Cassazione Penale, sentenza 19 marzo 2015 n. 11467: impossessarsi del telefono cellulare altrui, sottraendolo al legittimo proprietario, integra il delitto di rapina.
Chi si impossessa del telefono cellulare altrui, sottraendolo al legittimo proprietario, al solo fine di “prendere cognizione dei messaggi che la persona offesa abbia ricevuto da altro soggetto“, commette il delitto di rapina.
A stabilirlo è stata la Corte di Cassazione, con sentenza n. 11467 depositata in data 19 marzo 2015, che ha condannato a due anni e due mesi di reclusione un giovane che aveva rubato il cellulare della ex entrando in casa sua, rilevando che chi si impossessa di un cellulare altrui così “violando il diritto alla riservatezza” e incidendo “sul bene primario dell’autodeterminazione della persona nella sfera delle relazioni umane” commette un reato.
Gli ermellini hanno ravvisato il requisito dell’ingiustizia del profitto morale richiesto per l’integrazione della fattispecie di rapina nella finalità di sottrarre il cellulare per leggerne il contenuto. Nel caso sottoposto all’attenzione della Suprema Corte, “la pretesa” di un ventiquattrenne di Barletta di “perquisire” il telefono della ex fidanzata alla ricerca di “messaggi compromettenti” assume i caratteri dell’ “ingiustizia manifesta”, in quanto viola il diritto alla riservatezza, e tende a comprimere la libertà di autodeterminazione della donna.
Il Supremo Consesso di giustizia penale rileva che “l‘instaurazione di una relazione sentimentale fra due persone appartiene alla sfera della libertà e rientra nel diritto inviolabile all’autodeterminazione fondato sull’art. 2 della Costituzione, dal momento che non può darsi una piena ed effettiva garanzia dei diritti inviolabili dell’uomo (e della donna) senza che sia rispettata la sua libertà di autodeterminazione …. Omissis … La pretesa di ‘perquisire’ il telefonino della ex alla ricerca di messaggi compromettenti, assume i caratteri dell’ingiustizia manifesta proprio perché, violando il diritto alla riservatezza, tende a comprimere la libertà di autodeterminazione della donna e si pone in prosecuzione ideale con il reato di tentata violenza privata avente ad oggetto il tentativo del ragazzo di costringere la ex a riallacciare il rapporto di fidanzamento dalla stessa troncato“.
Ponendo in risalto il valore indefettibile della libertà di autodeterminazione nella sfera sessuale, la Corte rileva altresì come da essa consegua la più totale libertà di intraprendere relazioni sentimentali e di porvi termine, senza che nessuno possa avanzare l’indebita pretesa di perquisire i cellulari altrui per cercare prove di nuove o preesistenti relazioni.
Insomma, sottrarre il telefonino al proprio partner o ex partner, all’amico o al collega che vogliamo inchiodare di fronte a responsabilità non penalmente rilevanti è un reato e come tale va perseguito, indipendentemente dai motivi, più o meno giustificati che possano apparire ai nostri occhi, per cui si compie il “gesto estremo” della sottrazione del telefonino. Nel caso di specie, a nulla sono valsi i tentativi della difesa di giustificare il gesto del giovane imputato adducendo, quale esclusivo intento, quello di smascherare i tradimenti della ragazza davanti al di lei padre: neanche questa “spiegazione”, reputata valida dal Tribunale del riesame che nella fase cautelare aveva escluso il reato di rapina reputando insussistente il requisito dell’ingiustizia del profitto, ha impedito la condanna per rapina e la convalida della sentenza della Corte d’appello di Bari del 20 novembre 2012.