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Sulla nullità assoluta della fideiussione omnibus secondo lo schema ABI

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Nota a Tribunale di Salerno sentenza n.2443/2020 del 13 ottobre 2020

Abstract
The Court of Salerno, interpreting the latest decisions of the Supreme Court of Cassation on the subject of omnibus surety drafted according to the ABI scheme, declares its absolute nullity detectable in any state of the judgment by the interested party

Keywords
Guaranty, nullity, competition

Abstract
Il Tribunale di Salerno, interpretando le ultime decisioni della Suprema Corte di Cassazione in tema di fideiussione omnibus redatte secondo lo schema ABI, ne dichiara la nullità assoluta rilevabile in qualsiasi stato del giudizio da parte dell’interessato

Parole chiave
Fideiussione, nullità concorrenza

La nullità di una intesa anticoncorrenziale ai sensi dell’art.2 L.287/1990 comporta la conseguenziale nullità assoluta dei contratti di fideiussione omnibus predisposti secondo lo schema ABI e sottoscritti dai clienti in favore delle banche, circostanza eccepibile in qualsiasi stato e grado di giudizio.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE DI SALERNO
PRIMA SEZIONE CIVILE

Il Tribunale di Salerno, 1^ Sezione Civile, nella persona del Dott. Mattia Caputo, in funzione di giudice monocratico, ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa iscritta al N.R.G. 50000106/2012, avente ad oggetto: Opposizione a decreto ingiuntivo TRA Q.L. (C.F.: (…)) e M.A.S.C.I.A. S.R.L. (P.IVA: (…)) nella qualità di garanti di E. S.R.L., e FALLIMENTO E. S.R.L. (P.IVA: (…)), tutti rappresentati e difesi, giusta procura a margine dell’atto di citazione in opposizione, dall’Avv. xxxxxxx, presso il cui studio, sito in xxxxx alla Via xxxxxxxx, elettivamente domicilia

– PARTE OPPONENTE E M.G. S.P.A. (P.IVA: (…)), in persona del legale rappresentante p.t., in nome e per conto della B.M. S.P.A. anche quale incorporante per fusione la B.A. S.P.A., rappresentata e difesa, giusta procura in calce alla comparsa di costituzione e risposta, dall’Avv. xxxxxxxx, presso il cui studio, sito in xxxxxxx alla Via xxxxxxxx, elettivamente domicilia – PARTE OPPOSTA

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con atto di citazione regolarmente notificato Q.L. e la M. S.R.L. nella qualità di garanti di E. S.R.L. e la E. S.R.L. quale debitrice principale hanno proposto opposizione avverso il Decreto Ingiuntivo n. 292/2011, notificato loro il 19/12/2011, con il quale erano stati ingiunti al pagamento di Euro 123.672,32 quale saldo debitore del conto corrente n. (…) (F) alla data del 31/8/2011 in essere con la E. S.R.L. correntista, mentre il sig. Q.L. e la M. S.R.L. quali garanti fino all’importo massimo di Euro 150.000,00 oltre interessi fino all’effettivo soddisfo e spese del procedimento monitorio in favore della M.G. S.P.A., deducendo: che la documentazione allegata da parte opposta a sostegno del ricorso monitorio non sarebbe idonea a suffragare la pretesa creditoria, in quanto di formazione unilaterale come l’estratto delle scritture contabili della Banca; che, ad ogni modo, la Banca nel corso del rapporto avrebbe applicato la commissione di massimo scoperto, la cui pattuizione sarebbe nulla per difetto di determinatezza senza indicare se per massimo si debba intendere anche solo il debito massimo raggiunto in un giorno o quello che si prolunga per un certo periodo di tempo; che la Banca avrebbe applicato illegittimamente nel rapporto di conto corrente le valute c.d. “fittizie”; che la Banca avrebbe altresì applicato nel corso del rapporto di conto corrente il cui saldo creditore è stato azionato in via monitoria interessi usurari; che, pertanto, il credito oggetto di ingiunzione non corrisponderebbe a quello realmente esistente.

In virtù di quanto innanzi esposto Q.L. e la M. S.R.L. nella qualità di garanti di E. S.R.L. e la E. S.R.L. quale debitrice principale hanno concluso per l’accoglimento dell’opposizione e, per l’effetto, per la revoca del Decreto Ingiuntivo n. 292/2011; in via subordinata, accertarsi la eventuale minor somma da essi dovuta alla Banca; con vittoria delle spese di lite, da distrarsi in favore dell’Avvocato xxxxxx, dichiaratosi anticipatario.

Si costituiva in giudizio la M.G. S.P.A. (in nome e per conto della B.M. S.P.A.), deducendo: che il Decreto Ingiuntivo sarebbe stato emesso in base a documentazione idonea a sostenere la richiesta ex art. 633 c.p.c., consistente nell’estratto autenticato ai sensi dell’art. 50 T.U.B.; che le doglianze relative alla presunta illegittimità della commissione di massimo scoperto e delle valute applicate nel rapporto di conto corrente il cui saldo creditore è stato azionato in via monitoria sarebbero fondate, in quanto tutte le condizioni sarebbero state validamente e puntualmente pattuite nel contratto di conto corrente n. (…) (già F); che, ad ogni modo, essa produce in giudizio tutti gli estratti del conto corrente dall’accensione fino alla chiusura; che essa non avrebbe mai applicato interessi usurari e, comunque, che la contestazione di parte opponente sarebbe del tutto generica e sfornita di qualsivoglia supporto probatorio; che, ad ogni modo, il sig. Q.L. e la M. S.R.L. non potrebbero sollevare alcuna eccezione in merito al rapporto garantito, avendo essi sottoscritto in data 29/4/2008 un contratto autonomo di garanzia o a prima richiesta.

In virtù di quanto innanzi esposto la M.G. S.P.A. ha concluso per il rigetto dell’opposizione, in quanto infondato in fatto ed in diritto, con conferma integrale del Decreto Ingiuntivo n. 292/2011; in via subordinata, condannare gli opponenti al pagamento della maggiore o minore somma che dovesse essere accertata in corso di causa; con vittoria delle spese di lite ed accessori di legge.

All’udienza del 16/1/2017 veniva esibita copia della sentenza del Tribunale di Nocera Inferiore dichiarativa del fallimento della E. S.R.L. ed il giudizio veniva dichiarato interrotto; con ricorso in riassunzione depositato telematicamente il 5/4/2017 dal solo sig. Q.L. chiedeva fissarsi l’udienza per la prosecuzione del giudizio.

All’udienza del 3/6/2020, tenuta con la modalità di trattazione “scritta” ai sensi dell’art. 83, co. 7, lett. h) del D.L. n. 18 del 2020 convertito con modificazioni con L. n. 27 del 2020 il Giudice con decreto comunicato alle parti in data 8/6/2020 assegnava la causa in decisione con concessione dei termini ex art. 190 c.p.c. (60+20 gg.) decorrenti dalla comunicazione del predetto decreto.

Ciò posto, è ora possibile decidere la controversia.

SULLA MANCATA RIASSUNZIONE DEL PROCESSO DA PARTE DELLA M. S.R.L. E DELLA E. S.R.L. FALLITA

All’udienza del 16/1/2017, stante l’esibizione di copia della sentenza del Tribunale di Nocera Inferiore del 19/7/2016 dichiarativa del fallimento della E. S.R.L. il precedente Giudice Istruttore dichiarava il processo interrotto; con ricorso in riassunzione tempestivamente depositato telematicamente il 5/4/2017 il solo sig. Q.L. chiedeva fissarsi l’udienza per la prosecuzione del giudizio.

Pertanto, considerato che risulta documentalmente provato (cfr. ricorso del 5/4/2017 e comparsa conclusionale) che il processo dichiarato interrotto è stato riassunto dal solo Q.L., e non anche dalla M. S.R.L. e dalla E. S.R.L. dichiarata fallita, ne consegue l’estinzione del processo nei confronti di queste ultime opponenti a norma dell’articolo 305, co. 1, c.p.c. in forza del quale nel caso in cui il processo non venga proseguito o riassunto entro il termine perentorio di tre mesi dall’interruzione, esso si estingue. Pertanto, considerato che la M. S.R.L. e la E. S.R.L. non hanno riassunto il processo nei confronti della M.G.C. S.P.A. e che in base all’articolo 307, co. 4, c.p.c. l’estinzione opera di diritto ed è dichiarata, anche d’ufficio, dal Giudice, ne consegue che va dichiarata l’estinzione del presente giudizio nei confronti della M. S.R.L. e della E. S.R.L. dichiarata fallita.

SULL’OPPOSIZIONE PROPOSTA DAL GARANTE Q.L.

Con la comparsa conclusionale depositata il 01/9/2020 l’opponente Q.L. ha dedotto che il contratto di garanzia da egli sottoscritto in data 29/4/2008 (cfr. all. 3 della produzione di parte convenuta) per contrasto con l’articolo 2 della L. n. 287 del 1990.

In particolare, l’opponente ha dedotto che secondo la giurisprudenza della Suprema Corte

intervenuta di recente, in particolare l’ordinanza n. 29810 del 2017 resa dalla Prima Sezione della Corte di Cassazione Civile, nonché secondo alcune pronunce del Tribunale di Salerno sono nulle le fideiussioni prestate a garanzia delle operazioni bancarie (c.d. “fideiussioni omnibus”) conformi allo schema predisposto dall’A. (Associazione B.I.), e segnatamente, alla luce del Provv. n. 55 del 2 maggio 2005 della B.I., le fideiussioni che contengono la sostanza delle seguenti clausole: 1) “il fideiussore è tenuto a rimborsare alla banca le somme che dalla banca stessa fossero state incassate in pagamento di obbligazioni garantite e che dovessero essere restituite a seguito di annullamento, inefficacia o revoca dei pagamenti stessi, o per qualsiasi altro motivo “; 2) “qualora le obbligazioni garantite siano dichiarate invalide, la fideiussione garantisce comunque l’obbligo del debitore di restituire le somme allo stesso erogate “; 3) “i diritti derivanti alla banca dalla fideiussione restano integri fino a totale estinzione di ogni suo credito verso il debitore, senza che essa sia tenuta ad escutere il debitore o il fideiussore medesimi o qualsiasi altro coobbligato o garante entro i tempi previsti, a seconda dei casi, dall’art. 1957 cod. civ., che si intende derogato”. In sintesi, la Suprema Corte ha stabilito che la violazione dell’art. 2 della Legge c.d. “Antitrust”, consumatasi a monte nella predisposizione e nell’adozione uniforme di uno schema contrattuale restrittivo della concorrenza, determina “a cascata” la nullità dei contratti stipulati a valle in conformità allo schema; giacchè questi costituiscono lo sbocco sul mercato dell’intesa illecita (cfr. Cass., SS. UU., n. 2207/2005): ciò perché secondo la Corte di Cassazione, “…allorchè l’articolo in questione (cioè 2 della L. n. 287 del 1990) stabilisce la nullità delle “intese”, non abbia inteso dar rilevanza esclusivamente all’eventuale negozio giuridico originario postosi all’origine della successiva sequenza comportamentale, ma a tutta la più complessiva situazione – anche successiva al negozio originario la quale – in quanto tale – realizzi un ostacolo al gioco della concorrenza”.

Pertanto la Suprema Corte ha sancito il seguente principio di diritto: “in tema di accertamento dell’esistenza di intese anticoncorrenziali vietate dalla L. n. 287 del 1990, art. 2, la stipulazione “a valle” di contratti o negozi che costituiscano l’applicazione di quelle intese illecite concluse “a monte” (nella specie: relative alle norme bancarie uniformi ABI in materia di contratti di fideiussione, in quanto contenenti clausole contrarie a norme imperative) comprendono anche i contratti stipulati anteriormente all’accertamento dell’intesa da parte dell’Autorità indipendente preposta alla regolazione o al controllo di quel mercato (nella specie, per quello bancario, la B.I., con le funzioni di Autorità garante della concorrenza tra istituti creditizi, ai sensi della L. n. 287 del 1990, artt. 14 e 20, (in vigore fino al trasferimento dei poteri all’AGCM, con la L. n. 262 del 2005, a far data dal 12 gennaio 2016)) a condizione che quell’intesa sia stata posta in essere materialmente prima del negozio denunciato come nullo, considerato anche che rientrano sotto quella disciplina anticoncorrenziale tutte le vicende successive del rapporto che costituiscano la realizzazione di profili di distorsione della concorrenza”.

Quanto alla deduzione circa la nullità della garanzia sottoscritta dal sig. Q. essa, ancorché formulata per la prima volta nella comparsa conclusionale, deve ritenersi ammissibile. È pacifico in giurisprudenza (cfr. Cass. Civ., n. 98/2016) che la comparsa conclusionale ha la sola funzione di illustrare le domande e le eccezioni già ritualmente proposte dalla parte nel corso del giudizio, per cui allorquando in tale scritto sia prospettata per la prima volta una questione nuova, il Giudice non può e non deve pronunciarsi al riguardo; in buona sostanza, quindi, la funzione “riepilogativa” ed “illustrativa” della comparsa conclusionale non consente di sollevare con essa questioni o proporre domande ed eccezioni “nuove”, cioè che non siano state formulate nei termini decadenziali che scandiscono il processo.

Tuttavia tale principio, che si condivide, va contemperato con la disciplina in materia di nullità, che ai sensi dell’articolo 1421del Codice Civile può essere rilevata d’ufficio dal Giudice in ogni stato e grado del processo. Di recente, poi, la Corte di Cassazione a Sezioni Unite con le pronunce gemelle n. 26242 e 26243 del 2014 hanno stabilito che il Giudice ha il potere-dovere di rilevare “ex officio”, laddove emerga dagli atti di causa, l’eventuale nullità del contratto, sottoponendo la relativa questione alle parti, e ciò al fine di evitare pronunce giurisdizionali che si basino sulla validità del contratto in realtà invalido o che, addirittura, finiscano per sancirne la “non invalidità”, così di fatto sanandolo.

Orbene, considerato il dettato dell’articolo 1421c.c. e l’interpretazione pretoria più recente, deve ritenersi che se la “quaestio nullitatis” è rileva anche d’ufficio dal Giudice, in ogni stato e grado del processo, allora non può essere preclusa alla parte la possibilità di sollevare la relativa questione con la comparsa conclusionale, tenuto conto peraltro che in tal modo è assicurato il rispetto del contraddittorio poiché la controparte ben può difendersi con la memoria di replica.

Ferma l’ammissibilità della censura relativa alla nullità per la natura “anticoncorrenziale” della fideiussione sottoscritta dall’opponente Q.L. per contrasto con il disposto dell’articolo 2 della L. n. 287 del 1990 in quanto contenente le clausole al Modello A. di cui la B.I. ha sancito il contrasto con le regole poste a presidio della concorrenza 6, è ora possibile esaminare la fondatezza del motivo di opposizione per la nullità totale del suddetto contratto di garanzia.

Il motivo di opposizione è fondato e deve trovare accoglimento.

Innanzitutto si rileva che questo Giudice ritiene di aderire all’orientamento espresso dalla Suprema Corte, dapprima con ordinanza n. 28910/2017 e, più di recente ribadito con sentenza n. 21878 del 15/6/2019, secondo cui il mero dato della coincidenza oggettiva delle condizioni contrattuali pattuite con quelle di cui agli articoli 2), 6) ed 8) del Modulo A. è condizione necessaria e sufficiente per ritenere che l’invalidità dell’intesa “a monte” tra Istituti di credito, volta a restringere la concorrenza, si estenda in via derivata al contratto di garanzia “a valle”, stipulato tra la singola Banca ed il singolo garante, poiché appare evidente che l’intesa “a monte”, ancorché conclusa tra soggetti diversi da quelli che stipuleranno il contratto “a valle” ha quale finalità unica ed esclusiva, quella di imporre in modo generale ed uniforme a tutti i contraenti le pattuizioni convenute tra le Banche, in tal modo ripercuotendosi inevitabilmente, quale effetto naturale, sui singoli contratti di garanzia.

Come sancito di recente proprio dalla Suprema Corte, infatti, “benchè l’accertamento stesso abbia avuto luogo in un procedimento svoltosi tra le imprese e l’autorità competente, deve ritenersi che la circostanza che il singolo utente o consumatore sia beneficiario della normativa in tema di concorrenza (per tutte, Cass. 9 dicembre 2002, n. 17475) comporta pure, al fine di attribuire effettività alla tutela dei primi ed un senso alla stessa istituzione dell’Autorità Garante, la piena utilizzabilità da parte loro, una volta accertate condotte di violazione della normativa di settore posta anche a loro tutela, degli accertamenti conseguiti nel procedimento di cui pure non sono stati formalmente parte; in tal senso, il ruolo di prova privilegiata degli atti del procedimento pubblicistico “impedisce che possano rimettersi in discussione proprio i fatti costitutivi dell’affermazione di sussistenza della violazione della normativa in tema di concorrenza, se non altro in base allo stesso materiale probatorio od alle stesse argomentazioni già disattesi in quella sede” (Cass. 20 giugno 2011, n. 13486 cit.). Una conclusione in tal senso poggia, del resto, sull’assioma per cui “il contratto finale tra imprenditore e consumatore costituisce il compimento stesso dell’intesa anticompetitiva tra imprenditori, la sua realizzazione finale, il suo senso pregnante”: per modo che “teorizzare la profonda cesura tra contratto a monte e contratto a valle, per derivarne che, in via generale, la prova dell’uno non può mai costituire anche prova dell’altro, significa negare l’intero assetto, comunitario e nazionale, della normativa antitrust, la quale (4 è posta a tutela non solo dell’imprenditore, ma di tutti i partecipanti al mercato” (Cass. 2 febbraio 2007, n. 2305). E tale rilievo si coniuga con una duplice considerazione: per un verso, nel sistema della L. n. 287 del 1990, come del resto nella disciplina comunitaria, private e public enforcement, e cioè tutela civilistica e tutela pubblicistica, sono tra loro complementari; per altro verso, il principio di effettività e di unitarietà dell’ordinamento non consente di ritenere irrilevante il provvedimento amministrativo nel giudizio civile, considerato anche che le due tutele sono previste nell’ambito dello stesso testo normativo e nell’ambito di un’unitaria finalità: tanto più in considerazione dell'”evidente asimmetria informativa tra l’impresa partecipe dell’intesa anticoncorrenziale ed il singolo consumatore, che si trova, salvo casi eccezionali da considerare di scuola, nell’impossibilità di fornire la prova tanto dell’intesa anticoncorrenziale quanto del conseguente danno patito e del relativo nesso di causalità (Cass. Civ., n. 11904/ 2014).” Pertanto, tenuto conto dei principi giurisprudenziali sopra richiamati, che si condividono, e che è provato documentalmente (cfr. all. 3 della produzione monitoria) e non contestato tra le parti che la fideiussione sottoscritta dall’opponente Q.L. in data 29/4/2008 contiene agli articoli 2), 6) e 8) delle pattuizioni le medesime condizioni di cui al Modulo A. stigmatizzato dalla B.I. con Provv. n. 55 del 2 maggio 2005, consegue che il motivo di opposizione basato sulla nullità della fideiussione in oggetto è fondata.

Né vale obiettare, come eccepito dalla M.G. S.P.A., che la nullità per la natura “anticoncorrenziale” della fideiussione “omnibus” sarebbe parziale, cioè limitata alle sole clausole in essa contenute riproduttive delle condizioni predisposte in modo restrittivo della concorrenza da parte degli Istituti di credito nel Modulo A., specie tenuto conto del principio per cui “utile per inutile non vitiatur”. Infatti, sebbene la Corte di Cassazione né con la pronuncia n. 29810/2017 né con quella n. 13846/2019 abbia precisato se le clausole vietate determinino la nullità dell’intero contratto o la sostituzione delle stesse con la normativa codicistica, deve escludersi l’applicabilità della nullità parziale ex art. 1419 c.c. perché la gravità delle violazioni in esame, – che incidono pesantemente sulla posizione del garante, aggravandola in modo significativo – rispetto ai superiori valori di solidarietà, muniti di rilevanza costituzionale (art. 2 Cost.), che permeano tutta l’impianto dei rapporti tra privati, dalla fase prenegoziale (art. 1137 c.c.) a quella esecutiva (artt. 1175, 1375 c.c.), ben giustifica che sia sanzionato l’intero agire dei responsabili di quelle violazioni; in altri termini, nell’ottica di assicurare alla nullità la sua funzione “sanzionatoria”, in questo caso di comportamenti precontrattuali e contrattuali caratterizzati da contrarietà a buona fede ed ai canoni minimi di solidarietà sociale, è necessario assicurare in questo caso alla più grave forma di patologia del contratto la sua massima manifestazione, senza consentire che, in nome del principio di conservazione degli atti giuridici, possano essere salvaguardate le restanti pattuizioni o, addirittura, che si dia vita ad un’operazione “ortopedica” di sostituzione eteronoma di clausole ex articolo 1339 c.c. Soltanto attraverso una siffatta interpretazione, infatti, è consentito realizzare quella funzione di “private enforcement” a tutela della concorrenza che l’ordinamento ormai attribuisce anche ai privati cittadini (come da ultimo certifica il recepimento della Direttiva n. 2014/104/EU), nonché di scoraggiare gli Istituti di credito dal fare applicazione di clausole che la B.I., nel suo ruolo di Autorità garante della concorrenza tra banche, ha ritenuto restrittive della concorrenza. Dunque, poiché qualsiasi forma di distorsione della competizione del mercato (che rappresenta un valore costituzionale ai sensi dell’art. 41Cost., come tale espressione di un interesse generale), in qualunque modo posta in essere, costituisce comportamento rilevante per l’accertamento della violazione dell’art. 2 della normativa antitrust, per cui è inevitabile concludere che l’intero portato, a valle di quella distorsione, debba essere assoggettato alla sanzione della nullità.

Peraltro in tal senso sembra esprimersi anche il dato testuale della pronuncia della Corte di Cassazione n. 29810/2017, la quale parla ripetutamente ed esclusivamente di “nullità del contratto” e mai di nullità delle singole clausole; inoltre la fattispecie in esame alla Suprema Corte non concerneva una pronuncia di invalidità della fideiussione, ma il risarcimento del danno, chiesto all’attore, per aver dovuto pagare le somme ingiunte nel contempo pure al debitore principale.

Orbene se la nullità, denunziata dal garante non avesse travolto l’intera fideiussione, giammai si sarebbe potuta cassare la sentenza di rigetto della domanda risarcitoria, perché tale rigetto avrebbe trovato conferma anche dopo la sostituzione delle clausole nulle, dato che nessuna delle clausole così introdotte poteva incidere a favore dell’istanza risarcitoria.

Alla luce di quanto innanzi esposto, dunque, consegue che la fideiussione conclusa da Q.L. è affetta da nullità totale per essere in contrasto con il disposto dell’articolo 2 della L. n. 287 del 1990, con la conseguenza che, essendo la garanzia personale da questo sottoscritta nulla, non vi è alcun obbligo per la stessa nei confronti della Banca opposta di corrispondere la somma oggetto di ingiunzione.

L’accertamento della nullità della garanzia rilasciata dall’opponente, sia pure “incidenter tantum”, in quanto oggetto di eccezione e non di domanda riconvenzionale (da formularsi necessariamente, a pena di decadenza, con l’atto di citazione in opposizione), comporta che l’opposizione è fondata e, per l’effetto, il Decreto Ingiuntivo n. 292/2011 va revocato nei confronti del sig. Q.L..SUL REGIME DELLE SPESE DI LITE

Nei rapporti tra la M. S.R.L. e la E. S.R.L. dichiarata fallita e M.G.C. S.P.A., stante la declaratoria di estinzione del processo nei loro confronti, le spese del presente giudizio restano a carico delle parti che le hanno anticipate a norma dell’articolo 310, co. 4, c.p.c.

Nei rapporti processuali tra Q.L. e M.G.C. S.P.A. le spese del presente giudizio seguono il criterio generale della soccombenza e, considerato l’accoglimento dell’opposizione, sono poste quindi a carico di M.G.C. S.P.A.; tuttavia, considerato che successivamente alla notificazione dell’atto di citazione in opposizione (2012) è intervenuta la pronuncia della Suprema Corte n. 28910/2017 che ha determinato un “mutamento della giurisprudenza” in ordine alla validità delle fideiussioni c.d. “anticoncorrenziali”, si ritiene opportuno compensare ai sensi dell’articolo 92, co. 2, c.p.c.

integralmente le spese di lite tra le parti.

P.Q.M.

Il Giudice, definitivamente pronunziando, disattesa ogni contraria istanza, difesa ed eccezione, così decide:

1) Dichiara l’estinzione del processo nei confronti della M. S.R.L. e della E. S.R.L. dichiarata fallita;

2) Nulla sulle spese per la M. S.R.L. e la E. S.R.L.;

3) Accoglie l’opposizione proposta da Q.L. e, per l’effetto, revoca nei suoi confronti il Decreto Ingiuntivo n. 292/2011;

4) Compensa integralmente le spese di lite tra Q.L. e M.G.C. S.P.A.

Conclusione

Così deciso in Salerno, il 12 ottobre 2020.

Depositata in Cancelleria il 13 ottobre 2020.

 

 

Nota a sentenza

Sommario

Premessa – 1. La fideiussione omnibus secondo lo schema ABI – 2. L’intervento dell’Autorità Garante e l’orientamento della Suprema Corte di Cassazione – 3. La decisione

Premessa

Ponendo un rilevante seguito alle ultime decisioni sull’argomento della Suprema Corte, il giudice di merito del Tribunale di Salerno ha intrapreso una auspicabile strada per sancire definitivamente la consistenza del grave abuso perpetrato dal settore bancario nei confronti degli imprenditori e dei loro garanti che spesse volte sono stati oggetto di vere e proprie vessazioni atte ad ‘ultragarantire’ gli istituti in sede di concessione del credito. L’argomento è di attualità dal momento che ancora oggi, nonostante le numerose pronunzie limitative rispetto all’applicabilità dello schema di fideiussione omnibus, restano in atto numerosi contenziosi nei quali si trovano contrapposti gli interessi di istituti bancari che hanno finanziato attività imprenditoriali ‘decotte’ a fronte di garanzie personali, spesso risalenti ai familiari dell’imprenditore ovvero al suo patrimonio personale, con conseguenziale ulteriore dissesto anche personale dei soggetti coinvolti ed impoverimento del sistema sociale.

 

  1. La fideiussione omnibus secondo lo schema ABI

Ricordiamo come l’annosa questione della nullità della fideiussione omnibus, introdotta dallo schema contrattuale approvato dall’ABI e assoggettato ad un’aspra critica da parte dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato con il provvedimento n.14251 del 20/4/2005, trovi radice in una serie di innumerevoli pronunzie di merito e di legittimità che negli anni, a fasi alterne, hanno legittimato e caducato gli effetti dei contratti singoli, cd. ‘a valle’, sottoscritti in considerazione dell’intesa restrittiva stipulata ‘a monte’ dagli istituti di credito per creare un unico schema regolamentare delle garanzie collaterali ai contratti di finanziamento nei confronti delle imprese..

Va ricordato come la fideiussione omnibus rappresenti un’estensione del negozio giuridico previsto dal Codice civile, con il chiaro ed univoco scopo di creare una garanzia in favore degli istituti bancari intenzionati a finanziare piccoli imprenditori e consumatori.

La garanzia estensiva nei confronti della banca fornisce la possibilità all’istituto di finanziare anche soggetti meno ‘meritevoli’, mediante l’ampliamento del novero dei soggetti responsabili dell’obbligazione di restituzione del prestito oppure dell’apertura di credito in conto corrente.

Non si può pertanto prescindere da una considerazione sostanziale, dal momento che spesso la fideiussione consente certamente all’imprenditore di ottenere fondi che altrimenti non avrebbe potuto ricevere, ma altrettanto si deve sottolineare come gli istituti bancari ne abbiano fatto abuso, spesso concedendo credito a soggetti già dall’inizio evidentemente non meritevoli – ma supportati da garanti esterni rinvenuti tra parenti ed affini – di fatto, arrecando loro un pregiudizio da ‘ultraindebitamento’, piuttosto che un beneficio.

Tornando all’argomento che si intende affrontare specificamente, la problematica esaminata dall’Autorità Garante nella summenzionata istruttoria concerne la sussistenza o meno di un’intesa restrittiva della concorrenza e quindi in danno dei correntisti bancari, dal momento che lo schema contrattuale introdotto dall’ABI è pressoché l’unico adottato da tutti gli istituti di credito aderenti: esso consta di n.13 articoli che, per buona parte, secondo il parere reso dall’Autorità, sarebbero illegittimi e vessatori.

Ed è appunto sulla incidenza delle clausole nulle che la giurisprudenza negli anni ha trovato orientamenti alterni, talvolta riferendo di inefficacia relativa del contratto di fideiussione, altre volte, come nella sentenza in esame, estendendo la nullità all’intero testo contrattuale.

 

  1. L’intervento dell’Autorità Garante e l’orientamento della Suprema Corte di Cassazione

L’Autorità Garante, ad ogni modo, ha compiuto un’analisi precisa delle singole clausole introdotte dallo schema ABI, concludendo per una evidente violazione della Legge n.287/1990, seppur demandando poi ai giudici di merito e di legittimità ogni considerazione relativa agli effetti delle violazioni ravvisate.

L’esame da parte dell’Autorità Garante trae spunto dall’analisi di quelle clausole che obblighi ultronei rispetto alla disciplina codicistica della fideiussione. La cd. clausola di reviviscenza (articolo 2), ha comportato notevoli perplessità dal momento che fornirebbe la possibilità all’istituto bancario di agire nei confronti del fideiussore anche in seguito ad estinzione del contratto principale, ad esempio, laddove la banca fosse costretta a restituire gli importi versati dal cliente in seguito a revoca dei pagamenti. L’articolo 6, invece, prevede la deroga all’art.1957 cc in favore dell’istituto che, quindi, potrà agire direttamente e sempre contro il fideiussore fino ad estinzione dell’obbligazione prevista dal contratto principale. Anche l’art.7 appare in deroga all’art.1945 cc mentre l’art.8 addirittura estenderebbe gli obblighi fideiussorii anche nel caso di invalidità del negozio ‘garantito’. Tali profili venivano esaminati con dovizie di particolari dall’autorità Garante, in ossequio alla richiesta di parere motivato avanzato illo tempore dalla Banca d’Italia che aveva sollevato delle perplessità sulla validità delle clausole individuate nello schema negoziale.

Il parere reso è chiaramente orientato ad invalidare lo schema negoziale per violazione della normativa antitrust e della Legge n.154/1992 (Norme per la trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari) intervenuta in un quadro normativo bisognevole di un riequilibrio tra la garanzia della banca e la tutela del fideiussore.

Già in quella sede il Garante delegittimava lo schema negoziale introdotto, andando oltre le singole clausole che evidentemente ledono la concorrenza e risultano vessatorie, seppure vi  da considerare come l’interpretazione della fattispecie da parte della Suprema Corte non sia mai stata eccessivamente coraggiosa, anzi sottesa piuttosto a salvaguardare quel principio di inefficacia relativa dei contratti di fideiussione, circostanza che appare piuttosto conservativa degli effetti dei contratti in essere L’intesa ABI è stata valutata in un senso ampiamente restrittivo e penalizzante per piccoli imprenditori e consumatori, ma di fatto la giurisprudenza ha quasi sempre salvato parzialmente il contenuto dei contratti singoli, dichiarandone la nullità parziale soltanto riferita a quelle clausole che maggiormente appaiono contra legem.

Il parere dell’Autorità non lascia il campo ad interpretazioni equivoche, dal momento che produce una sferzante critica, articolo per articolo, allo schema suddetto. Il regolamento contrattuale ABI viene definito nel suo complesso come ‘idoneo ad aggravare (omissis) la posizione del fideiussore rispetto a quella del debitore principale’, di fatto, introducendo nel rapporto tra banca e soggetto finanziato un terzo soggetto che viene penalizzato ulteriormente rispetto alla normale definizione codicistica di fideiussore. Una siffatta costrizione, del resto, appare la diretta conseguenza all’intesa restrittiva della libera concorrenza che si manifesta proprio nella natura insita dell’ABI che rappresenta l’intero sistema bancario italiano. In sostanza il peggioramento delle condizioni di garanzia incide negativamente sullo stesso sistema di concessione del credito, tanto che l’Autorità Garante conclude il parere dichiarando apertamente il proprio convincimento che lo schema negoziale in esame sia lesivo e restrittivo della libera concorrenza ai sensi dell’art.2 comma 2 della L.287/1990. Sull’argomento e prendendo spunto da variegate interpretazioni della normativa e degli scritti dell’Autorità Garante, la Suprema Corte con la sentenza n.13846 del 22/5/2019  ha stabilito l’automatica nullità dei contratti di fideiussione che rispecchiano lo schema ABI, senza necessità che il giudice di merito si esponga in digressioni relative alla illegittimità delle clausole fideiussorie, dal momento che tale valutazione sarebbe stata preventivamente effettuata dalla Banca d’Italia con il provvedimento n.55/2005 che costituisce prova privilegiata in tal senso. In sostanza in questa occasione l’interpretazione estensiva della nullità di siffatti schemi contrattuali pone una seria e pregnante tutela in favore della cd parte debole del rapporto bancario.

L’ultima decisione che ha lasciato il segno su di un argomento spinoso e dai riflessi socio economici notevoli, è stata la sentenza della Cassazione civile, sezione I, n.24044/2019 del 26/9/2019 che ha avuto il pregio di richiamare nel corpo delle motivazioni alcuni precedenti importanti che rendono perfettamente l’excursus compiuto dal Supremo Collegio per ribadire la nullità delle clausole 2,6,8 dello schema ABI e di ogni contratto posto ‘a valle’ dalle banche che riproduca condizioni del genere.

La decisione, però, pone il limite della nullità relativa e parziale dei contratti di fideiussione, dal momento che evidenzia come la lesione della libera concorrenza accertata dall’Autorità Antitrust (Banca d’Italia nel 2005) non comporti come conseguenza automatica la nullità assoluta delle fideiussioni che ne discendono che, invece andranno esaminate, caso per caso e su istanza di parte, dai tribunali di merito.

Proprio in tal senso la Corte si esprimeva, demandando ai giudici di merito la valutazione delle opportune azioni dirette di risarcimento dei danni da parte dei clienti lesi. Detto assunto, ripreso ancora una volta dall’ordinanza n.29810/2017 riguardava anche ai contratti precedenti alla declaratoria di illiceità, resa dalla Banca d’Italia nel maggio 2005

Gli Ermellini da un lato, quindi, ritenevano di ampliare il novero dei contratti dei quali far valere i vizi, ribadendo espressamente come anche quelli sottoscritti precedentemente alla decisione di Banca d’Italia possano essere impugnati per lesione della libera concorrenza, mentre, dall’altro, assumevano una posizione garantista a salvaguardia del sistema bancario, non spingendosi fino ad una declaratoria di nullità assoluta direttamente conseguenziale alle violazioni di legge riscontrate nell’accordo ABI posto a monte.

Nei fatti, il correntista ed il fideiussore potevano svincolarsi dallo schema contrattuale al quale avevano aderito esclusivamente laddove i danni subiti fossero direttamente conseguiti all’applicazione degli articoli

 

  1. la decisione

Ed è proprio questo limite, assolutamente opinabile, che viene varcato dalla sentenza oggi in commento.

Il giudice di merito del tribunale di Salerno, infatti, con una decisione molto chiara e di semplice interpretazione, ha coraggiosamente sancito la nullità assoluta del contratto di fideiussione, invalidando l’intero negozio giuridico sottoscritto dal garante, senza limitarsi ad una decisione nel solco delle più recenti pronunzie di legittimità.

L’estensione della nullità da relativa ad assoluta comporta, come prima conseguenza tangibile, una maggiore possibilità da parte dei soggetti interessati a far valere l’eccezione anche nel corso di procedimenti giudiziari già in fase avanzata, non scontrandosi con i limiti imposti per le cd ‘eccezioni non rilevabili d’ufficio’ da sollevare entro i termini di cui all’art. 167 co. 2 cpc (ovvero nel corpo dell’atto introduttivo nel caso di giudizio ex art. 645 cpc).

Il giudice salernitano, richiamandosi alla pronuncia della Suprema Corte n. 29810/2017 ed alla successiva n. 13846/2019, esclude dalla fattispecie in esame la semplice ‘nullità parziale ex art. 1419 c.c.’ ritenendo necessario, invece, richiamarsi alla più grave sanzione della nullità assoluta per creare i presupposti di efficacia sanzionatoria nei confronti di un negozio giuridico predisposto in violazione delle normative vigenti.

La motivazione adottata dal tribunale si richiama alla prioritaria necessità – alla luce della grave penalizzazione del garante nello schema contrattuale imposto dall’ABI – di tutelare i superiori valori di solidarietà e tutela della buona fede, sia in fase precontrattuale che contrattuale che permeano tutta l’impianto dei rapporti tra privati e che trovano tutela codicistica specifica negli articoli art. 1137, 1175, 1375 CC.

La lesione di tali principi, sia da parte della convenzione che ha dato vita alla violazione delle normative antitrust (‘a monte’), sia da parte delle singole banche che hanno richiesto la sottoscrizione dei contratti individuali di fideiussione (‘a valle’) secondo lo schema (illegittimo) predisposto, giustifica, secondo il Magistrato, la sanzione più grave, che deve coinvolgere sia l’attività precontrattuale (la condivisione dello schema ABI) che quella successiva (il singolo contratto), entrambe frutto di azioni poste in essere in violazione di normative superiori a tutela della collettività.

Il tribunale evidenzia la necessità di assicurare, con l’applicazione della nullità assoluta del contratto – che ritiene rilevabile da parte del cittadino interessato anche in fase di deposito di comparsa conclusionale, quindi, considerandola alla stregua di una eccezione rilevabile d’ufficio -,l’estirpazione dal sistema giuridico di tutte le pattuizioni facenti parte dello schema dichiarato illegittimo da Banca d’Italia, anche limitando sensibilmente l’applicazione del principio di conservazione degli atti giuridici che in questa sede potrebbe comportare il perpetrarsi di una ingiustizia sociale acclarata.

D’altronde, il magistrato coglie l’occasione anche per interpretare in modo estremamente estensivo, la portata della pronuncia della Corte di Cassazione n. 29810/2017, sottolineando come già in quella decisione la Suprema Corte avesse paventato la nullità del contratto e non soltanto di alcune singole clausole.

Insomma, la sentenza in commento resa dal tribunale di Salerno è una delle poche fino ad ora pubblicate che esprime chiaramente e senza alcun dubbio interpretativo la necessità di estirpare dall’ordinamento uno schema contrattuale predisposto in evidente violazione delle normative vigenti e tutti i suoi effetti conseguenziali, che pregiudicano la creazione di un sistema economico sano che potrà garantire margini di solvibilità maggiori sia agli istituti bancari che agli imprenditori, evitando di commettere vessazioni nei confronti di cittadini inconsapevoli dei rischi legati ad un contratto eccessivamente oneroso.