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DIRITTO DEL LAVORO. LICENZIAMENTO DIRIGENZIALE: LA CORTE DI CASSAZIONE METTE A FUOCO LA NOZIONE DI “GIUSTIFICATEZZA” DEI MOTIVI

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Palais de Justice Rome Cour suprême de cassation

DIRITTO DEL LAVORO. LICENZIAMENTO DIRIGENZIALE: LA CORTE DI CASSAZIONE METTE A FUOCO LA NOZIONE DI “GIUSTIFICATEZZA” DEI MOTIVI

Con sentenza n. 3121 del 17 febbraio 2015, la Corte di Cassazione, ritornando sullo spinoso tema del licenziamento dirigenziale, ha ribadito come esso debba essere fondato su ragioni apprezzabili sul piano del diritto che escludano l’arbitrarietà del recesso, nel perdurante rispetto dei principi di correttezza e buona fede che, operando quali intrinseci limiti al potere datoriale di recesso, precludono licenziamenti immotivati o pretestuosi.

Il giudici di piazza Cavour, pur confermando che la particolare configurazione del rapporto di lavoro dirigenziale è di ostacolo alla riconduzione della “giustificatezza” del licenziamento al  concetto di giusta causa o di giustificato motivo ex art. 1 della legge n. 604 del 1966, sottolineano la doverosità dell’individuazione di un giustificato motivo,  apprezzabile sul piano del diritto, che risulti concretamente idoneo a turbare il legame di fiducia con il datore, così giustificandone l’adozione. Tra le ragioni oggettive su cui validamente fondare il licenziamento vengono espressamente individuate “ragioni oggettive concernenti esigenze di riorganizzazione aziendale” che, pur non dovendo necessariamente coincidere con l’impossibilità della continuazione del rapporto o con una situazione di crisi tale da rendere particolarmente onerosa detta continuazione, consentano di effettuare una valutazione di legittimità del licenziamento alla luce dei parametri di correttezza e buona fede, da un lato, e di iniziativa economica ex art. 41 cost., dall’altro.

La Suprema Corte, ponendosi così lungo un percorso già solcato (ex multis, nei medesimi termini, Cass. Civ., Sez. lavoro, 17 marzo 2014, n. 6110, Cass. Civ., Sez. lavoro, 8 marzo 2012, n. 3628, Cass. Civ., Sez. lavoro, 22 ottobre 2010, n. 21748, Cass. Civ., Sez. lavoro, 11 giugno 2008, n. 15496), sottolinea la necessità che il licenziamento dirigenziale, debitamente motivato,  si ricolleghi ad interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento e dunque a ragioni obiettive ed effettive idonee ad escluderne la palese arbitrarietà.

Nel caso di specie la Suprema Corte, rigettando il ricorso proposto, accerta che le ragioni del licenziamento, addotte nell’atto di recesso facendo riferimento a “meramente formali” esigenze di riorganizzazione aziendale e riduzione del costo del personale, erano prive di reali consistenza e quindi non idonee ad integrare gli estremi della “giustificatezza” del licenziamento del dirigente.

 

 

 

 

Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 17-02-2015, n. 3121

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LAMORGESE Antonio – Presidente –

Dott. MAMMONE Giovanni – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –

Dott. BUFFA Francesco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 3508/2012 proposto da:

ASSOCIAZIONE DEGLI INDUSTRIALI DELLA PROVINCIA DI SALERNO C.F. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, 19, presso lo studio dell’avvocato DE LUCA TAMAJO RAFFAELE, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato ANNUNZIATA FREDA, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

P.G. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA DEL POPOLO 18, presso lo studio dell’avvocato RIZZO NUNZIO, che lo rappresenta e difende giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 572/2011 della CORTE D’APPELLO di SALERNO, depositata il 01/08/2011 r.g.n. 1544/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 15/10/2014 dal Consigliere Dott. FRANCESCO BUFFA;

udito l’Avvocato FREDA ANNUNZIATA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CELESTE Alberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

 

  1. Con sentenza 1/8/2011, la corte d’appello di Salerno, confermando sul punto la sentenza del 24/9/2010 del tribunale della stessa città, ha dichiarato illegittimo, per difetto di giustificatezza, il licenziamento intimato a P.G., dirigente dell’Associazione degli industriali della provincia di Salerno; ha condannato inoltre il datore al pagamento dell’indennità supplementare di cui all’art. 19 c.c.n.l in favore del lavoratore, in misura superiore rispetto a quella riconosciuta in primo grado.

In particolare, la corte territoriale ha preso atto che il recesso datoriale – pacificamente non originato da addebiti nei confronti del dirigente nè da ragioni inerenti la sua inidoneità alle funzioni o il raggiungimento degli obiettivi assegnati – era stato motivato sulla base di un’esigenza di riorganizzazione aziendale e di riduzione dei costi del personale, ma ha rilevato che in realtà il recesso non era l’ineludibile epilogo di una riorganizzazione e riduzione dei costi del personale (tanto che al lavoratore non era mai stata neppure proposta una decurtazione del compenso per il futuro) ma solo il coronamento di un progetto ideato dal presidente dell’Associazione di estromettere il lavoratore dal vertice della struttura e di sostituirlo con un uomo di sua fiducia.

  1. Avverso tale sentenza ricorre il datore con due motivi, illustrati da memoria; resiste il lavoratore con controricorso, accompagnato da memoria.
  2. Con il primo motivo del ricorso, si deduce violazione degli artt. 1375 e 1175 c.c., nonchè art. 19 del c.c.n.l. dirigenti, per aver negato la giusttficatezza del licenziamento di un dirigente per esigenze di riorganizzazione aziendale.
  3. Con il secondo motivo del ricorso, si deduce – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 – vizio di motivazione, in relazione alla prevalenza quale causa del recesso attribuita alla mancanza di sintonia tra il lavoratore ed il presidente dell’associazione rispetto all’esigenza pur riscontrata del contenimento dei costi.
  4. I motivi del ricorso, che possono trattarsi unitariamente per la loro connessione, sono infondati.
  5. Deve preliminarmente dichiararsi l’inammissibilità – ai sensi dell’art. 372 c.p.c. – della produzione della sentenza App. Salerno 7/5/2014 in causa Gatto c. Assindustria ed altro, in quanto effettuata solo all’udienza, non attenendo detto documento alla nullità della sentenza impugnata in questo giudizio nè all’ammissibilità del ricorso.
  6. Nel merito, il ricorso non può trovare accoglimento.
  7. Il primo motivo di ricorso è inammissibile per difetto di autosufficienza nella parte in cui richiama norma di contratto collettivo che non è stata trascritta in ricorso (tra le tante, Sez. L, Sentenza n. 21379 del 04/11/2005, Rv. 584674), nè prodotta con il contratto nel testo integrale (e pluribus, Sez. L, Sentenza n. 15495 del 02/07/2009, Rv. 609037).
  8. Quanto alla violazione di legge denunciata, deve rilevarsi in tema di licenziamento del dirigente che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, la nozione di “giustificatezza” del licenziamento del dirigente, per la particolare configurazione del rapporto di lavoro dirigenziale, non si identifica con quella di giusta causa o giustificato motivo L. n. 604 del 1966, ex art. 1, potendo rilevare qualsiasi motivo, purchè apprezzabile sul piano del diritto, idoneo a turbare il legame di fiducia con il datore (Sez. L, Sentenza n. 6110 del 17/03/2014, Rv. 63028; Sez. L, Sentenza n. 15496 del 11/06/2008, Rv. 603696); correlativamente, il licenziamento del dirigente può fondarsi su ragioni oggettive concernenti esigenze di riorganizzazione aziendale, che non debbono necessariamente coincidere con l’impossibiliti della continuazione del rapporto o con una situazione di crisi tale da rendere particolarmente onerosa detta continuazione, dato che il principio di correttezza e buona fede, che costituisce il parametro su cui misurare la legittimità del licenziamento, deve essere coordinato con la libertà di iniziativa economica, garantita dall’art. 41 Cost. (Sez. L, Sentenza n. 3628 del 08/03/2012, Rv. 621267; in tema, anche Sez. L, Sentenza n. 21748 del 22/10/2010, Rv. 614901, secondo la quale, per stabilire se sia giustificato il licenziamento di un dirigente intimato per ragioni di ristrutturazione aziendale, non è dirimente la circostanza che le mansioni da questi precedentemente svolte vengano affidate ad altro dirigente in aggiunta a quelle sue proprie, in quanto quel che rileva è che presso l’azienda non esista più una posizione lavorativa esattamente sovrapponibile a quella del lavoratore licenziato).
  9. Quanto fin qui detto, tuttavia, presuppone pur sempre che il licenziamento rechi motivazione coerente e sia fondato su ragioni apprezzabili sul piano del diritto, che escludano l’arbitrarietà del recesso: in altri termini, il recesso deve pur sempre ricollegarsi ad interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento e dunque a ragioni obiettive ed effettive (che permettano la verifica dei detti interessi), operando sempre il principio di buona fede e correttezza (ex artt. 1175 e 1375 c.c.) quale limite al potere datoriale di recesso; per altro verso, la libertà di iniziativa economica non è in grado ex se di offrire copertura a licenziamenti immotivati o pretestuosi.
  10. Nella specie, la corte territoriale ha accertato che le reali ragioni del licenziamento non erano da ricondurre in alcun modo ad una riorganizzazione (di cui non vi era traccia, con riferimento alle mansioni del personale interessato o alle aree dell’associazione) nè ad una riduzione dei costi del personale (non avendo il datore di lavoro detto alcunchè in ordine ad eventuali difficoltà finanziarie dell’associazione che potessero dar conto dell’esigenza di riduzione dei costi; e la corte territoriale ha rilevato anzi, a conferma del carattere fittizio della motivazione economica del recesso, che al lavoratore non era mai stata neppure proposta una decurtazione del compenso per il futuro).
  11. In difetto di reale consistenza delle ragioni addotte formalmente nell’atto di recesso, residua solo l’emergenza, correttamente valutata, dalla corte territoriale – con motivazione coerente ed adeguata-, della volontà del presidente dell’associazione di estromettere il lavoratore dal vertice della struttura e di sostituirlo con un uomo di sua fiducia (disegno attuatosi, ancor prima che con il recesso, con il progressivo ed immotivato “svilimento del ruolo” del P., pur stigmatizzato nella sentenza impugnata), motivo che non è per nulla idoneo – secondo quanto si è detto – ad integrare gli estremi della “giustificatezza” del licenziamento del dirigente.
  12. Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

 

la Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite, che si liquidano in Euro quattromila per compensi, Euro cento per spese, oltre accessori come per legge e spese generali nella misura del 15%.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 15 ottobre 2014.

Depositato in Cancelleria il 17 febbraio 2015