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Diritto Civile. I Contratti di Prossimità ex legge 148/2011 alla luce delle recenti sentenze della Corte di Cassazione (commento a Cass. 15/09/2014 n. 19396).

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Palais de Justice Rome Cour suprême de cassation

RELAZIONI INDUSTRIALI E SINDACALI

I Contratti di Prossimità ex legge 148/2011 alla luce delle recenti sentenze della Corte di Cassazione  (commento a Cass. 15/09/2014 n. 19396).

Il concorso tra la disciplina nazionale e quella aziendale va risolto non secondo i principi della gerarchia e della specialità propria delle fonti legislative, bensì accertando l’effettiva volontà delle parti, da desumersi attraverso il coordinamento delle varie disposizioni della contrattazione collettiva, aventi tutti pari dignità e forza vincolante, sicché anche i contratti aziendali possono derogare in pejus i contratti nazionali, con la sola salvaguardia dei diritti già definitivamente acquisiti nel patrimonio dei lavoratori. Pertanto, un accordo sindacale può escludere il diritto a percepire l’indennità per la trasferta lavorativa, derogando la previsione del CCNL.

Come è noto, la legge non disciplina in maniera pedissequa tutti gli aspetti del rapporto di lavoro ed, invero, di ciò si preoccupa la contrattazione collettiva di categoria che costituisce una fonte della disciplina applicabile al rapporto di lavoro.

Peraltro, il contratto collettivo nazionale di lavoro è comunemente assunto dalla giurisprudenza quale “parametro” per valutare la congruità del trattamento economico e normativo applicato ai rapporti di lavoro subordinati.

La legittimazione ad utilizzare tale unico parametro esistente deriva dall’articolo 2099 c.c. laddove stabilisce che, in mancanza di norme di contratti collettivi o di accordi individuali tra le parti, la retribuzione è determinata dal giudice.

Quindi, il legislatore del codice civile, prima, ed il legislatore costituzionale, dopo, affidano ai CCNL un ruolo centrale.

In realtà, come è noto, l’articolo 39 della Costituzione presuppone, affinché tali CCNL abbiano efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alla categoria cui il contratto si riferisce, un sistema di “registrazione dei sindacati” che non è mai stato attuato. Di fatto, però, le previsioni dei CCNL, essendo l’unico parametro esistente, vengono assunte, anche se non sempre in maniera integrale, per valutare la “giustezza” della retribuzione rispetto al dettato dell’articolo 36 della Costituzione.

Con il Protocollo di intesa sulla politica dei redditi e sugli assetti contrattuali del 23 luglio 1993 si è voluto superare il precedente modello centralizzato introducendo due livelli negoziali: il primo, affidato al contratto collettivo nazionale di categoria; il secondo, demandato al contratto aziendale o territoriale. A questi due livelli venivano demandate competenze diverse e non sovrapponibili. Quindi, la centralità della contrattazione è stata mantenuta dal contratto nazionale di categoria che esercitava una funzione gerarchicamente sovraordinata rispetto al contratto aziendale, cui erano invece demandate materie ed istituti diversi e non ripetitivi rispetto a quelli del CCNL.

Esigenze determinate anche dai mutamenti economici hanno imposto un primo ripensamento di questo rapporto gerarchico e nell’accordo del 22 gennaio 2009 viene infatti previsto che, fermo restando la funzione integratrice della contrattazione decentrata rispetto al contratto nazionale, se ne prevede la derogabilità a livello aziendale o territoriale per fronteggiare crisi o per favorire l’insediamento di nuove attività produttive. Quindi, soltanto nei casi di crisi o per l’insediamento di nuove attività produttive la contrattazione di secondo livello poteva assurgere ad un ruolo da protagonista.

Successivamente, sempre nella medesima direzione di accrescere gli spazi di manovra della contrattazione aziendale e territoriale, il legislatore è intervenuto con l’articolo 8 del D.L.138/2011, convertito in Legge n.148/2011 introducendo i “contratti di prossimità”.

Il termine “prossimità” attiene alla maggiore vicinanza fisica delle parti sindacali ai lavoratori e all’azienda rispetto alle rappresentanze sindacali nazionali.

Il legislatore, infatti, valuta la “prossimità”, quindi la vicinanza delle organizzazioni territoriali o aziendali quale fattore di maggiore conoscenza delle realtà, soprattutto per le imprese più piccole e tale maggiore vicinanza dovrebbe, nelle intenzioni del legislatore, adattare gli accordi sindacali come “un abito su misura” per ciascuna realtà produttiva o aziendale.

I contratti di prossimità, quindi, rispetto agli Accordi stipulati negli anni 1993 e 2009, prevedono la possibilità non solo di derogare alla contrattazione nazionale ma di derogare anche ad una serie di disposizioni legislative, ovviamente, fermo restando i diritti previsti dalla Costituzione, dalle normative dell’Unione Europea e degli organismi internazionali che sono considerati un limite invalicabile.

In altre parole la contrattazione di prossimità consente a contratti aziendali o territoriali di derogare la disciplina legale e quella collettiva nazionale di fondamentali materie fino ad oggi tradizionalmente sottratte alla regolamentazione pattizia, quanto meno in senso peggiorativo dei diritti del lavoratore.

Le intese derivanti dalla stipula dei contratti di prossimità possono riguardare: 1) la maggiore occupazione, 2) l’emersione del lavoro irregolare, 3) gli incrementi di competitività e di salario, 4) la gestione delle crisi aziendali e occupazionali, 5) gli investimenti 6) l’avvio di nuove attività.

Per fare qualche esempio, riguardo ai prevedibili risvolti pratici del contratto di prossimità, è possibile ipotizzare la liceità di accordi idonei ad “allungare”, quantomeno nei contratti a tempo indeterminato, il periodo di prova, così da consentire alle parti del rapporto un più ampio periodo di tempo per verificare la volontà di vincolarsi in un rapporto senza limiti di tempo o, di verificare l’opportunità di un’assunzione a tempo indeterminato, in ragione dell’andamento del mercato e dei profitti dell’impresa.

In tema di disciplina dell’orario di lavoro, le parti possono regolamentarne la durata così da renderlo più flessibile e adattarlo alle esigenze dell’impresa, anche con riferimento a specifici periodi dell’anno in cui maggiormente è richiesta la disponibilità del lavoratore.

Naturalmente gli accordi di prossimità possono stabilire previsioni in pejus rispetto al CCNL di riferimento.

Proprio su questo terreno che si inserisce una interessante sentenza della Corte di Cassazione.

Con la sentenza 19396, depositata il 15 settembre 2014, la Corte di Cassazione ha affrontato l’annosa questione relativa al concorso-conflitto tra fonti collettive di diverso rango, aziendale e nazionale, nella regolamentazione del medesimo istituto.

Il caso affrontato riguarda la domanda di un lavoratore volta ad ottenere dalla società di cui era dipendente l’indennità di trasferta prevista dal Ccnl di categoria, domanda rigettata sia in primo sia in secondo grado, sulla considerazione che la previsione del Ccnl invocata dal ricorrente era stata derogata da un accordo sindacale che escludeva il diritto a percepire l’indennità in questione al fine di salvaguardare il livello occupazionale aziendale.

Confermando la correttezza della sentenza resa in appello, i giudici di legittimità escludono, innanzitutto, la fondatezza della tesi del lavoratore, relativa all’inapplicabilità degli accordi sindacali aziendali ai lavoratori che non vi abbiano aderito.

La Corte, infatti, in ossequio alla propria funzione nomofilattica, segue il proprio costante orientamento, confermando che «il contratto aziendale vincola, indipendentemente dalla iscrizione ai sindacati stipulanti, tutti i lavoratori dell’azienda, stante la sua natura sostanzialmente erga omnes in quanto regola unitariamente indivisibili interessi collettivi aziendali dei lavoratori» (Cass. 2 maggio 1990, n. 3607. Nello stesso senso, Cass. 26 giugno 2004, n. 11939; Cass. 25 marzo 2002, n. 4218; Cass. 15 giugno 1999, n. 5953).

Tale orientamento giurisprudenziale accoglie, altresì, l’opinione dottrinale che fonda l’efficacia generale del contratto collettivo aziendale sull’argomento dell’indivisibilità dell’interesse collettivo di cui si fanno portatori i soggetti stipulanti ovvero sull’inscindibilità della condizione dei lavoratori all’interno della stessa impresa, che determina la necessità di un’unica regolamentazione contrattuale.

La Corte affronta, quindi, il secondo motivo di ricorso proposto dal lavoratore, relativo all’efficacia o meno di accordi aziendali contenenti previsioni peggiorative rispetto al contratto collettivo nazionale.

Escludendo l’applicazione al caso di specie dell’articolo 2077 del Codice civile, che regola unicamente il rapporto tra contratto collettivo e contratto individuale di lavoro, e non già il rapporto tra contratti collettivi di diverso livello, la Corte giunge ad affermare che i contratti aziendali possono anche derogare in peius ai contratti collettivi nazionali, con la sola salvaguardia dei diritti già definitivamente acquisiti nel patrimonio dei lavoratori, ossia con il limite «che non si incida su disposizioni di legge inderogabili o su istituti regolati sulla base di contratti individuali di lavoro e facendo, in ogni caso, salvi quei diritti, già entrati a far parte del patrimonio del lavoratore quale corrispettivo di una prestazione già resa e, nell’ambito di un rapporto (o di una sua fase) già esauritasi» (Cassazione 18 settembre 2007, n. 19351 ).

Non si può che concordare con l’iter logico seguito dalla Corte, i cui passaggi argomentativi trovano conferma e conforto nell’Accordo interconfederale del 28 giugno 2011, in cui si prevedono contratti aziendali con efficacia generale, derogatori del contratto nazionale «al fine di gestire situazioni di crisi […]» come nel caso che ci occupa.

Occorre, inoltre, sottolineare che la possibilità di deroga è oggi definitivamente sancita dall’articolo 8 del Dl 138/2011 convertito nella legge 148/2011, che – in relazione a specifiche materie – consente ai contratti aziendali o territoriali non solo di derogare alla disciplina collettiva, ma altresì a quella legale, con l’attribuzione di un ampissimo potere alla contrattazione di prossimità che potrà adeguare gran parte della disciplina del lavoro alle concrete esigenze aziendali.

 

 

Pietro Monaco