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Il feto durante il travaglio è persona

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Questo è quanto affermato dalla Corte di Cassazione, Sez. IV Penale nella recente sentenza n. 27539/2019, con la quale ha confermato la condanna emessa dal Tribunale, prima, e dalla Corte di Appello, poi,  per omicidio colposo ad un anno e nove mesi di reclusione, pena sospesa, nei confronti di un’ostetrica di 44 anni, rea di non aver adeguatamente monitorato il battito cardiaco di un feto mentre la madre era in travaglio, e di aver, invece, somministrato alla gestante l’ossitocina per aumentare le contrazioni. In particolare, la Corte ha sostenuto che il feto inizia a essere considerato persona già all'”inizio del travaglio”, e non nel successivo momento del “distacco dall’utero materno”. Pertanto, alla luce di tale osservazione, la morte colposa del bimbo, se avviene nelle fasi immediatamente antecedenti alla nascita, integra un  reato di omicidio, e non un reato di aborto o di interruzione della gravidanza.

Il caso di specie. Si sottoponeva all’attenzione della Corte un caso di malasanità verificatosi presso una struttura sanitaria salernitana, avente ad oggetto la scorretta esecuzione, da parte dell’ostetrica imputata, del tracciato: ella, non rilevando il battito cardiaco, proprio mentre il feto stava mettendo in atto i meccanismi di compenso, impediva al ginecologo di turno di intervenire. L’ostetrica, infatti, rassicurava il medico che tutto stesse procedendo regolarmente, perché l’omesso monitoraggio fetale non le aveva consentito di rilevare la sofferenza in atto, provocando, così, la morte del feto per asfissia perinatale.  Con apposita perizia, si accertava, in seguito, che in presenza di corretto monitoraggio, eseguito in conformità alle regole cautelari che il corpo medico è tenuto ad osservare, il bambino, perfettamente sano, poteva essere salvato mediante il ricorso ad un parto cesareo.

Il decisum. La Suprema Corte, dunque, chiamata a pronunciarsi sul punto, ha stabilito che l’ostetrica che, in fase di travaglio della gestante, omette di eseguire un adeguato monitoraggio del feto a causa di negligenza, imprudenza o imperizia, deve essere chiamata a rispondere a titolo di omicidio colposo e non di aborto colposo. Secondo la IV Sezione Penale il feto “nato” dopo la rottura del sacco amniotico,  all’esito della transizione dalla << vita uterina a quella extrauterina>>,  va configurato come persona ed in quanto tale, se l’ostetrica  ne procura la morte per asfissia perinatale risulta integrato il reato di  “omicidio colposo” e non di “aborto colposo”.  La citata pronuncia, indubbiamente,  oltre a garantire un vero e proprio ampliamento della sfera di tutela dei nascituri, ha offerto ulteriori chiarimenti in merito al discrimen tra reato di aborto e di omicidio, elevando a criterio discretivo l’inizio del travaglio, inteso come fase in cui il feto raggiunge una certa “autonomia” e non più il momento del distacco del medesimo dall’utero materno. Inoltre, la Cassazione ha escluso che potesse anche configurarsi la responsabilità,  a titolo di omicidio colposo, del ginecoloco e dell’anestetista, essendo il monitoraggio del battito cardiaco un’attività di competenza della sola ostetrica. La Corte ha altresì evidenziato che quest’ultima, in conseguenza degli errori e delle omissioni commessi in violazione dei propri doveri istituzionali, non aveva sollecitato l’attenzione del medico, il quale, se avesse conosciuto tempestivamente la situazione di sofferenza fetale, sarebbe potuto intervenire tempestivamente, scongiurando il verificarsi dell’evento letale. Per tali ragioni, non poteva in alcun modo invocarsi responsabilità di altri esercenti professione sanitaria presenti in sala parto.