Recentemente il Consiglio di Stato è tornato a ribadire la propria posizione in merito al tortuoso rapporto giuridico/fattuale che intercorre tra l’ordine di demolizione della p.a di un immobile abusivo e l’onere motivazionale che dovrebbe, o meno, accompagnare tal provvedimento emesso dall’ente titolare del potere pubblico.
Lo fa enunciando un principio di diritto, di seguito in massima, che sostanzialmente riprende quanto già perentoriamente ha affermato con sentenza del 17/10/2017 l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato: “l’ingiunzione di demolizione di un abuso edilizio non necessita di una motivazione rafforzata e il fatto che sia trascorso molto tempo dall’abuso edilizio non obbliga l’Amministrazione a una motivazione “rinforzata” della ingiunzione di demolizione, e ciò sia perché vengono in questione atti vincolati, i quali non richiedono una valutazione specifica di ragioni di interesse pubblico, e sia perché i manufatti de quibus si trovano entro un’area sottoposta a vincolo e sono privi di autorizzazione paesaggistica” (Cons. stato 3773 – Sez. VI – 19 giugno 2018)
La tematica in esame ricopre un notevole interesse nel panorama pubblicistico giacché coinvolge tutta una serie di aspetti connessi, che si intersecano tra loro creando una matassa che il supremo organo della giustizia amministrativa ha già provato a districare.
In particolare ci si è interrogati sulla questione che concerne il particolare onere motivazionale gravante in capo all’amministrazione in sede di adozione di un’ingiunzione di demolizione e se, in buona sostanza, va tenuto in considerazione o meno il considerevole lasso di tempo intercorso tra l’abuso accertato e il provvedimento di demolizione emesso dalla p.a.
Questione di non poco conto se solo si considera che il cd. lasso di tempo che può incorrere tra un fatto (es. costruzione immobile abusivo) e un provvedimento amministrativo (es. demolizione) può ingenerare nel provato il legittimo affidamento che quella situazione di fatto e di diritto ormai consolidata non venga modificata o estinta. Legittimo affidamento che ad oggi come concetto ha ricevuto pregio e riconoscimento sia in dottrina che in giurisprudenza; è stato spesso inteso, infatti, come principio che guida l’amministrazione nell’esercizio del proprio potere, soprattutto quello di autotutela, costringendola a proteggere situazioni soggettive – spesso di vantaggio – consolidatesi nel tempo per effetto di atti o comportamenti idonei della p.a. ad ingenerare un ragionevole affidamento nel destinatario.
Occorre allora procedere per gradi e preliminarmente dar conto delle due tesi principali da sempre in contrapposizione su cui spesso la giurisprudenza amministrativa è stata chiamata a pronunciarsi.
Un primo orientamento, ritenuto maggioritario declina decisamente l’ipotesi della necessità di una particolare motivazione nell’ordinanza di demolizione in ordine alla specificazione di un interesse pubblico particolareggiato.
In buona sostanza per tale filone interpretativo, che esclude comunque in radice la configurabilità a prescindere di un legittimo affidamento in capo al detentore del bene, la P.a. che intende ordinare la distruzione di un bene abusivo, dunque costruito contra legem, non è obbligata ad approfondire le spiegazioni logico giuridiche del suo agire in punto di ripristino della legalità violata.
Si è osservato peraltro che l’ordine di demolizione essendo un atto vincolato a carattere sanzionatorio che di per sé non necessita di una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico, men che meno di una valutazione comparativa con gli interessi privati in gioco, non necessita neanche di una motivazione giustificativa su quale sia l’interesse pubblico concreto e attuale perseguito dalla p.a. attraverso la demolizione del manufatto illecitamente costruito.
Sotto altro e differente aspetto invece e secondo un diverso orientamento, fermo restando comunque il carattere vincolato dell’ordine di demolizione come atto dovuto, esso soddisfa già di per sé l’onere di motivazione nel momento in cui viene accertata l’abusività dell’opera.
Si ritiene però che debba essere sempre posto all’attenzione della p.a. nell’esercizio del potere pubblicistico – ed è la nota differenziale rispetto al precedente orientamento- è la valutazione in motivazione del notevole lasso di tempo che potrebbe trascorrere tra la commissione dell’illecito e il protrarsi dell’immobilismo dell’ente pubblico preposto alla vigilanza della legalità che, va da sé, ingenera nel privato l’affidamento (non a caso legittimo) che quella situazione di fatto di vantaggio si sia consolidata e che quindi sia titolare intangibile del bene stesso, seppur inizialmente abusivo.
In questo caso infatti è necessario che una articolata e congrua motivazione accompagni il provvedimento demolitorio e che indichi esattamente il pubblico interesse perseguito perché, secondo il ragionamento di questa parte della giurisprudenza, viene in gioco il sacrificio dell’interesse del privato ad esso contrapposto, ritenendo non sufficiente di fatto la mera indicazione del ripristino della legalità violata.
Il Consiglio di Stato sul punto ha da sempre immediatamente precisato in primo luogo un concetto: occorre sempre distinguere quando la fattispecie può rientrare nell’alveo generale dell’istituto di autotutela o quando non può rientrarci mancandone i presupposti di legge.
Infatti spesso non è in discussione un titolo abilitativo poi ritirato dalla p.a. dopo il trascorrere del tempo, bensì la diversa fattispecie della edificazione in totale assenza di titoli legittimanti e di una demolizione di fabbricati privi sin dall’inizio di quei requisiti legali di edificabilità, e non coperti da alcun tipo di sanatoria ex lege.
Il che ha delle evidenti conseguenze sul piano della individuazione dei presupposti dell’agire della pa; se agisse in autotutela, sarebbe una azione con la quale la pa riesercita il proprio potere al fine di risolvere nel proprio ambito eventuali conflitti insorgenti in relazione a provvedimenti amministrativi da lei stessa emanati.
Spesso invece l’attenzione della giurisprudenza si è focalizzata sulla doverosità dell’ agire della pa innanzi al compimento di attività già all’origine poste in essere illecitamente e che quindi diventa presupposto primario rispetto alla particolare motivazione da dare.
Si sottolinea che in questi casi, in assenza di titolo dall’origine, la tardiva adozione del provvedimento di demolizione e l’inerzia da parte della p.a. nell’esercizio del potere/dovere diretto alla tutela di rilevanti finalità di interesse pubblico non sono idonei a sanare ciò che non è legittimo sin dall’inizio.
L’immobilismo iniziale della pa di per sè non può radicare un affidamento legittimo in capo al proprietario di un abuso a che quella situazione di illegalità non venga mutata.
Frequenti sono i casi in cui i giudici di Palazzo Spada si domandano se sia concepibile ritenere che il decorso del tempo e l’inerzia della pa possano comportare la sostanziale perdita del potere di contrastare il grave fenomeno dell’abusivismo edilizio e di contro se possano sgravare o aggravare l’onere motivazionale nel provvedimento demolitorio.
Una prima conferma, anche della prima tesi esposta in massima, sembra arrivare dall’analisi delle norme sull’edilizia ed in particolare dal comma 4- art. 31 L 380/2001 secondo cu la mancata o tardiva emanazione del provvedimento sanzionatorio fatte salve le responsabilità penali, costituisce elemento di valutazione della perfomance individuale, nonché di responsabilità disciplinare e amministrativo contabile del dirigente e del funzionario inadempiente”.
La giurisprudenza amministrativa, quindi, in maniera inequivoca e con ragionamento abbastanza lineare ritiene imprescindibile – anche basandosi sulla ratio della norma predetta- che per l’amministrazione ci sia l’obbligo di intervenire per contrastare l’esistenza di illeciti, di stampo amministrativo, in modo doveroso attraverso l’adozione di atti anche a carattere sanzionatorio.
Questo presupposto e punto fermo dell’esercizio di potestà pubbliche non può subire deroghe dalla inerzia della pa e dal trascorrere del tempo. Calata nel caso particolare significa in altre parole che l’ordine di demolizione dell’immobile abusivo, quando non si versi nei casi di autotutela, non deve essere particolarmente motivato in merito alla sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale al ripristino della legalità
L’affidamento del privato interessato, in caso di mancanza ab origine del titolo, è un problema che non deve porsi nemmeno perché – tutta al più- rientra nella analisi e nella ponderazione dell’ente pubblico esclusivamente quando sussiste una posizione favorevole dl privato oggetto di autotutela decisoria.
L’assenza di permesso di costruire e il comprovato carattere di abusività già soddisfano l’onere motivazionale dell’ordine di demolizione del manufatto, giustificandone l’adozione seppur tardiva.
Vi sono d’altronde già molti precedenti in giurisprudenza che, pur partendo da angoli prospettici differenti, con forza ribadiscono il medesimo concetto: “il tempo trascorso fra la realizzazione dell’abuso e l’adozione dell’ordine di demolizione non determina l’insorgenza di uno stato di legittimo affidamento e non innesta in capo all’amministrazione uno specifico e aggiuntivo e particolare onere di motivazione. Ciò in quanto il decorso del tempo, non radica di certo una posizione giuridica di vantaggio dell’interessato, ma rafforza piuttosto il carattere abusivo dell’intervento” (Cons. Stato VI 27/03/2017 n. 1386). Inoltre non può ammettersi “l’esistenza di alcun affidamento tutelabile alla conservazione di fatto di una situazione abusiva che il tempo non può in alcun modo legittimare” (Cons Stato IV n. 4205/2016).
Da questa serie di spunti, normativi e giurisprudenziali, il Consiglio di Stato negli ultimi tempi ha ribadito che l’ordine di demolizione è colorato da un certo grado di doverosità sanzionatoria.
Inoltre- ed è un aspetto che diventa anche un po’ il fulcro della discussione in esame- è che in tema di edilizia e di demolizione, la selezione e ponderazione degli interessi in campo in quest’ambito è già fatta a monte dal legislatore (art. 31 p.P.R. 280/2001) esonerando la p.a. di ulteriori aggravi sull’onere motivazionale che non deve contenere nello specifico il riferimento a tale ponderazione in sede di adozione dei proprio provvedimenti.
In conclusione sembra utile allora la lettura, a corroborare quanto enunciato nell’incipit del presente contributo, del principio espresso dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato nel 2017: “il provvedimento con cui viene ingiunta, sia pure tardivamente, la demolizione di un immobile abusivo e giammai assistito da alcun titolo, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione dell’abuso. Il principio in questione non ammette deroghe neppure nell’ipotesi in cui l’ingiunzione di demolizione intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione dell’abuso, il titolare attuale non sia responsabile dell’abuso e il trasferimento non denoti intenti elusivi dell’onere di ripristino”.