di pubblico impiego privato", rel. Prof. Maurizio Asprone Tesi del corso di perfezionamento in amministrazione e finanza degli enti locali dal titolo "luci ed ombre sulla responsabilità precontrattuale della P.A."