Con la sentenza n° 7046 del 16.10.2019, il Consiglio di Stato ha respinto l’appello, proposto dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali e Soprintendenza Belle Arti e Paesaggio per le Province di Salerno e Avellino, per la riforma della sentenza del T.A.R. per la Campania – Salerno n° 5697/2016.
La vicenda fattuale coinvolge un privato che, per l’esecuzione di lavori di consolidamento statico e adeguamento funzionale di un fabbricato a destinazione abitativa ubicato in area soggetta a vincolo paesaggistico in base al P.U.T. dell’area sorrentina e amalfitana, aveva presentato istanza di permesso di costruire (P.d.C) all’ufficio competente del Comune di Cetara.
L’Ente, dopo aver valutato positivamente la conformità urbanistica del progetto, ha richiesto il parere, di cui all’art. 146 del d.lgs. n° 42/2004, alla competente Soprintendenza.
La Soprintendenza ha però espresso parere negativo.
La motivazione si fondava sul presupposto che l’intervento, avendo riguardato un immobile diruto e privo di elementi strutturali, non sarebbe stato ammissibile, poiché si sarebbe concretizzato in una nuova costruzione e, quindi, non consentita sull’area in questione.
Il parere, di natura vincolata, è stato impugnato innanzi al T.A.R..
I giudici napoletani avevano accolto il ricorso, avendo considerato l’immobile “individuabile nelle sue caratteristiche originarie e, quindi, essenziali, malgrado lo stato precario”. “Per il primo giudice, in sintesi, il fabbricato presenta (presentava) intatta la sua struttura originaria, il suo volume, gran parte delle mura perimetrali e parte della copertura; conseguentemente, l’intervento in questione consisterebbe in un intervento di recupero” e non di una nuova costruzione edilizia.
La Soprintendenza, tuttavia, come innanzi anticipato, ha impugnato la sentenza.
Il Consiglio di Stato ha respinto il ricorso, confermando il consolidato orientamento giurisprudenziale “(…) che trae conforto dall’art. 3, comma 1, lett. d), del D.P.R. 6/6/2001, n° 380:: la ristrutturazione edilizia presuppone, come elemento indispensabile, la preesistenza di un fabbricato ben identificabile nella sua consistenza e nelle sue caratteristiche planivolumetriche e architettoniche. Perché un intervento possa essere qualificato di ristrutturazione edilizia occorre, dunque, che sussista la possibilità di procedere, con sufficiente grado di certezza, alla ricognizione degli elementi strutturali dell’edificio, in modo tale che, seppur in parte diruto, ovvero non “abitato” o “abitabile”, esso possa essere comunque individuato nei suoi connotati essenziali, come identità strutturale in relazione anche alla sua destinazione (Cons. Stato, Sez. VI, 5/12/2016, n. 5106; 12/4/2013, n. 1995; Sez. IV, 19/3/2018, n. 1725). (…)”.
Assume ancora più rilevanza siffatta elencazione, quando i requisiti innanzi richiamati sono desumibili da fotografie, divenute documenti di causa.
Alla luce di quanto innanzi affermato, è possibile comprendere la differenza tra i concetti di “ristrutturazione edilizia” e “nuova costruzione”.
La ristrutturazione edilizia, come desumibile anche dall’art. 3 del T.U. Edilizia, presuppone: a) la preesistenza dell’immobile; b) la consistenza, sia per le caratteristiche planivolumetriche sia architettoniche; c) autonomia funzionale.
La nuova costruzione, invece, riguarda la trasformazione edilizia e urbanistica del territorio, non rientrante nel novero dell’art. 3 del T.U. Edilizia.