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L’amministratore di diritto (CD. testa di legno) è responsabile in concorso omissimo con l’amministratore di fatto nei reati tributari EX D.LGS. N. 74/2000

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Palais de Justice Rome Cour suprême de cassation

Una significativa pronuncia della Corte di Cassazione (Sez. III^ Pen n. 18924/2017) ha di recente trattato il tema della responsabilità del c.d. amministratore “di diritto” di una società di capitali (anche “prestanome” o “testa di legno”).

In particolare, la Suprema Corte ha sancito la responsabilità penale dell’amministratore di diritto, in concorso con l’amministratore cd. “di fatto”, per il reato tributario di false fatturazioni ex D. Lgs. n. 74/2000.

Il prestanome risponde dunque a titolo di concorso omissivo nel reato posto in essere dall’amministratore di fatto, salvo che non provi di essere stato completamente privo di qualunque potere di ingerenza nella gestione dell’impresa.

Al contempo è stata, altresì, riconosciuta la responsabilità penale dell’amministratore di fatto, in concorso con l’amministratore di diritto, nonostante la mancanza, in capo al primo, di ogni formale qualifica.

Prima di esaminare i singoli snodi motivazionali della sentenza, è utile richiamare brevemente i fatti alla base delle pronuncia e le disposizioni normative che vengono in rilievo nella fattispecie.

FATTI

La vicenda riguarda una peculiare tipologia di frode fiscale, c.d. frode – carosello,perpetrata ad opera di alcune società di comodo (c.d. società “cartiere”) e finalizzata ad evadere l’imposta sul valore aggiunto tramite il conseguimento di crediti di imposta. La legislazione in materia consente, infatti, la neutralizzazione dell’IVA all’impresa acquirente residente in Italia. Nel caso di specie, si era fatto ricorso a società cd. “cartiere” le quali emettevano fatture, ma erano in realtà prive di effettiva operatività. Veniva dunque in rilievo il reato di false fatturazioni, che si configura nella duplice circostanza di operazioni soggettivamente inesistenti ovvero di operazioni che si riferiscono a soggetti diversi da quelli effettivi.

La Corte prende dunque atto che, nella vicenda in esame, la divergenza attiene appunto, ai soggetti reali dell’operazione, “tra i quali vengono interposti fittiziamente altri soggetti” ovvero le società cartiere alle quali è affidato il compito del “lavaggio” dell’IVA.

Infatti, grazie ad intercettazioni telefoniche ed al controllo incrociato di conti correnti, era emersa la sussistenza, nell’ambito dell’operazione criminosa posta in essere, di gestioni di fatto delle società intermediarie, nonché di una “regia e supervisione delle operazioni commerciali descritte e della piena consapevolezza in capo ai tre imputati del sistema fraudolento complessivo”.

DISPOSIZIONI RILEVANTI

Così ricostruito, seppur sinteticamente, il contesto fattuale, è altresì utile esaminare le disposizioni di diritto che vengono in rilievo nella fattispecie in esame.

La responsabilità dell’amministratore di fatto trova la primaria fonte nell’art. 2639 c.c.(“Estensione delle qualifiche soggettive”)tale norma, valorizzando un criterio funzionalistico, stabilisce una prevalenza del dato sostanziale su quello formale della qualifica rivestita dal soggetto amministratore. Più in dettaglio, a mente dell’art. 2639 c.c., all’amministratore di diritto è da ritenersi pienamente equiparato colui che esercita in modo continuativo e significativo i poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione”.

In sintesi, al fine di inquadrare correttamente la natura della responsabilità dell’amministratore di fatto, occorre riferirsi al dato funzionale della gestione effettiva della società anziché al solo dato formale della carica ricoperta.

In secondo luogo, per quanto concerne la posizione dell’amministratore di diritto, viene in rilievo l’art. 40, co. 2 c.p. a mente del quale, in tema di responsabilità nel reato omissivo, ed in particolare di causalità omissiva, non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire equivale a cagionarlo.

ANALISI DELLA SENTENZA

Così inquadrati i fatti di causa e le disposizioni rilevanti, di seguito si analizzano i singoli passaggi motivazionali della sentenza in commento.

Preliminarmente si osserva che il principio funzionalistico ex art. 2939 c.c. – positivamente adottato in materia di reati societari – può intendersi applicabile anche “ad altri settori penali dell’ordinamento così come in campo civile e tributario”.

Ed infatti, la Corte sul punto evidenzia che la responsabilità degli amministratori di fatto può configurarsi non soltanto nell’ambito di un eventuale concorso nel reato commissivo posto in essere dall’amministratore di diritto, bensì anche nel reato omissivo proprio, nel senso che “autore principale del reato è proprio l’amministratore di fatto”.

Inoltre, limitatamente alla responsabilità per i reati omissivi propri formalmente imputabili al prestanome, secondo la Corte, l’amministratore di fatto risponde “ o quale autore principale, in quanto titolare effettivo della gestione sociale, …. o comunque perché equiparato a quello di diritto”.

Sin qui la costruzione, da parte della Suprema Corte, della responsabilità dell’amministratore di fatto.

Per quanto concerne, invece, la responsabilità dell’amministratore di diritto , questa trova il proprio fondamento giuridico nell’art. 40 co.2 c.p., che disciplina il reato omissivo.Nel caso qui in commento, sussiste una responsabilità in capo agli amministratori di diritto, secondo gli Ermellini, per il fatto di “aver assunto consapevolmente la veste di rappresentanti legali delle due società”, così essendosi prestati “a coprire attraverso la violazione del dovere di vigilanza che incombeva loro per effetto della carica ricoperta le condotte illecite dei reali amministratori”.

Secondo la Corte gli amministratori di diritto erano per legge gravati del dovere di controllo, ed avrebbero potuto eventualmente essere esonerati da responsabilità qualora fosse emerso che essi erano privi di qualunque potere di ingerenza nella gestione delle società, da essi solo formalmente amministrate.

La Corte, inoltre, afferma expressis verbis di non volersi discostare dal principio generale espresso per cui “ … il prestanome che accettando la carica ha anche accettato i rischi ad essa connessi risponde comunque a titolo di dolo eventuale esponendosi alle conseguenze dell’operato dei gestori reali e dunque alla possibilità che questi pongano in essere , attraverso il paravento loro prestato con la carica ricoperta, attività non legali, in base alla posizione di garanzia di cui all’art. 2932 c.c., in forza del quale l’amministratore deve conservare il patrimonio sociale ed impedire che si verifichino danni per la società e per i terzi.”

La Suprema Corte statuisce, dunque, che “sussiste la responsabilità dell’amministratore di diritto, a titolo di concorso nel reato di utilizzo di false fatturazioni, afferenti cioè a prestazioni inesistenti, con l’amministratore di fatto non già ed esclusivamente in virtù della posizione formale rivestita all’interno della società, ma in ragione della condotta omissiva dallo stesso posta in essere, consistente nel non aver impedito, ex art. 40 c.p., comma 2. l’evento che si avevo l’obbligo giuridico di impedire e cioè nel mancato esercizio dei poteri di gestione della società e di controllo sull’operato dell’amministratore di fatto , connaturati alla carica rivestita”.

Tale ricostruzione della responsabilità penale dell’amministratore di diritto è operata in base alla norma cardine che riguarda la responsabilità degli amministratori di società di capitali, ossia l’art. 2392 c.c. che prevede che l’amministratore è tenuto alla conservazione del patrimonio sociale e ad impedire che si verifichino danni sia per la società sia per i terzi.

Sulla scorta di tali considerazioni la Suprema Corte ha dunque ritenuto sussistente la responsabilità penale dell’amministratore di diritto, in concorso con l’amministratore di fatto, per il reato di false fatturazioni.

Tale ricostruzione, si osserva ancora, non è operata in base ad un criterio nominale, legato alla posizione ed alla qualifica formalmente rivestita nella compagine societaria; essa valorizza piuttosto un criterio sostanziale, fondato sull’effettivo potere di ingerenza e controllo ed è imperniata sulla nozione di condotta omissiva ex art. 40 co. 2. cp, per cui incombe in capo all’amministratore l’obbligo giuridico di impedire il verificarsi di un evento lesivo; nel caso di specie, quindi, la condotta omissiva si era concretizzata nell’omesso esercizio del potere di vigilanza sulla gestione della società nonché di controllo sull’operato degli amministratori di fatto.

CONCLUSIONI

Si possono ora trarre della considerazioni conclusive di sintesi.

La pronuncia appare certamente di rilievo poiché esamina due importanti principi in materia di responsabilità penale societaria.

In particolare, il primo enunciato meritevole di attenzione riguarda il concorso dell’amministratore di fatto nel reato proprio (ovvero compiuto dal soggetto che formalmente riveste la carica, ovvero  l’amministratore di diritto); tale ricostruzione, la quale è evidentemente dettata dalla necessità di evitare che si crei un vuoto di tutela, equipara ai fini della punibilità, l’amministratore di fatto all’amministratore di diritto, privilegiando il dato sostanzialistico-funzionale sul dato meramente formale.

Il secondo enunciato, parimenti rilevante, afferma e ribadisce chiaramente il dovere di vigilanza incombente sull’amministratore quale soggetto ex lege tenuto al controllo in virtù della posizione di garanzia ricoperta ai sensi dell’art. 2392 c.c..

Tale approccio interpretativo appare certamente in linea con la ratio delle norme sugli illeciti commessi dagli amministratori di cui agli artt. 2626 e ss. c.c. che sono volte, inter alia, a tutelare l’integrità del patrimonio sociale; tutela che potrebbe essere facilmente vanificata ove si facesse esclusivamente riferimento a ricostruzioni formali della gestione societaria.

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