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L’usura sopravvenuta: il quadro normativo di riferimento e gli orientamenti giurisprudenziali.

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Con legge n. 108/96 fu introdotto il sistema antiusura e si iniziò a parlare di usura sopravvenuta.

La vexata quaestio si pose con riguardo ai contratti stipulati dopo l’entrata in vigore della legge 108/96, recanti tassi iniziali inferiori alla soglia usura e divenuti superiori solo nel corso del rapporto.

Allorché, infatti, il tasso degli interessi concordato tra mutuante e mutuatario superi, nel corso dello svolgimento del rapporto, la soglia dell’usura come determinata in base alla disposizioni della legge n.108 del 1996, non si verifica la nullità o l’inefficacia della clausola contrattuale di determinazione del tasso degli interessi stipulata anteriormente all’entrata in vigore della predetta legge, o della clausola stipulata successivamente per un tasso non eccedente tale soglia quale risultante al momento della stipula; né la pretesa del mutuante di riscuotere gli interessi secondo il tasso validamente concordato può essere qualificata, per il solo il fatto del sopraggiunto superamento di tale soglia, contraria al dovere di buona fede nell’esecuzione del contratto”.
Tale problematica si era posta subito dopo l’entrata in vigore della legge 108, tanto che il legislatore decise di intervenire con la nota norma d’interpretazione autentica di cui all’art. 1, comma 1, d.l. n. 394 del 2000, nella quale è stato chiarito che “ai fini dell’applicazione dell’articolo 644 del codice penale e dell’articolo 1815, secondo comma, del codice civile, si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento”.

 

Il Legislatore, in tal modo, è intervenuto stabilendo con norma retroattiva che il momento rilevante al fine di determinare l’usurarietà degli interessi non vada individuato in quello della corresponsione degli stessi, bensì in quello in cui le parti ne convengono l’ammontare.

La norma di interpretazione autentica, portata all’attenzione della Corte Costituzionale, fu ritenuta costituzionalmente legittima nella sentenza n. 29 del 2002, nella quale si è affermato che la stessa “trova giustificazione sotto il profilo della ragionevolezza”, “dando una interpretazione chiara e lineare delle disposizioni codicistiche”, le quali presentavano aspetti non agevolmente intellegibili che richiedevano un intervento chiarificatore ad opera del Legislatore.

Da ultimo, con sentenza n 24675 del 2017, sono intervenute le Sezioni Unite ritenendo che deve negarsi la configurabilità dell’usura sopravvenuta, atteso che il giudice è vincolato all’interpretazione autentica delle norme. Più precisamente, il divieto di usura è contenuto esclusivamente nell’art. 644 c.p., mentre la legge 108/96 si limita a prevedere il meccanismo di determinazione del tasso oltre il quale gli interessi sono considerati usurari e l’art. 1815 c.c. contiene una sanzione in caso di usura; pertanto, prosegue la Corte, “sarebbe impossibile operare la qualificazione di un tasso come usurario senza fare applicazione dell’art. 644 cod. pen., ai fini dell’applicazione del quale, però, non può farsi a meno – perché così impone la norma di interpretazione autentica – di considerare il momento in cui gli interessi sono convenuti, indipendentemente dal momento del loro pagamento”.

Tale principio è coerente con la ratio della legge che mira invece a contrastare efficacemente il fenomeno dell’usura assegnando rilevanza essenzialmente al momento della pattuizione degli interessi.

Peraltro, i giudici di legittimità hanno anche stabilito che, per attribuire valore all’usura sopravvenuta, non può invocarsi neppure il principio di buona fede che infatti costituisce criterio di integrazione del contenuto contrattuale rilevante ai fini dell’esecuzione del contratto e, di conseguenza, la sua violazione è riscontrabile solo nelle modalità di esercizio dei diritti derivanti dal negozio giuridico e non nell’esercizio in sé e per sé considerato.
Deve pertanto ritenersi priva di fondamento la tesi della illiceità della pretesa del pagamento di interessi a un tasso divenuto superiore alla soglia usura solo nel corso del rapporto, ma contenuto nei limiti della soglia alla data della pattuizione.

A conclusione di quanto illustrato non può che aderirsi all’idea secondo cui le molte sfaccettature del problema lasciano scorgere una poliedricità  funzionale dell’istituto, e quindi sarebbe ingenuo pensare di risolvere i conflitti mediante la bussola di una reductio ad unitatem.