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Diritto e Procedura Penale. Se il Riesame non si pronuncia sul petitum l’ordinanza è nulla e comporta l’obbligo di trasmissione degli atti

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Palais de Justice Rome Cour suprême de cassation

Se il Riesame non si pronuncia sul petitum l’ordinanza è nulla e comporta l’obbligo di trasmissione degli atti

Nell’ordinamento giuridico italiano è note che il Tribunale del riesame, originariamente denominato Tribunale della Libertà, sottopone ad un controllo esterno, non solo di legittimità ma anche di merito, i provvedimenti restrittivi della libertà personale e quelli in materia reale. Oggi il Tribunale del Riesame, competente a decidere in forma collegiale sulle ordinanze che dispongono una misura coercitiva, ha sede nel Capoluogo del Distretto di Corte d’Appello, mentre un tempo aveva competenza territoriale il tribunale del capoluogo della provincia in cui si trovava il giudice, contro la cui ordinanza di limitazione della libertà personale (custodia cautelare in carcere, arresti domiciliari) l’imputato aveva chiesto il riesame. Tale ultima competenza territoriale è rimasta, ai sensi dell’art. 324 c.p.p., per le richieste di riesame delle misure cautelari reali.

La richiesta, che può riferirsi anche al sequestro di beni, può essere fatta dall’imputato (ai sensi dell’art. 309 c.p.p.) entro dieci giorni dall’esecuzione o notificazione del provvedimento e i motivi di doglianza possono anche essere sviluppati il giorno dell’udienza che si svolge in camera di consiglio. Il difensore dell’imputato può proporre la richiesta di riesame entro dieci giorni dalla notificazione dell’avviso di deposito dell’ordinanza che dispone la misura. Il tribunale, entro altri dieci giorni, se non dichiara l’inammissibilità della richiesta, annulla, riforma o conferma l’ordinanza. Le decisioni che può prendere il Tribunale sono: a) dichiarare inammissibile il riesame, perché proposto fuori termine o da un soggetto non legittimato o perché riguarda un provvedimento per cui non si può disporre il riesame; b) annullare l’ordinanza che ha disposto la misura cautelare; c) riformare in melius il provvedimento o confermare ordinanza. Dato che l’impugnazione è devolutiva, il giudice del riesame non è vincolato ai motivi disposti dall’indagato; il Tribunale potrebbe ritenere infondati i motivi e annullare l’ordinanza per motivi diversi o confermarla ancora per motivi sempre diversi.

Nell’appello invece si devolve al giudice quello che risulta nei motivi di impugnazione, che qui devono esserci a pena di inammissibilità. Prevede 10 giorni per la presentazione e 20 giorni per la decisione; ma qui si tratta di termini ordinatori per cui il ritardo non produce conseguenze processuali. Le decisioni di riesame e di appello sono ricorribili per Cassazione; c’è obbligo di motivazione con soli motivi di legittimità (art. 606 c.p.p.), l’unico di merito è quello previsto dalla lettera e), ossia il vizio di motivazione, ma non per le misure cautelari reali. C’è poi la possibilità di fare il ricorso “per saltum, saltando cioè il riesame e andando direttamente in Cassazione. Il termine è di 30 giorni per decidere, ma anche qui è un termine ordinatorio per cui se la decisione non arriva entro 30 giorni la misura continua ad avere efficacia.

Nel caso in esame, Il Tribunale del riesame -pronunciando su istanza con la quale l’indagato aveva chiesto l’annullamento dell’ordinanza emessa dal G.U.P. presso il medesimo Tribunale e la conseguente dichiarazione di revoca del sequestro preventivo delle quote sociali di una società in precedenza disposto- dichiarava, in sede di appello cautelare ai sensi dell’art. 322-bis c.p.p., la nullità della ordinanza impugnata per la parte in cui la stessa non aveva deciso in ordine alla richiesta di revoca del sequestro delle quote sociali della predetta società, aggiungendo come alcun pregiudizio potesse derivare all’indagato dalla lamentata omessa pronuncia atteso che egli avrebbe potuto riproporre analoga richiesta di dissequestro al giudice competente. Contro l’ordinanza proponeva ricorso per Cassazione l’indagato, in particolare sostenendo, per quanto qui di interesse, che nel corso dell’udienza preliminare, aveva avanzato al Gup istanza di dissequestro sulla quale il giudice del procedimento principale aveva omesso di pronunciarsi ed il Tribunale cautelare, pur avendo condiviso la sua doglianza dichiarando la nullità dell’ordinanza per violazione dell’art. 125 c.p.p., non aveva tratto da tale declaratoria le necessarie conseguenze, in punto di restituzione dei beni, affermando che non potesse farsi luogo a una pronuncia di inefficacia o decadenza del titolo cautelare essendo ciò consentito solo nei casi espressamente previsti dalla legge sicché, in mancanza di alcuna previsione normativa che sancisca l’inefficacia ovvero la decadenza del vincolo reale in un caso come quello in esame, il dictum del Tribunale doveva limitarsi a certificare la nullità della pronuncia, potendo peraltro l’appellante riproporre davanti al giudice competente la richiesta di dissequestro.

La Cassazione ha, sul punto, accolto il ricorso dell’interessato e, nell’affermare il principio di diritto di cui in massima, ha osservato come, effettivamente, nel caso in esame l’ordinanza del Gup, reiettiva dell’istanza di restituzione del bene, nulla avesse detto in ordine alla richiesta di revoca del sequestro avente ad oggetto le quote sociali. Si verteva quindi in un caso di omessa pronuncia sul petitum, avendo il primo giudice omesso qualsiasi statuizione sul bene rivendicato con la richiesta di restituzione della cosa in sequestro. Il Tribunale cautelare, investito in sede di appello esclusivamente con la doglianza relativa al vizio di omessa pronuncia, si era limitato a dichiarare la nullità dell’ordinanza gravata ma non aveva né azionato la fase rescissoria, alla quale non poteva comunque dare corso non essendogli stati devoluti, indipendentemente dall’omessa pronuncia, temi di merito, e neppure aveva ritrasmesso gli atti al giudice del procedimento principale perché provvedesse sull’istanza.

Cass. pen. Sez. III, Sent., 03-11-2014, n. 45234.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SQUASSONI Claudia – Presidente –

Dott. AMORESANO Silvio – Consigliere –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. DI NICOLA Vito – rel. Consigliere –

Dott. GAZZARA Santi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

T.D., nato a (OMISSIS);

avverso l’ordinanza del 20/02/2014 del Tribunale della libertà di Udine;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal consigliere Vito Di Nicola;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. BALDI Fulvio, che ha concluso chiedendo l’annullamento senza rinvio con dissequestro;

udito per l’imputato l’avv. Tiberio Baroni che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

 

Svolgimento del processo

 

1. Il Tribunale del riesame di Udine – pronunciando su istanza con la quale T.D. aveva chiesto l’annullamento dell’ordinanza emessa in data 22 gennaio 2014 dal G.U.P. presso il medesimo Tribunale e la conseguente dichiarazione di revoca del sequestro preventivo delle quote sociali della società Olivo Officinalis s.r.l., in precedenza disposto – ha dichiarato, in sede di appello cautelare ai sensi dell’art. 322 bis c.p.p., la nullità della ordinanza impugnata per la parte in cui la stessa non aveva deciso in ordine alla richiesta di revoca del sequestro delle quote sociali della predetta società, aggiungendo come alcun pregiudizio potesse derivare all’appellante dalla lamentata omessa pronuncia atteso che egli potrebbe riproporre analoga richiesta di dissequestro al Giudice competente.

2. Per la cassazione dell’impugnata ordinanza, ricorre T. D., a mezzo del proprio difensore di fiducia, affidando il gravame ad un unico motivo, col quale lamenta violazione di legge per assoluta mancanza della motivazione su un punto decisivo del tema cautelare (art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c), per inosservanza di norme processuali previste a pena di nullità).

Premette di avere, nel corso dell’udienza preliminare, avanzato al Gup istanza di dissequestro sulla quale il giudice del procedimento principale ha omesso di pronunciarsi ed il Tribunale cautelare, pur avendo condiviso la doglianza del ricorrente dichiarando la nullità dell’ordinanza per violazione dell’art. 125 c.p.p., non ha tratto da tale declaratoria le necessarie conseguenze, in punto di restituzione dei beni, affermando che non può farsi luogo a una pronuncia di inefficacia o decadenza del titolo cautelare essendo ciò consentito solo nei casi espressamente previsti dalla legge sicchè, in mancanza di alcuna previsione normativa che sancisca l’inefficacia ovvero la decadenza del vincolo reale in un caso come quello in esame, il dictum del Tribunale doveva limitarsi a certificare la nullità della pronuncia, potendo peraltro l’appellante riproporre davanti al giudice competente la richiesta di dissequestro.

Assume il ricorrente come, in una situazione così eclatante di diniego di giustizia per difetto di pronuncia, il Collegio cautelare avrebbe dovuto analogicamente applicare le disposizioni che prevedono la caducazione del titolo cautelare per inefficacia della misura, sanzione contemplata nei casi di omessa decisione o di pronuncia intervenuta oltre i termini perentori previsti dalla legge, trattandosi di un epilogo interpretativo che, essendo in bonam partem, doveva e deve ritenersi consentito.

 

Motivi della decisione

 

1. Il ricorso è fondato per quanto di ragione nei limiti e sulla base delle considerazioni che seguono.

2. La questione sottoposta a scrutinio di legittimità attiene alla definizione dei poteri del giudice dell’impugnazione cautelare, nella specie in sede di appello proposto ai sensi dell’art. 322 bis c.p.p., nell’ipotesi in cui sia stata eccepita con il gravame esclusivamente la nullità del provvedimento impugnato per omessa pronuncia.

Va in primo luogo precisato che le impugnazioni cautelari trovano precisa collocazione nel libro quarto del codice di rito dedicato alle “misure cautelari”, dove il capo 6^ del titolo 1^ tratta delle “impugnazioni” sulle “misure cautelari personali”, mentre il capo 3^ del titolo 2^ tratta delle “impugnazioni” sulle “misure cautelari reali”.

Il legislatore ha dunque previsto per i gravami cautelari espresse disposizioni che sono, ratione materiae, speciali rispetto alle norme, collocate nel libro nono del codice, le quali disciplinano le impugnazioni in generale e l’appello ed il ricorso per cassazione in particolare.

Tuttavia è opinione ampiamente condivisa, sia in dottrina che in giurisprudenza, quella per la quale nei casi non espressamente regolati dalle disposizioni che disciplinano la materia dei gravami de libertate è necessario fare applicazione analogica delle norme, se compatibili, sulle impugnazioni.

3. Ciò posto, va osservato che la sanzione della nullità, per la mancanza della motivazione, è prevista dall’art. 125, comma 3, cod. proc. pen., applicabile anche alla materia cautelare.

Trattasi di una disposizione la quale richiede “a pena di nullità” la motivazione delle sentenze, delle ordinanze e, nei casi in cui la motivazione sia espressamente prescritta dalla legge, dei decreti.

Persino al cospetto della procedura di riesame dei provvedimenti cautelari (artt. 309 e 324 c.p.p.), nei quali risulta doveroso procedere all’integrazione della motivazione insufficiente sul rilievo che il tribunale, in base della portata totalmente devolutiva del mezzo di gravame, può confermare o annullare il provvedimento impugnato anche per motivi diversi da quelli addotti dalle parti, la giurisprudenza di legittimità ha reiterata mente chiarito che il potere del tribunale del riesame di integrare e sanare la motivazione insufficiente del provvedimento impugnato non opera laddove quest’ultimo sia mancante di motivazione in senso grafico oppure in presenza di apparato motivazionale inesistente perchè del tutto inadeguato o basato su affermazioni apodittiche, sì da comportare nullità per violazione dell’art. 125 c.p.p., comma 3, (Sez. 3, n. 33753 del 15/07/2010, Pmt in proc. Lteri Lulzim, Rv. 249148) ovvero nei casi in cui la motivazione stessa si risolva in una clausola di stile in quanto -solo laddove si faccia unicamente questione della sufficienza, congruità ed esattezza delle indicazioni presenti nel provvedimento – legittimamente viene esercitato il potere integrativo del giudice dell’impugnazione cautelare ed in questi ultimi casi l’ordinanza applicativa della misura cautelare e quella che decide sulla richiesta di riesame sono tra loro collegate e complementari sicchè la motivazione del tribunale integra e completa le eventuali carenze del provvedimento del primo giudice (ex multis, Sez. 3, n. 41569 del 11/10/2007,Verdesan, Rv. 237903).

Il principio della integrazione della motivazione è infatti un principio generale valido per ogni tipo gravame, che sia connotato dalla convergenza nella medesima fase di un effetto rescindente e contemporaneamente rescissorio, ove al giudice della impugnazione, in forza dei poteri di piena cognizione e valutazione del fatto, è imposto di colmare, nel merito, il deficit argomentativo del provvedimento sottoposto al suo controllo senza restituire gli atti al Giudice che lo ha emesso.

4. Va infatti rilevato che, con specifico riferimento al processo ordinario di cognizione, la giurisprudenza di legittimità, nella sua massima espressione, ha chiarito che, in caso di mancanza assoluta della motivazione della sentenza di primo grado, il giudice di appello deve provvedere, proprio in forza dei su richiamati poteri di piena cognizione e valutazione del fatto, a redigere, anche integralmente, la motivazione mancante (Sez. U, n. 3287 del 27/11/2008, dep. 23/01/2009, R., Rv. 244118).

Tale affermazione è fondata sul rilievo che il difetto assoluto della motivazione della sentenza non rientra tra i casi, tassativamente previsti dall’art. 604 c.p.p., per i quali il giudice di appello deve dichiarare la nullità della sentenza appellata e trasmettere gli atti al giudice di primo grado.

Il principio è stato tuttavia temperato dalla stesse Sezioni unite nel senso che il potere integrativo della motivazione deve essere esercitato nel necessario rispetto dei limiti del devoluto e del divieto di reformatio in peius.

Quanto allora all’appello cautelare che, a differenza del riesame, è retto dal principio “tantum devolutum quantum appellatum”, posto che l’art. 604 c.p.p., risulta ontologicamente incompatibile con la disciplina incidentale dell’impugnazione, va osservato che, nel caso di carenza grafica o di omessa pronuncia, e dunque di apparato motivazionale insistente, la parte legittimata ad esercitare il diritto di impugnazione del provvedimento si troverebbe nella sostanziale impossibilità di devolvere al giudice dell’appello cautelare una critica specifica mancando una qualsiasi motivazione al riguardo da poter criticare.

Va sul punto ricordato come l’art. 581 c.p.p., comma 1, lett. c), applicabile a tutti i mezzi di impugnazione tipici e dunque applicabile anche all’appello cautelare, richieda a pena d’inammissibilità del gravame che siano specificati nell’atto di impugnazione “i motivi, con l’indicazione specifica delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta” e ciò presuppone una pronuncia; presuppone cioè che il giudice abbia esposto, a sua volta, i motivi di fatto e di diritto sui quali si fonda la decisione.

Ne consegue che, in siffatte ipotesi, il provvedimento impugnato – qualora al giudice dell’appello cautelare non siano stati comunque devoluti, nonostante l’omessa pronuncia sul punto, temi di merito – non è integrabile neppure sulla base dei poteri di piena cognizione e di valutazione del fatto che sono propri del giudice del gravame.

Ciò in quanto, in assenza di una qualsiasi devoluzione quanto ai temi di merito, l’integrazione sarebbe esercitata oltre i limiti del devoluto e dunque il provvedimento mancante di motivazione deve essere dichiarato nullo per violazione dell’art. 125 c.p.p., comma 3, e, siccome non è integrabile, deve derivare da ciò la necessaria trasmissione degli atti al primo giudice non potendosi, da un lato, privare la parte, che abbia legittimante ritenuto di eccepire esclusivamente il vizio di omessa pronuncia, di un grado del giudizio cautelare e non potendosi, dall’altro, privare la parte stessa di una pronuncia di merito sulla primitiva istanza.

5. Nel caso in esame, infatti, l’ordinanza del Gup, reiettiva dell’istanza di restituzione del bene, nulla ha detto in ordine alla richiesta di revoca del sequestro avente ad oggetto le quote sociali.

Si verte quindi in un caso di omessa pronuncia sul petitum, avendo il primo giudice omesso qualsiasi statuizione sul bene della vita rivendicato con la richiesta di restituzione della cosa in sequestro.

Il Tribunale cautelare, investito in sede di appello esclusivamente con la doglianza relativa al vizio di omessa pronuncia, si è limitato a dichiarare la nullità dell’ordinanza gravata ma non ha nè azionato la fase rescissoria, alla quale non poteva comunque dare corso non essendogli stati devoluti, indipendentemente dall’omessa pronuncia, temi di merito, e neppure ha ritrasmesso gli atti al giudice del procedimento principale perchè provvedesse sull’istanza.

In tal modo, la parte è stata privata di qualsiasi decisione sulla richiesta di dissequestro del bene.

Nè il ricorrente poteva ottenere la restituzione della cosa reclamata per le ragioni, del tutto infondate, che egli avrebbe voluto scaturissero dall’omessa pronuncia, in quanto in nessun caso era integrata una fattispecie comportante la caducazione del titolo cautelare, potendo ciò verificarsi nei soli casi espressamente previsti dalla legge processuale e che, essendo eccezionali sono insuscettibili di interpretazione analogica.

Va dunque affermato il principio secondo il quale, in materia di appello cautelare personale o reale (artt. 310 e 322 bis c.p.p.), il tribunale della libertà, a cui sia devoluta esclusivamente la cognizione della nullità dell’ordinanza de libertate affetta dal vizio di omessa pronuncia sul petitum, non può sostituirsi al primo giudice violando il principio devolutivo e redigendo la motivazione del tutto omessa, nè può limitarsi a dichiarare la nullità del provvedimento impugnato ai sensi dell’art. 125 c.p.p., comma 3, ma deve, dichiarata la nullità, trasmettere gli atti al primo giudice per non privare la parte di un grado del giudizio cautelare e per consentire alla parte stessa di redigere motivi specifici di impugnazione qualora essa debba dolersi delle ragioni di un eventuale rigetto della domanda.

Ne consegue l’annullamento senza rinvio dell’ordinanza impugnata con trasmissione degli atti al Tribunale di Udine per l’ulteriore corso di giustizia ossia per nuovo giudizio di competenza del giudice della cognizione sull’istanza di dissequestro originariamente proposta e rimasta inevasa in ordine alla restituzione o meno delle quote sociali della società Olivo Offidnalis s.r.l..

 

P.Q.M.

 

Annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata. Atti al Tribunale di Udine per l’ulteriore corso di giustizia.

Così deciso in Roma, il 3 luglio 2014.

Depositato in Cancelleria il 3 novembre 2014